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Skype, L'abbandono Di Paypal E Il Nuovo Skype To Go

7 messaggi in questa discussione

Altre rivoluzioni in casa Skype. Dopo aver apparentemente cambiato atteggiamento verso la polizia europea, la società estone ha deciso di modificare anche alcuni suoi servizi. A cominciare dal “matrimonio” con Paypal, che era chiaramente un’unione di interesse. La possibilità di inviare denaro via Skype attraverso il servizio di eBay, inaugurata nel 2007, non ha effettivamente coinvolto gli utenti, portando alla decisione di separare le chiamate VoIP dai servizi finanziari, concentrandosi quindi sul core business.

Altra novità: Skype ha deciso di abbassare in modo sostanziale i costi del servizio SkypeToGo, per le chiamate da fisso a cellulare, e di renderlo ancora più facile. D’ora in poi, infatti, non sarà più necessario avere un account Pro per potervi accedere, e le chiamate diventano low-cost.

BlogVoIP

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Nonostante il clamore suscitato dalle recenti modifiche applicate da Facebook alle proprie condizioni di utilizzo del servizio (ToS) e al successivo ripensamento con tanto di invito ai netizen per riscrivere quella che è stata paragonata ad una vera e propria costituzione democratica, gli utenti del social network che va per la maggiore sembrano aver risposto in maniera piuttosto timida al pomposo invito del CEO Zuckerberg. Ad ora, dei milioni di utenti iscritti, solo una piccola percentuale sembra voler prendere parte attiva alla stesura delle nuove normative che regolamenteranno l'utilizzo del sito.

Dopo l'attenzione mediatica degli ultimi periodi, sarebbe lecito per qualcuno aspettarsi una risposta di massa da un social network che conta circa 180 milioni di iscritti: andando a sbirciare tra i partecipanti ai due gruppi che gestiranno le dichiarazioni di diritti e dei principi che regoleranno la nuova era si contano invece, al momento in cui si scrive, rispettivamente 9.453 e 10.016 utenti.

Un numero giudicato irrisorio da Nick O Neill, la penna che gestisce AllFacebook vale a dire un blog non ufficiale dedicato a tutto il mondo che ruota intorno alla creatura di Zuckerberg: "La risposta attuale alle proposte fatte da Facebook non può essere in alcun modo sostanziale" tuona in un post. "Se la risposta degli utenti continuerà ad avere un profilo così basso - continua - c'è una buona possibilità che gli utenti veri e propri avranno un ruolo ed un effetto del tutto marginale nella stesura dei nuovi ToS".

Il giocattolo di Facebook sembrava letteralmente esploso nelle mani del suo creatore all'indomani del repentino cambio delle condizioni di utilizzo, passate in un primo momento inosservate ai più e diventate, in seguito, un vero e proprio argomento di scontro tra utenti e amministratori del sito. Le ire dei navigatori erano montate soprattutto per quanto concerne la detenzione dei diritti su quanto viene pubblicato da ogni iscritto sul sito. Per placare gli animi, Zuckerberg e soci hanno quindi deciso di ripristinare la situazione riportando in vigore le condizioni contrattuali precedenti.

Le nuove/vecchie norme, che ristabilivano nell'utente l'unico detentore dei diritti su tutto quel che viene pubblicato eccezion fatta per alcune copie strutturali indispensabili a mantenere il funzionamento dell'intero sistema, sono state ripristinate in attesa di un nuovo regolamento definitivo: in una solenne conferenza stampa, il CEO in persona ha invitato gli utenti a partecipare alla stesura di quella che è stata definita come una vera e propria costituzione, all'insegna della chiarezza di linguaggio e contenuti e della trasparenza.

In attesa di avere notizie ufficiali direttamente dall'assemblea virtuale, l'analisi di AllFacebook invita a riflettere: c'è pure chi ritiene opinabile considerare insignificante un gruppo di 10mila persone. Leggendo i commenti al post di O Neill, inoltre, si scopre che a molti degli utenti semplicemente non interessa più di tanto cosa accada nel magico calderone che si nasconde dall'altra parte dell'homepage o, magari, che la stesura di un nuovo regolamento è materia per chi ha un minimo di dimestichezza con termini e normative legali.

Punto Informatico

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Ormai sono oltre dieci anni che, con il piglio di chi sa che deve battersi contro tutto e tutti, il mondo del P2P resiste ai sempre più numerosi attacchi da parte delle lobby che lo vedono come principale bersaglio da abbattere il prima possibile. Peccato che la maggior parte di questi “signori” non sappia che il peer to peer non è sempre sinonimo di illegalità e che, analizzando lo stato attuale della grande rete, non è da escludere l’ipotesi che questo diffusissimo sistema di condivisione dei dati possa morire di morte naturale, senza processi o annunci “terrorizzanti” tesi a screditarlo. Non per mano delle major, non per colpa di imposizioni dettate ai provider, ma per la stessa Internet: un mezzo capace di evolversi e mutare rapidamente sotto gli occhi di chi la frequenta giornalmente, talvolta vestendo un ruolo di rivoluzionaria senza nemmeno accorgersene. Dai video di YouTube in alta definizione (e simili) a servizi di hosting gratuito, passando per i motori di ricerca musicali, basta guardarsi intorno per capire che il P2P ha assunto ruolo decisamente inferiore rispetto a quello che rivestiva qualche anno fa. E l’escalation dei servizi web potrebbe continuare all’infinito, tanto da far scomparire quasi del tutto eMule e soci.

