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  1. Un salutone a tutti! Dopo tanto tempo sono qua di nuovo anch'io, purtroppo con poco tempo a disposizione! Ma "vi tengo d'occhio"! Baci da Bs

    edit: ho rimosso un pò di cose nella ia firma ma temo di aver tolto tutto, vabbè, pazienza!


  2. L'Europa a Grillo: "Spiegaci l'Italia"

    E' nell'occhio della Digos, non fa più ridere, ma il pubblico lo adora

    ANDREA SCANZI

    MILANO

    Quando entra, il pubblico gli tributa una standing ovation a prescindere. Lui, puntualmente, prima scherza sul tempo passato, sui capelli grigi e sulla pancia pingue, poi quasi si commuove. E' un applauso totalizzante, al passato. Ai trent'anni di carriera di Beppe Grillo. C'è un pubblico che ne ha capito la svolta divulgativo-arrabbiata e segue il suo blog (il 15° al mondo per accessi) con devozione messianica. Ma c'è anche, ed è forse la maggioranza, una parte di paganti che applaude il ricordo: quello di Te lo do io il Brasile, quello di Sanremo. Quello che non c'è più. Ogni sera, da più di un decennio, Grillo riempie i Palasport. In tv non lo vogliono, le interviste non le concede perché «i giornali sono superati». E' un Grillo altro, sorta di Don Chisciotte spigoloso e sentenziante, ma lo spettatore comune è affezionato alle cristallizzazioni. Accadeva anche a Giorgio Gaber: c'era chi capiva la svolta teatrale e chi andava a vederlo aspettandosi ancora Non arrossire.

    Gli spettacoli di Grillo sono arringhe informate e incazzose, fiumi di bile e notizie inedite che sforano le tre ore. L'apoteosi iniziale diventa, minuto dopo minuto, applauso misurato. Gli apprezzamenti più convinti coincidono con le chiose cerchiobottiste: la politica che «son tutti uguali», i giornalisti «che son tutti servi». Quando però Grillo affonda, mostrando il censuratissimo (solo in Italia) documentario Bbc sulla pedofilia nella Chiesa Cattolica, la platea si divide. Per una delle molte stranezze italiane, è accaduto che gli unici comici di professione siano ormai quelli che non fanno ridere quasi mai. Roberto Benigni, le battute, le fa quasi per dovere, troppo preso da Petrarca e Nicoletta Braschi. Daniele Luttazzi, comprensibilmente, deve smaltire l'ostracismo dell'ukase bulgaro. E Grillo le trovate migliori le ripete con mestiere, sperando che il pubblico non sia così fedele da ricordare che Berlusconi era «lo Psiconano» e Fassino «Globulo» già negli show di dieci anni fa.

    Il Grillo di oggi è un savonaroliano deliberatamente apocalittico, braccato dalla Digos, querelatissimo, munito di epigoni (nuovi Crozza crescono), insuperabile nell'arte di arringare ed encomiabile nella volontà di smascherare i troppi sfaceli della società contemporanea: i banchieri «nuovi usurai», i finti buoni, gli industriali pagati per distruggere le aziende, l'informazione che non informa e una politica rimasta alle guerre puniche. Geronzi, Tronchetti Provera, Moratti, D'Alema, Mastella, Prodi, Berlusconi, Rutelli, la Consob: sono solo alcuni dei suoi nemici, di fronte ai quali l'unica salvezza è «resettare» il cervello (Reset è il titolo dello spettacolo) e affidarsi ai poteri taumaturgici di Internet e dei Meetup, sorta di nuclei avanguardisti sparsi in ogni città col compito di concretizzare a livello locale le battaglie di Grillo.

    Ogni suo spettacolo fa più pensare che ridere. Fa pensare alla censura, alla sinistra italiana che perde per strada i «cantori» di un tempo. Fa pensare che i satirici si sono reinventati tribuni e nel migliore dei casi hanno scoperchiato i crack della Parmalat. E' certo divertente sapere che Bertinotti e Sgarbi non sappiano come si scrive «www» o «chiocciola». Meno ilarità genera scoprire come la Comunità Europea abbia invitato Beppe Grillo (a luglio) per scoprire come davvero funziona l'Italia. La transustanziazione di Grillo da comico a predicatore cassandrico è forse sintomatica di una confusione fatale. Di una rabbia che sfocia nella paura, nell'invettiva, nel qualunquismo. Nella lotta non contro ma a favore dei mulini a vento, intesi come fonte eolica.

    FONTE


  3. Il protagonista è sempre Harrison Ford, la regia di Steven Spielberg

    Indiana Jones 4 uscirà nel maggio 2008

    Attese per quasi 20 anni le riprese del quarto episodio della saga dell'archeologo avventuriero cominceranno a giugno

    LOS ANGELES (USA) - Alla fine il film si farà. Gli appassionati dovranno aspettare ancora un anno, ma a distanza di quasi 20 anni dal terzo episodio (1989), il 22 maggio 2008 dovrebbe uscire nelle sale Indiana Jones 4. La regia sarà sempre di Steven Spielberg e il protagonista sempre Harrison Ford.

    IL FILM - Dopo la riscrittura nel corso degli anni di diverse sceneggiature George Lucas che sarà tra i produttori si è lasciato sfuggire durante la visione del Gran premio di Formula 1 a Montecarlo che le riprese inizieranno a giugno.

    Il film il cui titolo non ufficiale è «Indiana Jones e la città degli Dei» si dovrebbe basare sulle tesi sostenute dallo scrittore Erich von Däniken nel libro «Gli extraterrestri torneranno» (1968).

    La tesi di Von Daniken (che ha venduto con i suoi libri più di 62 milioni di copie e ha creato il Mistery Park di Interlaken in Svizzera) è che dei super progrediti extraterrestri, provenienti da un'altra galassia, visitarono la terra migliaia di anni fa, crearono uomini intelligenti a loro somiglianza, alterando il codice genetico delle scimmie. Vennero adorati come dei dal genere umano per le loro immense conoscenze tecniche, delle quali restano vaghe tracce nelle diverse mitologie mondiali.

    Il film, che potrebbe vedere tra gli interpreti anche Cate Blanchett e Sean Connery, si dovrebbe aprire con una spettacolare lotta tra Indiana Jones e alcuni agenti segreti russi all'interno della misteriosa Area 51 la base militare americana in cui la credenza popolare vorrebbe nascosti segreti inconfessabili.

    FONTE


  4. Quarant'anni fa "Sgt. Pepper" fece la sua rivoluzione

    di Francesco Prisco

    Giusto quaranta anni fa si consumò la rivoluzione che ha fatto meno vittime e più proseliti del Novecento. Nessuna dichiarazione d'indipendenza, niente rovesciamenti dell'ordine costituito, decapitazioni di tiranni o prese del Palazzo d'Inverno. L'1 giugno 1967 l'unico muro a cadere fu quello che separava musica colta e musica popolare: i Beatles diedero alle stampe "Sgt. Pepper's Lonely Hearts Club Band", «il primo disco pop ad essere preso sul serio» stando al giudizio del caposcuola del minimalismo musicale Philip Glass, l'album che inaugurò la prima "Estate dell'amore", segnò il culmine e sancì l'inizio della fine per l'irripetibile parabola culturale degli anni Sessanta.

    Oltre trenta milioni di copie vendute nel mondo di cui 4,8 milioni nella sola Gran Bretagna (secondo piazzamento di sempre), undici dischi di platino Usa, il primato fra i "Definitive 200 Albums" scelti dalla Rock and Roll Hall of Fame e il premio come miglior disco di tutti i tempi secondo l'autorevole rivista americana "Rolling Stone". Quelli che apparirebbero risultati ingombranti per la carriera di qualsiasi musicista, a malapena rendono idea della straordinaria complessità del fenomeno "Sgt. Pepper". E' un disco rock che coniuga ricerca di nuovi territori musicali e una buona dose di autoironia, armonie vocali e rumorismo minimalista, sprazzi di psichedelia e suggestioni sinfoniche in una ubriacante miscela di sapienza compositiva. E' una concept opera ideata, quasi inconsapevolmente, prima che il genere diventasse canone prediletto dalle avanguardie progressive. E' semplicemente arte in tutti i suoi 39 minuti e 43 secondi, dalla prima nota fino all'ultimo dettaglio del packaging.

    Sulla genesi del progetto si incrociano aneddoti dei protagonisti e leggende metropolitane. Secondo la tradizione, a fare la prima mossa fu Paul McCartney che, di ritorno da un viaggio all'estero con il fido road manager Mal Evans, pensò di trascinare i ragazzi del gruppo in un'avventura che per quanto possibile fosse qualcosa di più del pur eccezionale "Revolver" (1966). Il modello a quanto pare fu "Pet Sounds" (1966) dei Beach Boys, album di pop e contaminazioni che - ironia della sorte - a sua volta proprio a "Revolver" si ispirava. Il "concept" di riferimento, con la "Banda dei cuori solitari" agli ordini del Sergente Pepper, Paul lo trovò nell'immaginario delle brass bands, le orchestre di piazza tanto popolari nel Regno Unito ai primi del Novecento. Da qui partiva un'idea folgorante: ciascun membro dei Beatles si sarebbe scelto un alter ego nella "Banda dei cuori solitari" e l'avrebbe interpretato. Pare che John Lennon, troppo preso dalla crisi del suo matrimonio con Cynthia Powell, e George Harrison, troppo preso dagli insegnamenti Hindu, guardassero a seconda delle circostanze con ironia o distacco al progetto. Non è un caso se delle 13 canzoni dell'album Paul ne compone 7 in pressoché totale autonomia (tra queste la title track che è probabilmente il suo pezzo del disco più noto). Per quanto misurato, il contributo di Lennon e Harrison è qualitativamente eccelso. John mette in fila i capolavori "Lucy in the sky with diamands" e "Being for the benefit of Mr. Kite" con la divertente "Good morning good morning, George apre il lato B del disco con "Within you, without you", riflessione indiana a base di sitar e tabla. Insieme Lennon e McCartney affidano a Ringo Starr "With a little help from my friend" che (con 21 cover di artisti diversi) diventerà il pezzo del disco più reinterpretato, ma soprattutto "A day in the life", capolavoro di scrittura del duo di Liverpool nel quale emergono magnificamente le loro complementari diversità. A fare il resto ci pensarono il produttore George Martin, unico a meritare veramente l'abusato epiteto di "quinto beatle", e l'ingegnere del suono Geoff Emerick che ebbero il complicato compito di tradurre in musica tutte le bizzarrie effettistiche che passavano per la mente di John e soci. Le sedute di incisione durarono 129 giorni, in un'epoca in cui per sfornare un Lp le case discografiche ti mettevano a disposizione a malapena un paio di settimane.

    La copertina del Time del 22 settembre 1967Semplicemente arte è anche la celeberrima copertina-collage con tutti gli "eroi" dei Fab Four, realizzata dal genio della Pop Art inglese Peter Blake e fotografata da Michael Cooper. "Galeotto" fu il mercante d'arte Robert Fraser, dal quale i Beatles si servivano per spendere le migliaia di sterline in surplus: presentò a Paul lo stesso Blake, aprendo la lunga stagione delle copertine d'autore. Qualcosa cambiava nella band e non solo: se ne accorse il magazine "Time" che dedicò la copertina del numero del 22 settembre 1967 alla «nuova incarnazione» dei Beatles.

    Come ogni capolavoro che si rispetti, "Sgt. Pepper" ha una letteratura interamente dedicata nell'ambito della quale spiccano "Estate d'amore e di rivolta" dell'ex addetto stampa dei Beatles Derek Taylor (in Italia edito da Shake) ma soprattutto "Summer of love: the making of Sgt. Pepper", scritto addirittura da George Martin. I lettori italiani possono poi optare per il recente "Sgt. Pepper – La vera storia", rilettura divertente e divertita dell'album a cura di Riccardo Bertoncelli e Franco Zanetti.

    In tempi di anniversari gli omaggi si moltiplicano. Ma qual è il tributo migliore che si possa offrire al "Sgt. Pepper"? Se lo chiese ammirato un venticinquenne americano a sole due settimane dall'uscita del disco. Rispose d'istinto: riportò la title track all'essenzialità di un riff di chitarra elettrica e la cantò davanti a più di 200mila persone. Non era uno qualsiasi: si chiamava Jimi Hendrix. L'estate dell'amore sarebbe stata anche la sua estate.

    FONTE


  5. Nell'elenco i classici del terrore, ma anche pellicole per bambini

    Film: le 100 scene più spaventose della storia

    Il sito di cinema Retrocrush ha compilato una classifica dei momenti più terrificanti mai apparsi sul grande schermo

    MILANO - Ci sono teschi, sangue a fiumi, serial killer ed alieni. Ma anche momenti in cui la paura arriva in modi meno espliciti, da un racconto intorno al fuoco o da un sorriso che si trasforma in ghigno. È comunque tutta da sfogliare la divertente classifica delle 100 scene più spaventose del cinema, stilata dal sito Retrocrush : «È stato un lavoro fatto con grande passione», scrive il compilatore Robert Berry. «È facile parlare di film che mettono paura, ma volevamo individuare alcune sequenze davvero terrorizzanti. Alcuni film non hanno un'atmosfera spaventosa, ma tuttavia includono momenti capaci di regalare brividi degni di menzione. Per divertimento cercate di individuare le pellicole guardando solo un fotogramma e prima di scrivermi per dire perché non ho incluso un film, accertatevi che non lo abbia davvero fatto».