Sia chiaro, quella lanciata in questo post è solo un’analisi provocatoria. Eppure sono molti gli utenti che, già oggi, usano YouTube per scaricare filmati e/o brani musicali (non necessariamente coperti da diritto d’autore, intendiamoci), utilizzano RapidShare o MegaUpload per scaricare archivi di grosse dimensioni (dal contenuto più disparato) e via discorrendo, bypassando di fatto la prima frequentatissima via del peer to peer. Insomma, quello che prima sembrava un caposaldo della grande rete adesso “barcolla” di fronte alla nascita di mezzi alternativi. Ed in fondo è proprio questo il bello di Internet, il fattore che la rende un mezzo mai stantio e sempre alla ricerca di un equilibrio che per nostra fortuna non avrà mai. A questo punto, non ci rimane che lasciare la parola a voi. Chi ucciderà il P2P?

Geekissimo

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Chi ucciderà il P2P?

Spero nessuno! :)

Secondo me è un grande mezzo di divulgazione della cultura (oltre che, purtroppo, di porcherie di tutti i tipi), che la rende disponibile a tutti a costo zero (o quasi). Spero che la diversificazione delle fonti e dei metodi di p2p renda la vita difficile alle major con i loro potenti mezzi!

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In un memo fatto circolare all'interno del network aziendale, e finito chissà come in mano alla stampa d'oltreoceano, il vicepresidente di Microsoft Satya Nadella ha annunciato in questi giorni l'apertura di una piattaforma di testing a esclusivo uso interno dei dipendenti, un test utile a raccogliere feedback definiti "critici" prima che la nuova versione del motore Live Search venga data in pasto al grande pubblico.

Il memo, pubblicato sul blog di All Things Digital, dà corpo alle indiscrezioni sin qui circolate su Kumo: che guarda caso passa dall'essere un nome di dominio registrato ma inutilizzato, al nickname adottato da Microsoft per la piattaforma di test di cui sopra. D'altronde un possibile accordo con Yahoo! sembra sempre più lontano all'orizzonte, e a Redmond non possono far altro che sperimentare in casa per evitare di finire indietro nella guerra per il search e l'advertising sul web.

Kumo(.com), parola che in giapponese significa "nuvola" o anche "ragno", "opererà solo all'interno del network aziendale", rivela Nadella, "e per far ottenere sufficienti feedback dirotteremo il traffico interno di live.com verso il sito di test nei prossimi giorni".

Nonostante i progressi tecnologici fatti dagli attuali motori di ricerca, continua il vicepresidente, il 40 per cento delle richieste non ottiene la risposta desiderata, il 50 per cento è pertinente a ricerche precedenti e il 46 per cento delle sessioni di ricerca dura più di 20 minuti. Questi sono tutti segni del fatto che nel campo della ricerca web si può fare molto di più, dice Microsoft, per fornire agli utenti quello di cui hanno realmente bisogno quando ne hanno bisogno.

"Crediamo di poter fornire un'esperienza di ricerca migliore e più utile che aiuti non solo a fare ricerche ma a svolgere compiti" dice Nadella nel memo. In quanto al "come" questa esperienza debba migliorare, i dettagli sono alquanto scarsi trattandosi di un test a uso interno.

Nella nuova interfaccia di Kumo (i cui auspici saranno variabili a seconda del paese di provenienza, come in un motore di ricerca standard) i risultati saranno organizzati in un modo pensato per risparmiare tempo, un pannello sulla sinistra permetterà di organizzare e navigare in maniera più pratica tra i risultati, e ci sarà la disponibilità di caratteristiche come cronologie di sessione e funzionalità di preview in sovraesposizione.

È ancora poco, pochissimo per giudicare alcunché (tra l'altro senza la possibilità di accedervi in prima persona), e Microsoft si trincera dietro la semplice conferma del test interno senza fornire date o informazioni riguardanti una possibile (quanto probabile) apertura al grande pubblico delle porte di Kumo.

Punto Informatico

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Secondo numerose fonti, Flock, il browser specializzato nell’integrazione con il Web 2.0 e i social network, avrebbe deciso di abbandonare Firefox per usare come base Google Chrome. Dal giorno del suo rilascio ad ottobre 2005, Flock ha raggiunto 6 milioni di download, eppure non ha ancora raggiunto la quota di mercato di Netscape, il cui sviluppo è stato interrotto più di un anno fa.