    COMPENDIO DELL'HORROR - A scorrere questo interessante compendio del cinema horror, corredato da un commento sul perché il tal film è stato scelto e sulla sua fortuna, si scoprono grandi classici come Il fantasma dell'Opera, King Kong e Frankenstein, con mostri provenienti dalla fantasia e Freaks di Tod Browning, in cui l'orrore proveniva da vere deformità. I decenni più rappresentati sono naturalmente quelli del '70 e '80, in cui arrivarono al cinema veri e propri capolavori come «Lo squalo», «L'esorcista», «Shining» (in assoluto il più citato), «Carrie – Lo sguardo di Satana», «Alien», «Nightmare» e via rabbrividendo. Ma nella lista c'è anche qualche sorpresa, come «Il mago di Oz», citato per le scimmie alate «una presenza capace di dare sgomento a qualunque bambino», «Dumbo», con la scena dell'allucinazione alcolica dell'elefantino, e La moglie del soldato, «per un momento che ha scioccato milioni di spettatori ma è meglio non svelare». In ogni caso la passione per il cinema che mette i brividi non passa mai di moda, come dimostra l'imminente arrivo nelle nostre sale di una serie di film davvero spaventosi: si comincia con «Hostel 2», cult di efferatezze varie in territorio Tarantino, il 15 giugno, si prosegue con «Disturbia», remake de «La finestra sul cortile» il 22 giugno, e si finisce con «Vacancy», storia di una coppia che finisce in un hotel dove vengono girati film horror con veri omicidi, il 20 luglio. A curiosi e intenditori, dopo aver sfogliato la classifica, non resta che cimentarsi con il quiz in lingua inglese lanciato con incredibile successo da M&M's: scoprire i 50 film dark che si nascondono in un dipinto in stile Hieronymus Bosch (altro procacciatore di incubi), non sarà facile.

    Franco Gondrano

    FONTE


  6. La Fox ha acquisito i diritti dalla Electronic Arts per il gioco che in 5 anni ha incassato un miliardo e mezzo di dollari

    Un po' Truman show, un po' Matrix

    Hollywood prepara il film dei Sims

    L'idea: mettere in scena il rapporto fra il giocatore e il suo alter ego. Il primo nel ruolo di burattinaio, il secondo in quello di burattino

    di JAIME D'ALESSANDRO

    THE SIMS, serie di videogame che nel mondo ha venduto circa 85 milioni di copie, presto diventerà un film. A sostenerlo è la rivista americana Variety, secondo la quale la 20th Century Fox ha acquisito i diritti dalla Electronic Arts, l'editore, e sta già lavorando sul progetto. Del resto l'ultima opera di Will Wright, padre di The Sims e sorta di re Mida dei giochi elettronici (lo stesso che nel 1987 inventò Sim City), è il titolo più venduto per Pc della storia e in cinque anni ha incassato più di un miliardo e mezzo di dollari. Di qui l'idea della Fox di trasformarlo in un successo cinematografico.

    Il problema è capire come farà la Fox a portare sul grande schermo un videogame del genere che non ha una trama vera e propria dalla quale partire a differenza di Tomb Riader, Resident Evil, Silent Hill o altri giochi diventati negli ultimi anni dei lungometraggi. The Sims infatti è una simulazione sociale nella quale si gestisce il proprio alter ego alle prese con le normali urgenze quotidiane. Non ci sono conflitti da vincere, né nemici da sterminare: bisogna semplicemente vivere riuscendo ad avere una bella casa, un buon lavoro e perfino una famiglia. Tutto ruota in pratica attorno alle scelte compiute dal giocatore, che vanno dal determinare l'aspetto del proprio avatar fino ai suoi rapporti sociali, alla forma e all'arredamento della sua casa, al tipo di occupazione. Una quotidianità digitale divertente da vivere, molto meno da guardare. Anche se poi in America c'è chi ha creato un'intera sitcom digitale intitolata Strangerhood partendo proprio da The Sims. Uno degli esempi migliori di quel fenomeno noto con il nome di "machinima", animazioni realizzate con i videogame, poco compatibile però con le grandi produzioni hollywoodiane.

    Eppure Steve Asbell e Rod Humble, che stanno supervisionando il progetto rispettivamente per la Fox e la Electronic Arts, sono convinti che si possa comunque mettere in piedi un film. "The Sims è una versione interattiva di una storia antica", sostiene Humble. "Racconta cosa accade quando si ha nelle mani un enorme potere e bisogna saperci fare i conti". Sembra quindi che i due vogliano mettere in scena il rapporto fra il giocatore e il suo alter ego, con il primo nel ruolo di burattinaio e il secondo in quello di burattino. Qualcosa che forse potrebbe assomigliare a The Truman Show unito a Matrix.

    Assieme a Virtual Me, il film di The Sims fa parte della nuova strategia dell'Electronic Arts. Il più importante editore di giochi elettronici in circolazione sta infatti tentando nuove strade per andare oltre il settore dei videogame. Un settore redditizio ma che, con l'arrivo delle console di nuova generazione, ormai richiede enormi investimenti a fronte di rischi elevati.

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  7. Fra 20 anni sentiremo i Radiohead

    ANDREA SCANZI

    La longevità è la grande assente della musica contemporanea. A mancare non è tanto la genialità, quanto la capacità di invecchiare. I Bruce Springsteen non nascono più: al massimo, ed è già molto, spunta ogni tanto un Damien Rice. La supernova generata dagli irripetibili anni 60-70 ha fatto sì che, ancora oggi, band più decrepite che storiche riempiano gli stadi. Se in politica il ricambio generazionale è negato dall'attaccamento alle poltrone degli immarcescibili primattori, nella musica il cambio d'epoca è negato dal fiato corto dei giovani. Oggi non è infrequente l'exploit dell'ennesima next big thing che fa gridare al miracolo. I talenti, a cercarli, ci sono. Solo che si spengono subito. Neanche tre dischi e il loro suono non è che uno stanco reiterarsi di se stessi. E' il caso dei Coldplay: adorabili all'esordio, ispirati nell'opera seconda, pleonastici al terzo disco. E la tanto sbandierata elettronica, «la nuova frontiera», non è che fila di meteore stese al sole (Chemical Brothers, Moby, Fat Boy Slim).

    Difficile immaginare band contemporanee che ascolteremo tra 20 anni. A maturare meglio sono coloro che, alla facile auto-clonazione, preferiscono la rivoluzione. Lo stravolgimento. Il rischio. A inizio 90, Jeff Tweedy aveva titillato il bilico della critica d'essai inventando il cosiddetto «alternative country» con il suo gruppo, gli Uncle Tupelo. Un bel giorno ha mollato tutto e fondato un'altra band, i Wilco. Era il 1995 e sono ancora lì, tra echi del folk di Woody Guthrie, rock sporco alla Neil Young e un'idea chiara di musica nuova .

    Troppo di nicchia? Un altro nome possibile, senza dimenticare il rock longevo dei Pearl Jam, sono i Radiohead, capaci dal 1993 a oggi di gestire la sperimentazione, svecchiandosi con sonorità a volte estreme ma comunque proprie, dinamiche. Come per i Wilco, più che un gruppo i Radiohead sono una microgalassia che vive di luce riflessa. Il faro dei Radiohead, Thom Yorke, è un Leopardi del rock con l'occhio sbilenco e il grugno triste, lineamenti alieni e idee artistiche in grado di durare (sempre che un giorno non soggiaccia definitivamente alla follia cara ai diamanti pazzi). Kurt Cobain preferì il fuoco indimenticabile di un giorno alla labile fiammella che a poco poco si spegne. Il guaio è che gran parte dei suoi epigoni non sono né fuoco, né fiammella.