Per quanto riguarda l’abbandono di Firefox le indiscrezioni indicano che non ci sarebbe un rapporto positivo con Mozilla e una fonte di Flock dice che Mozilla non avrebbe favorito lo sviluppo del software. A questo punto Flock considererebbe la collaborazione con Google Chrome molto più semplice e produttiva rispetto a quella con Firefox. Il problema è che Chrome non è ancora supportato da tutte le piattaforme e funziona principalmente con Windows, nonostante Google stia lavorando alle versioni per Mac e Linux.

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Assoprovider ha diramato un duro comunicato con il quale boccia totalmente le misure abbozzate da Gianpiero D'Alia, Gabriella Carlucci e Luca Barbareschi per regolamentare il rapporto tra cittadini e Web: gli ISP non siano i poliziotti della Rete.

«La rete non si disegna così». Non impeccabile nella forma, ma sicuramente efficace nella sostanza: è questo il "claim" che Assoprovider utilizza per portare il proprio punto di vista ufficiale sui recenti fatti di cronaca che avevano visto la Rete nel mirino di alcuni provvedimenti legislativi tra i quali il noto emendamento D'Alia. Un punto di vista ufficiale da parte degli Internet Service Provider è il tassello che mancava al dibattito in corso: gli ISP sono stati infatti tirati in ballo con decisione dai provvedimenti legislativi abbozzati, ed ora è Assoprovider a mettere insieme le opinioni provenienti dal mercato su di un intervento politico già bocciato da più parti.

Il comunicato Assoprovider introduce, anzitutto, il contesto sul quale intende intervenire, precisando che non ci sia di mezzo soltanto l'emendamento D'Alia: «Negli ultimi mesi sono stati presentati diversi disegni di legge rivolti alla regolamentazione della rete: tutti sembrano sottintendere la scarsa conoscenza del mezzo e la sua colpevolizzazione insieme ad una una sorta di rinuncia a perseguire il vero colpevole dei reati commessi sulla rete. Ci riferiamo all'Emendamento D'Alia al Ddl sulla Sicurezza, al Ddl Carlucci e al Ddl Barbareschi. Le conseguenze derivanti dall'applicazione di tali disegni di legge sarebbero gravissime: perdita di diritti civili e costituzionali, adozione di pratiche di censura, obblighi identificazione preventiva, attribuzione di compiti di polizia ad entità private.».

Il comunicato entra quindi nel merito della discussione in atto: «A fronte di una appurata difficoltà nell'identificazione del responsabile del reato si rinuncia a cercarlo per scaricare tutte le responsabilità sul Provider che diviene contemporaneamente "sia la guardia che il ladro": un'entità privata viene infatti investita, per giunta totalmente a sue spese, del ruolo di controllo dell'operato degli Utenti e contemporaneamente diventa corresponsabile delle violazioni commesse da altri. Per contro tali misure si rivelano del tutto inefficienti nel perseguire lo scopo che si prefiggono: infatti per sua stessa natura la rete internet consente sempre agli utenti la costruzione di meccanismi di elusione non appena esista anche un solo nodo fuori dal controllo del censore, figuriamoci quando i nodi fuori dal controllo sono quelli di intere nazioni. Ricordiamo che in Italia fino all'ultimo grado di giudizio tutti sono innocenti salvo sentenza passata in giudicato contraria e questo deve valere anche per i reati commessi su Internet: gli imputati non devono subire danni fino a quando non sono condannati in un regolare processo. Quando si tratta di internet sembra invece che le libertà fondamentali degli individui passino in secondo piano rispetto alla ricerca esasperata di un controllo che non si riesce ad ottenere. Il legislatore deve attivare gli strumenti e le norme che rendano la Società della Informazione non una formula vuota ma il modello della società del futuro, smettendo di far calare dall'alto norme che spesso denotano scarsa conoscenza degli argomenti trattati, ma coinvolgendo in modo permanente i cittadini e gli addetti ai lavori».

Riassumendo:

  • è sbagliato attribuire ad una azienda privata come un ISP la responsabilità di monitorare l'operato dei cittadini ed a maggior ragione è sbagliato attribuirvi un ruolo di corresponsabilità;
  • le misure previste sono del tutto inefficaci, soprattutto in ambito internazionale;
  • il giudizio deve giungere da un processo ed un ISP non può sostituirsi alle istituzioni annullando la presunzione di innocenza.

Il giudizio di Assoprovider, insomma, è completamente contrario alle leggi formulate ad oggi (non è citato l'intervento dell'on. Cassinelli, il quale gode pertanto per ora del beneficio della fiducia delle parti). Scontata, quindi, la chiosa della comunicazione diramata: «Assoprovider si opporrà come sempre ad ogni tentativo di attribuire agli Internet Service Provider il ruolo di Poliziotti della Rete. Ci auguriamo che i parlamentari sia del governo che dell'opposizione respingano questi disegni di legge che rischiano di far pervenire all'Italia provvedimenti in sede internazionale ed europea ed accuse di censura».

Webnews

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