    FONTE


  8. Police, i vecchi ragazzi giocano ancora

    Sting pare rivitalizzato, la voce è ancora più duttile, il fisico integro. Partono con "Message in a bottle", rinfrescato da un buon restyling

    MARINELLA VENEGONI

    INVIATA A VANCOUVER

    Aveva appena finito il tour di Labyrinth, musiche del 500. «Guardavo il mio liuto appoggiato all'angolo della stanza, e mi sono chiesto: E ora, che faccio? Un altro disco di liuto? Ma dove? Un altro disco di Sting? No, sarebbe la solita storia. Che cosa sorprenderebbe la gente? Che cosa sorprenderebbe me?». Così - per noia, per ansia - è nata l'anno scorso l'idea della riunione dei Police, come confessa l'eternamente bel tenebroso bassista. Si capisce bene che ora è galvanizzato, sul palco della GM Place, davanti a 20 mila canadesi e viaggiatori da tutto il mondo, età dai venti ai sessanta, entusiasmo a mille. Lui sempre così chic si è vestito da tamarro, maglietta senza maniche, braghe strette negli scarponcini, capelli cortissimi e sì, tinti. Riuniti qui a Vancouver per il debutto, la prima volta dal 1986, sembrano tornati biondi tutti e tre, i Police. Come per il famoso spot del chewing gum che li fece conoscere. Infilano e ridisegnano 21 successi, in due ore senza tregua: e chiudono con la furia di Next To You, che fu il primo singolo giusto 30 anni fa, nel maggio 1977, quando usarono il punk come cavallo di tr**a per entrare nel musicbusiness. C'è aria fresca di revival, ma i tre sono tutt'altro che bolliti. Ordine di vitalità: primo, Sting. In fondo, questo è il suo concerto: lui i suoi pezzi ha continuato a cantarli, e ora la voce sembra ancora più duttile e sicura, il fiato c'è, il fisico è integro, la presenza magnetica. Sembra rivitalizzato. Certo, gli altri due aggiungono alle canzoni una sincerità e una profondità che la band di Sting solista non poteva possedere.

    Secondo è Copeland, macchina da ritmo alla batteria; la banda nera sotto la frangetta tiene fermi pure gli occhiali, e anche lui ha una luce di divertimento negli occhi, erompe spesso in grida selvagge, ridà solida vita al ritmo reggae che era diventato un retaggio della memoria. Terzo, Summers. Talvolta sembra voglia strafare, con quella chitarra pomposa e un po' barocca, addomesticata poi dal rigore che assume la parte centrale dello show, dove si raggiunge un più efficace equilibrio stilistico e sonoro fra reggae, rock, spruzzate jazzy, improvvisazioni varie in pezzi di fattura sofisticata come Wrapped Around Your Fingers, The Bed's Too Big Without You e Murder By Numbers: qui c'è un richiamo all'attualità; il brano era ispirato alle guerre di religione in Irlanda, e parlava del cinismo dei politici che trasformano il loro cuore in pietra, e i morti in numeri. Sting al microfono: «Nel 1983 il reverendo Jimmy Swaggart decise che questo pezzo era stato scritto dal diavolo in persona»; ma le guerre evolvono, e ora sui maxischermi scorrono immagini dei conflitti mediorientali in corso.

    Il concerto era partito con la voce del nume tutelare del reggae, Bob Marley, che cantava Get Up Stand Up...Don't Give Up the Fight. Citazione doverosa per una band che fece successo in levare, e che ora recupera quel ritmo ormai consumato con iniezioni di nuova freschezza, nelle contaminazioni che sono una specialità di Sting e di tutta la ditta Police. Nell'attesa incandescente della folla, spezzata da un colpo di gong, i tre hanno sparato per prima Message in a Bottle, il marchio più riconoscibile. Ma è parso subito chiaro che erano stati fatti lavori di restyling: suoni crudi per Synchronicity II che dura sei minuti, un rock più deciso in Every Breath You Take, reggae d'assalto in Spirits in the Material World e in Don't Stand So Close to Me dove Sting fa il buffone, si spruzza menta in bocca e si annusa poi un'ascella per mostrare cosa succede a stare troppo vicini.

    C'è una bella energia, insomma, venata di umorismo. Come di tre ragazzini di 54 (Copeland), 55 (Sting) e 64 anni (Summers) che si sono ritrovati e riescono nuovamente a giocare insieme, divertendosi, guardandosi in faccia, avvicinandosi spesso l'uno all'altro: in fondo, sono fra i pochi dinosauri del rock a non essersi mai fatti reciprocamente causa. A chiudere prima dei bis è Roxanne, un altro monumento, rifatta in chiave tribale dalla ritmica di Copeland; Sting ci dà dentro suonando un basso che ha l'aria di essere quello consumato dei buoni tempi antichi. Si intuisce nei bis che il concerto potrebbe ridecollare ora, nella complessità della riscrittura di pezzi come King of Pain o So Lonely. Invece il tempo scade, e i tre abbandonano finalmente la loro elegante arena ovale, nera e metallica, talvolta delimitata da un maxischermo trasparente, che ospita il tour nelle arene coperte. Baci e abbracci. Urla di Copeland e del pubblico. Davvero, una gran festa è appena cominciata.

    FONTE


  9. Paul Newman dice addio: "Col cinema ho chiuso"

    Il saluto dell'attore: "Non riesco più a lavorare, cinquant'anni sullo schermo bastano "

    NEW YORK

    Non lo vedremo più sul grande schermo, se non nei ruoli che lo hanno reso celebre come «Butch Cassidy», «La stangata» e «La gatta sul tetto che scotta». Paul Newman ha dato il suo addio al cinema e ha annunciato che non reciterà più. «Non sono più capace di farlo come vorrei» ha detto all'emittente ABC, «si comincia a perdere la memoria, la fiducia in se stessi, la creatività. Perciò sono convinto che per quanto mi riguarda si tratta di un capitolo chiuso».

    Non resterà certo con le mani in mano l'uomo che ha di fatto lanciato gli alimenti biologici mettendo la propria faccia sulle etichette della «Newman's Own», un colosso da 250 milioni di dollari di fatturato che devolve tutto in beneficenza. «Sono grato per le altre cose che sono entrate a far parte della mia vita» ha aggiunto l'82enne collezionista di Oscar -sul suo caminetto ce ne sono sei- il cinema, ha assicurato, non gli mancherà.

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  10. Trent'anni di Guerre Stellari

    Quattro giorni di festa a Los Angeles, oggi maratona di proiezioni.

    Lucas non conferma la sua presenza

    LOS ANGELES

    Guerre Stellari compie trent'anni: il 25 maggio del 1977, infatti, nasceva il fenomeno che con sue spade laser, le sue principesse, i robot, le astronavi e l' eterna lotta tra il bene e il male ha influenzato la cultura pop di tre decenni e rivoluzionato per sempre l modo di fare cinema Hollywood, anche se a George Lucas ha sempre guardato con diffidenza, essendo lui spirito indipendente estraneo alle sue logiche non poteva dimenticarsi dell'evento e, per quattro giorni, da oggi sino al 28 maggio, l'L.A. Convention Center ospita una festa di compleanno degna di tanta popolarità. La festa, dal titolo Celebration IV (perch‚ in realtà si tratta del quarto avvenimento del genere negli anni, i primi tre si sono svolti a Denver nel 1999 e a Indianapolis nel 2002 e 2005), è iniziata oggi con una maratona cinematografica di tutti gli episodi della famosa saga cinematografica. E la prima volta che i sei episodi, circa 17 ore, vengono proiettati uno di seguito all'altro.

    Dopo la maratona inizierà la festa vera e propria, alla quale parteciperanno fra gli altri Carrie Fisher, la Principessa Leia e Anthony Daniels (C-3PO). Ancora incerta la presenza di Harrison Ford e del papà di Guerre Stellari George Lucas. Nel programma dell'evento ci sarà una rappresentazione teatrale di Guerre Stellari, dal titolo Space: the musical, che verrà rappresentato sino al 30 giugno in un teatro della cittadina californiana di Bakersfield, due parate in costume a tema Guerre Stellari, la presentazione del documentario di History Channel dal titolo Star Wars: the legacy revealed e eventi sportivi come la Stormtroopers Olympics, l' XXtreme Droid Challenge e persino un combattimento con le spade laser.

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  11. Nel 1612, l'autore di Giulietta e Romeo scrisse Storia di Cardenio

    Il testo andò perduto durante l'incendio che distrusse il Globe Theatre

    "Ecco il Chisciotte firmato Shakespeare"

    Giallo sul ritrovamento di un dramma

    DAL nostro corrispondente ENRICO FRANCESCHINI

    È PROBABILMENTE l'accoppiata più forte della letteratura mondiale: il padre di tutti i commediografi e quello di ogni narratore, William Shakespeare e Miguel Cervantes. Immaginiamo che l'autore di Giulietta e Romeo abbia scritto un dramma ispirato dal Don Chisciotte di Cervantes.

    Immaginiamo che questo dramma sia andato in scena soltanto due volte, al tempo di Shakespeare, e poi il testo sia scomparso in un incendio del Globe Theatre di Londra; che quattro secoli più tardi un direttore della Royal Shakespeare Company riesca miracolosamente a ritrovare il dramma andato perduto e decida di metterlo in scena con una produzione ispano - britannica, in omaggio ai due formidabili scrittori uniti dalla singolare vicenda.

    È una storia che fa sognare e che diventerà realtà, stando a quanto annunciato l'altro giorno dal direttore della Royal Shakespeare Company, Gregory Doran, a Madrid. Ma è una storia che contiene anche un mistero: cosa ha esattamente ritrovato, il signor Doran?

    "Certamente non un manoscritto polveroso su uno scaffale", dice un portavoce della Royal Shakespeare Company interpellato da Repubblica qui a Londra. Per capirne di più, come in un giallo che si rispetti, conviene fare un passo indietro. Qualche notizia certa su un'opera di tal genere esiste. Il Don Chisciotte arriva in Inghilterra nel 1612, sette anni dopo la pubblicazione in Spagna, tradotto in inglese da John Shelton. Basandosi su un episodio del romanzo di Cervantes, quello stesso anno Shakespeare scrive un dramma intitolato Storia di Cardenio, aiutato da un altro commediografo, John Fletcher.

    Il "Cardenio" viene messo in scena due volte l'anno seguente al Globe Theatre, che viene però distrutto pochi mesi più tardi da un incendio (quello che i turisti visitano sulle rive del Tamigi è una copia) in cui vanno bruciati molti originali delle commedie del grande bardo, tra cui anche quella ispirata dal Don Chisciotte. Da allora si perdono le tracce del manoscritto, al punto da insinuare perfino il dubbio che sia mai esistito.

    Quarant'anni dopo la prima rappresentazione, nel 1653, uno storico dell'arte racconta di avere visto una copia del "Cardenio" firmata sul frontespizio da Shakespeare e Fletcher. Poi il giallo fa un altro balzo in avanti: nel 1727 il drammaturgo Lewis Theobald sostiene di avere scritto il suo dramma Double falshood (Doppia menzogna) traendo ispirazione dal "Cardenio".

    E veniamo al presente. Già nell'ottobre scorso Doran accennò vagamente al "ritrovamento" dell'opera perduta di Shakespeare. L'altro ieri, secondo quanto riporta il quotidiano spagnolo El Mundo, è stato più esplicito: "Siamo riusciti ad autenticare uno dei manoscritti sulla cui veridicità si facevano infinite supposizioni. Siamo riusciti a trovare degli originali affidabili. C'è un indizio molto chiaro. Confrontandolo con la prima edizione in inglese del Don Chisciotte, ci sono alcuni monologhi quasi identici. Shakespeare trascriveva spesso alla lettera dialoghi da testi originali, per esempio con Plutarco". Ma il giallo non verrà chiarito, né il mistero svelato, sino a quando il "Cardenio" ritrovato non andrà in scena, nel 2009.

    FONTE


  12. Cesana-Sestriere, il ritorno del mito

    Da tutta Europa arrivavano i grandi campioni per sfidarsi sui dieci chilometri che portano al Colle

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    Ludovico Scarfiotti in gara nel 1965

    CRISTIANO CHIAVEGATO

    TORINO

    Decine di migliaia di persone assiepate lungo il percorso. Erano gli Anni Sessanta, quelli del boom economico, la gente usciva dalla città e andava in montagna. La gita, l'aria fresca, il pic-nic, la merenda e soprattutto l'occasione per vedere auto favolose, guidate da campioni del volante dei quali si sentiva parlare solo alla radio, o sui giornali. La Cesana-Sestriere, una delle gare in salita più prestigiose del mondo, ritorna alla ribalta. Si disputerà nuovamente, dopo 15 anni d'interruzione, sul percorso classico. Ma sarà riservata alle vetture da competizione d'epoca, dal 20 al 22 luglio, con partenza della corsa alle 10 di domenica 22 luglio.

    La tradizione

    La prima edizione risale al 1961, l'ultima venne effettuata nel 1992, quando il manto stradale fu ritenuto inadatto per bolidi che viaggiavano a quasi 140 di media. Ora l'asfalto, grazie alle Olimpiadi 2006, è stato completamente rinnovato. Proprio sull'onda dei Giochi invernali, e per garantire una ricaduta sul comprensorio, l'Automobile Club torinese ha deciso di riprendere l'evento, che avrà una partecipazione internazionale.

    Sulla strada che da Cesana porta al colle - 10.400 metri di tracciato tortuoso e ondulato con ben 680 metri di dislivello - si potranno rivedere auto da corsa che hanno fatto la storia. Erano guidate da piloti celebri impegnati anche in F1, perché a quei tempi il Campionato europeo della montagna vedeva la partecipazione di grandi Case.

    L'elenco dei vincitori comprende nomi importanti. La prime due edizioni andarono alle Maserati 2000 di Boffa e Govoni, poi si alternarono al successo personaggi del calibro di Edgar Barth, Ludovico Scarfiotti, Rolf Stommelen, Gerard Mitter, Peter Schetty (pilota ufficiale e poi direttore sportivo della Ferrari), Arturo Merzario, Johannes Ortner, Mauro Nesti (nove volte vincitore). Lo spagnolo Andrè Vilarino nel 1992 stabilì alla guida di una Lola T298 Bmw 2500 il record in 4'31''58, alla media di 137,977 chilometri orari.

    Cantarella

    Fra i promotori dell'iniziativa c'è l'ingegnere Paolo Cantarella, ex numero uno di Fiat Auto: correrà con una sport prototipo Olmas 2500 Alfa Romeo, sta attivandosi per portare al Sestriere il maggior numero di modelli prodotti dall'Abarth, marchio che la Fiat ha rilanciato a pieno regime quest'anno. Alle auto dello Scorpione (fra le quali le mitiche 595 SS e 1000 TC) faranno compagnia vetture turismo come Alfa GTA, Lancia Fulvia HF, Renault Alpine, Lotus Cortina, Mini Cooper, molti modelli di Porsche e i prototipi Osella, March, Lola. Prevista la partecipazione di 150 concorrenti.

    Una sfilata atipica di auto da concorso, tutte impegnate in una gara. E bisogna dire che molti concorrenti non risparmieranno le loro preziose vecchiette: c'è sempre chi si impegna al massimo per vincere, nelle varie categorie e per l'assoluto. Probabilmente il primato di Vilarino non correrà grandi rischi, sicuramente non mancherà lo spettacolo. Anche perché le vetture che sembrano uscire dal passato restano competitive, le gomme sono migliorate e scrivere il proprio nome sull'albo d'oro della Cesana-Sestriere può essere il sogno di una vita da pilota.

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  13. Dopo racconti di successo in Gran Bretagna, è arrivato il primo romanzo

    Bestseller per Joe King, figlio di Stephen

    Per 10 anni si è firmato Joe Hill: non voleva scrivere con la pressione del figlio di un autore famoso. Ora è uscito allo scoperto

    NEW YORK – Nel 1982, quando aveva 9 anni, fu scritturato da George Romero in «Creepshow» il thriller mozzafiato scritto da suo padre, Stephen King, che 15 anni più tardi gli dedicò il semi-autobiogafico «The Shining», la storia di uno scrittore alcolizzato e del figlio ipersensibile e geniale. Con un pedigree del genere, il secondogenito del romanziere più conosciuto del pianeta avrebbe potuto fare la fine di tanti precoci «figli di papà», talentuosi ma incapaci di misurarsi con l'ombra troppo ingombrante di un famosissimo padre. E invece è successo il contrario.

    Diventato ormai adulto, non solo Joe ha deciso di seguire le orme del padre, ma è riuscito anche a emularne il successo. Prima con una serie di racconti intitolati «20th Century Ghosts», che nessuno in America voleva ma che, pubblicati in Inghilterra, hanno vinto due Bram Stoker Awards, un World Fantasy Award e un International Horror Guild Award. E adesso con il suo primo romanzo, «Heart-Shaped Box», la storia di un musicista rock sulla via del tramonto che decide di comprare un fantasma a un'asta online. Il libro è stato acclamato dai critici, svettando in cima alla lista dei best seller del New York Times, che gli ha dedicato un lungo servizio sul suo prestigioso Magazine.

    Un vero trionfo, per il 32enne Joe, che segna anche ciò che il Times definisce «la fine di un elaborato gioco d'identità»: il debutto pubblico dell'uomo dietro uno pseudonimo adottato più di dieci anni fa. Sì, perché fino ad oggi Joe King si faceva chiamare Joe Hill, come il sindacalista organizzatore del movimento operaio, autore di canzoni popolari e rivoluzionarie, vissuto in America tra il 1879 e il 1915. Seguire l'esempio di un genitore famoso non è certo una novità nel mondo delle lettere Usa, come testimoniano gli eredi di Bellow, Mailer, Malamud, Walker, Wolfe e Jong, tanto per menzionarne alcuni. Ma Joe è l'unico ad aver stretto un patto con se stesso: nascondere a tutti la propria origine, fino al giorno in cui sarebbe diventato anche lui famoso. Senza l'aiuto del padre.

    «Abbiamo appreso la sua vera identità soltanto dopo aver firmato il contratto» giurano Jennifer Brehl, sua editor alla William Morrow, e Akiva Goldsman, sceneggiatrice e premio Oscar dietro «A Beautiful Mind» e «Il Codice Da Vinci», che ha acquistato i diritti cinematografici del libro. Oltre a dover fare i conti con un padre che ha venduto oltre 300 milioni di libri in tutto il mondo, Joe deve misurarsi con una famiglia dove la scrittura è nel sangue. Dalla madre Tabitha, autrice di una decina di romanzi di successo al fratello Owen, stimato romanziere come sua moglie Kelly Braffet. L'unica non scrittrice di casa è la primogenita Naomi, pastore protestante. Ma a rendere particolarmente arduo il suo anonimato è l'incredibile somiglianza allo Stephen King della famosa copertina di «Danse Macabre», pubblicato nel 1981, quando l'autore aveva la sua stessa età. E se ha trascorso la vita a cancellare il padre, che peraltro adora, Joe ha finito per essere identico a lui in tutto.

    Si è sposato giovane, con la scrittrice Leanora, ha anche lui tre figli e vive in una area isolata del New England. E, se non bastasse, mostra i suoi manoscritti alla moglie prima di darli alle stampe. King fa lo stesso con Tabitha. «Molte persone sposano la loro madre - scherza Joe - Io ho sposato mio padre». Un padre molto diverso dagli altri. «Da piccoli ci sedevamo in cerchio nel salotto, come si usava in America nell'800, e, a ruota, leggevamo ognuno un capitolo dello stesso libro». Coi tre figli lo scrittore inventava i giochi più insoliti e creativi. Come il «Writing game», versione letteraria di "chiapparello", dove uno dei fratelli scriveva per alcuni minuti per poi passare la storia all'altro. I suoi genitori non gli hanno mai detto quali libri e programmi tv poteva vedere e quali, invece, erano off limit. «A 12 anni, per il mio compleanno, invitai tutta la classe a vedere L'alba dei Morti Viventi racconta, «La maggior parte dei miei compagni scapparono a metà film, pallidi e sconvolti di paura. Io me la godevo come un matto a rivedere quel film per la decima volta». E anche la sua riservatezza estrema ricorda quella del padre. «A 12 anni mi sono trovato alla porta un detenuto appena uscito di prigione - ricorda - Mi disse che i libri di papà erano l'unica cosa che l'avevano aiutato a non uccidere in carcere. Me la feci sotto».

    Alcuni anni più tardi dei fan ossessionati fecero irruzione in casa, di notte. «Da allora sono diventato molto guardingo. E gelosissimo della privacy». Eppure la sua scelta di anonimato non ha nulla a che fare con la paura. «Ho avuto più di 10 anni per scrivere senza la pressione di essere il figlio di un autore famoso - racconta -.Adesso posso finalmente uscire allo scoperto».

    Alessandra Farkas

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  14. Il nuovo libro sulle donne afgane di Hosseini, l'autore del "Cacciatore di aquiloni"

    l'Anatolia poetica e crudele di Zaimoglu e l'Iran dalla Persia a oggi di un grande viaggiatore

    Libri, via dall'Occidente percorrendo le strade dell'est

    di DARIO OLIVERO

    AFGHANISTAN

    Il primo libro di Khaled Hosseini, Il cacciatore di aquiloni, ha venduto sette milioni di copie nel mondo e continua a vendere. Un libro che parla di Afghanistan e diventa un bestseller è uno di quei casi che fanno saltare ogni statistica e previsione del mercato librario. Ora lo scrittore, nato a Kabul ma cittadino americano, che ha fatto il miracolo è atteso alla prova più difficile, la seconda. Si intitola Mille splendidi soli (tr. it. I. Vaj, Piemme, 18,50 euro). Inutile e dannoso fare previsioni su come andrà (intanto l'editore ha tirato 250 mila copie in prima edizione). Veniamo alla trama. Poiché esiste sempre qualcuno più in basso nella scala sociale, ecco l'insegnamento della madre di Miriam, donna afgana che deve crescere una figlia non riconosciuta dal padre: "Imparalo bene e imparalo adesso, figlia mia. Come l'ago della bussola segna il nord, così il dito accusatore dell'uomo trova sempre una donna cui dare la colpa". Con un amore che ricorda Almodovar, Hosseini regala il suo libro alle donne afgane, e in particolare alle ultime delle ultime tra loro. Attraverso la vita di Miriam e di Laila, attraverso i racconti del padre di Miriam, che pur non avendola accolta nella sua casa, ogni giovedì la va a trovare, attraverso la rassegnazione della madre disposta a fare di tutto pur di non permettere alla figlia di avere quell'occasione di riscatto che a lei è sempre stata negata, attraverso i fratelli di Laila morti nella jihad prende forma un altro grande affresco dell'Afghanistan degli ultimi cinquant'anni. Dalla caduta di Zahir Shah, all'arrivo dei sovietici a segnare il paese da un'altra guerra.

    ANATOLIA

    Feridun Zaimoglu è un tipo sorprendente. Nato in Turchia, vive in Germania da trent'anni. Che sia per la forza dei ricordi o per la trasfigurazione del passato in opera d'arte che è il primo elemento della letteratura, ha scritto un libro altrettanto sorprendente, Leyla (tr. it. M. Belardetti, il Saggiatore, 16,50 euro). Una famiglia in Anatolia con la Turchia in guerra in Corea al fianco degli americani. Il capo famiglia è un ceceno feroce e pieno di odio. Con la moglie e i figli comunica solo a bastonate, odia la terra che lo ha accolto quanto il bolscevismo che l'ha privato di una patria. Il carburante continuo del suo odio è una lettura riga per riga del Corano che lo giustifica in ogni eccesso di violenza. Ma ecco che la piccola della famiglia, abituata come madre e fratelli ad abbassare lo sguardo, riesce a trovare la sua personale e illuminata via verso la salvezza. Uno stretto sentiero che corre tra la dolce saggezza delle donne di Anatolia che circondano Leyla e il rischio continuo che la saggezza diventi superstizione. E che la porta lontano, verso Istanbul e ancora più in là verso la Germania portandosi dietro soltanto la parte migliore di quella dolcezza.

    IRAN

    Con la forza, la curiosità e lo stile che soltanto gli inglesi hanno in queste cose, Jason Elliot rinnova la tradizione di grandi viaggiatori ed esploratori che lo hanno preceduto. Raccogliendo i taccuini di tre anni di viaggi, mette insieme un libro poderoso dal titolo Specchi dell'invisibile. Viaggio in Iran (tr. it. V. Mingiardi, Neri Pozza, 28 euro). Racconta la Persia, infinitamente prima del 1979 e prima anche di quando nell'Ottocento divenne meta di romantici dandy inglesi alla ricerca del fascino del passato perduto tra le rovine. Racconta la Persia degli astronomi e degli ottici, dei filosofi e dei sufi, degli imperatori e dei giardini, delle donne e degli eretici, dei matematici e degli alchimisti, di mongoli e moschee, di Erodoto e Byron, di Ciro e Dario, di Susa e Persepoli. Continue incursioni nel passato e ritorni al presente, lo scià e gli ayatollah, Soraya e Khomeini, le strade di Teheran, la difficile condizione di essere sciiti circondati da sunniti, il gusto millenario per la speculazione filosofica nascosto in una chiacchiera con un tassista. Ed evoca il fascino di quella terra di mezzo sospesa tra Occidente e Oriente.

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  15. Inchiesta tariffe adsl in Europa Altroconsumo: navigare costa piu' caro in Italia operatori appiattiti su Telecom

    24-05-2007

    I contratti dei provider italiani per connettersi in Rete sono spesso più costosi di quelli offerti dagli altri operatori europei. Nel nostro Paese la concorrenza continua a essere praticamente assente.

    E' quanto emerge dall'inchiesta internazionale che Altroconsumo, associazione indipendente di consumatori, ha condotto sulle tariffe ADSL di otto Paesi europei: oltre all'Italia, Belgio, Francia, Germania, Paesi Bassi, Portogallo, Regno Unito, Spagna.

    Un'importante nota positiva da registrare: il tempo gioca a favore dei navigatori in Italia. Rispetto all'inchiesta di Altroconsumo condotta due anni fa, infatti, il costo mensile dei contratti italiani oggi è diminuito. Se si considera un contratto flat base, oggi si pagano circa 20 euro al mese, contro i 30 euro nel 2005. Anche la velocità di connessione è aumentata a 2000Kbit/s.

    Ma nel complesso i migliori contratti in Europa distanziano quelli italiani in convenienza e in velocità massima di connessione.

    Il mercato in Italia è ingessato, la concorrenza non gioca e tutti gli operatori sono allineati sui prezzi dell'ex monopolista, Telecom Italia. Con ripercussioni sull'effettiva convenienza delle offerte.

    Alcuni esempi in cifre: per un uso medio della Rete (un'ora al giorno di connessione, 30 al mese) la forbice delle tariffe in Europa è ampia: si va dai 10 euro offerti dal provider olandese 12Move ai 47,44 euro dello spagnolo Telefonica. Ai primi posti in classifica si trova l'italiano Tele2 Adsl Flat 2 Mega che costa comunque 18,90 euro al mese, cioè molto di più dei contratti meno cari nei Paesi Bassi e in Francia.

    Per un uso elevato della Rete (5 ore al giorno di connessione, 150 al mese), ben cinque Paesi su sette sono più convenienti dell'Italia: Francia, Paesi Bassi, Germania, Regno Unito, e Portogallo offrono tariffe più contenute. I contratti più economici del Bel Paese, Tiscali Adsl 12 Mega Flat e Wind Libero Mega sono a 29,95 euro, cioè il doppio rispetto al più conveniente in Europa, il provider francese Club Internet (14,90 euro).

    Altroconsumo giudica positivamente la delibera dell'AGCOM approvata ieri sulla banda larga all'ingrosso. Dovremmo assistere infatti a riduzioni di prezzi al consumo e migliori prestazioni grazie all'abbandono del costo al dettaglio (retail minus) nella formazione del prezzo all'ingrosso.

    Altroconsumo chiede all'AGCOM di vigilare in vista dell'offerta che Telecom dovrà fare, in base alla nuova delibera dell'Autorità, entro quindici giorni. Prezzi all'ingrosso da parte di Telecom Italia sproporzionati, rispetto alle pratiche più competitive in Europa, non dovranno essere accettati nell'interesse della concorrenza, dei consumatori, e della modernizzazione del Paese. Con investimenti più efficienti nel settore, e più efficace concorrenza tra operatori, si potrebbe così colmare la distanza che divide il nostro Paese in zone raggiunte dalla banda larga e zone non ancora coperte da infrastrutture di accesso a larga banda, con i cittadini divisi tra chi è privilegiato e chi invece è di serie B.

    Seguono grafici inchiesta.

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  16. File sharing: Altroconsumo chiede all'Ordine di richiamare gli avvocati dei discografici e si schiera a difesa dei "minacciati"

    24-05-2007

    Altroconsumo ha invitato, con questa raccomandata (vedi il documento tra le risorse, in fondo alla pagina) l'Ordine degli Avvocati di Bolzano a intervenire con urgenza per violazione del Codice Deontologico Forense nei confronti di Otto Mahlknecht, legale della casa discografica tedesca Peppermint Jam Records Gmbh, e mittente nei giorni scorsi di una "intimidatoria" missiva nei confronti di alcuni utenti della Rete (tra cui alcuni nostri soci).

    Questa la vicenda. Più di 3.600 utenti di Internet giorni fa hanno ricevuto una tanto perentoria quanto "minacciosa" lettera raccomandata dallo studio legale altoatesino Mahlknecht & Rottensteiner, studio che difende gli interessi della società discografica Peppermint di Hannover. I discografici tedeschi, infatti, accusano gli utenti in questione di aver scaricato e messo in condivisione (attraverso una piattaforma di Peer2Peer) alcuni file coperti da diritto d'autore e intimano, nella raccomandata, il pagamento di 330 euro (a parziale risarcimento di "ipotetici" danni) e l'immediata rimozione dei file contestati.

    Gli utenti raggiunti dalla raccomandata, infatti, pagando i 330 euro vedrebbero chiudersi "bonariamente" la vertenza con i discografici teutonici, evitando pertanto l'avvio di una causa penale. Si tratta di una procedura sulla quale molto c'è da obiettare, così come crea forti dubbi (violazione della privacy) anche il modo con il quale sono stati acquisiti gli indirizzi IP degli utenti coinvolti. Il lavoro di ricerca e individuazione dei file "abusivi" è stato condotto dalla società svizzera Logistep; attraverso questa attività (sulla legittimità della quale tra l'altro abbiamo sollecitato il Garante per la Privacy a prendere una chiara posizione qui link alla lettera) si è poi risaliti ai nominativi legati agli indirizzi IP grazie anche a un'ordinanza del Tribunale di Roma nei confronti di Telecom (individuata attraverso gli indirizzi IP acquisiti dalla Logistep quale ISP).

    Purtroppo il caso rischia di allargarsi. Proprio in questi giorni, infatti, ci sarebbero almeno altri due procedimenti cautelari in corso a Roma contro Tiscali e Wind Infostrada, questa volta attivati da una società polacca che opera nel settore dei videogiochi; i legali della stessa società ci avevano già provato poco tempo fa in Francia suscitando anche in quella occasione il disappunto dell'Ordine degli Avvocati e il conseguente avvio di un'indagine per verificare possibili violazioni del codice deontologico (cosa che ci auguriamo, appunto, accada anche da noi). Lo schema, comunque, resterebbe lo stesso utilizzato nella vicenda Peppermint, ovvero l'utilizzo del software della Logistep (ancora lei) per rintracciare gli indirizzi IP dei presunti "pirati" e il ricorso al tribunale di Roma per obbligare i provider a fornire i dati fisici abbinati agli IP. Proprio su questi due procedimenti ancora in corso pare, però, voglia finalmente intervenire il Garante per la Privacy, così come annunciato in un suo recente comunicato.

    A fronte di un comportamento che noi riteniamo scorretto e lesivo dei diritti dei consumatori, è bene si facciano da subito alcune importanti considerazioni:

    • il coinvolgimento delle persone e l'ammontare del danno va provato caso per caso e Peppermint non può agire, allo stesso tempo, da parte lesa e da giudice, stabilire colpe e quantificare danni; come ha affermato lo stesso Fiorello Cortiana (membro del Comitato consultivo sulla Governance di Internet del Ministero dell'Innovazione) l'azione legale della Peppermint è basata su "un danno presunto e non documentato da prove";
    • se anche la questione si dovesse chiudere "bonariamente" i consumatori di fatto non evitano il coinvolgimento penale; trovare un accordo con la parte lesa non elimina la perseguibilità in ambito penale del consumatore: il reato infatti è perseguibile d'ufficio e, tra l'altro, il consumatore, accettando la transazione, ammette implicitamente la colpa;
    • i risultati della Logistep non sono affatto "una prova"; la prova va valutata in contraddittorio e davanti al giudice. Inoltre, proprio perché l'IP identifica un Pc (e in molti casi neanche quello, pensiamo alle reti Wifi) non chi lo usa, la responsabilità non può essere addossata automaticamente al proprietario e neanche è possibile costringere il proprietario (ammesso che sia in grado di dirlo) a rivelare chi usa il suo computer o a dedurre la colpevolezza da un eventuale diniego.

    Ciò detto, invitiamo tutti i consumatori raggiunti dalla raccomandata della Peppermint a contattarci all'indirizzo mail peppermint@altroconsumo.it, per avere ulteriori informazioni, ottenere importanti indicazioni su come comportarsi e conoscere nel dettaglio le iniziative di Altroconsumo atte a far valer i diritti di tutti gli utenti coinvolti in questa vicenda. Altroconsumo continua a ritenere legittima la difesa della proprietà intellettuale, uno dei pilastri della società dell'informazione, ma occorre garantirla nel rispetto dei diritti fondamentali degli utenti.

    Forme di collaborazione assai meno invasive dell'autonoma investigazione posta in essere dalla Peppermint hanno recentemente dato luogo ad un vero e proprio sollevamento del "popolo della Rete" in occasione della approvazione della direttiva IPRED 2 in prima lettura. Qui però, si va ben oltre l'IPRED 2, stiamo assistendo ad un salto di qualità della lobby in questo settore: non si cerca più di fare in modo che siano approvate leggi discutibilissime ma si utilizza quello che c'è calpestando di fatto il diritto, altro che squadre di investigazione congiunte, qui se la cantano e se la suonano e se questa azione non viene fermata al più presto anche con adeguata punizione di chi ha tentato di mettere in piedi il marchingegno rischiamo che sia legittimato un modus operandi a dir poco aberrante.

    Richiesta urgente di intervento per violazione del Codice Deontologico Forense da parte del Vostro iscritto Avv. Otto Mahlknecht

    FONTE