Inviato March 6, 2009 NoLogo/ La proprietà dei contenuti Roma - Non so se lo sai, ma quando ti registri a un sito e accetti le "condizioni del servizio" firmi un contratto vero e proprio, che regola per esempio le tue responsabilità, i tuoi diritti e la proprietà dei contenuti che eventualmente pubblicherai, fossero chiacchiere su un forum o il prossimo Harry Potter. Nella maggior parte dei casi cedere una parte dei diritti al fornitore del sito è indispensabile, perché senza il tuo consenso questo non potrebbe pubblicarli; in altri si esagera un pelino, inserendo clausole di diritto totale globale di vita e di morte per sempre su tutto quello che posti, fosse anche la foto del tuo nipotino Gerardo. È quello che per esempio ha fatto Facebook qualche settimana fa, con immediata marcia indietro al salire della protesta e apertura al confronto con il gruppo Facebook Bill of Rights and Responsibilities, che a oggi ha 90.148 iscritti (quasi tutti inferociti, va detto). In genere comunque ogni volta che qualcuno legge attentamente le condizioni di servizio della sua piattaforma di blog o di foto, gli si rizzano i peli in testa alla scoperta che 'sti ba*****i volendo potrebbero far soldi con i tuoi post o le tue foto. Ora, facciamo un passo indietro. È vero che siamo tutti potenziali artisti geniali, ma è anche vero che la maggior parte dei contenuti che pubblichiamo in rete non ha nessun valore economico. Spesso questi contenuti non hanno neanche nessun valore artistico o di informazione, in una parola non hanno nessuna utilità. È il loro bello, è quello che li rende umanamente preziosi: sono contenuti sociali, sono per l'appunto conversazioni. Le conversazioni non sono monetizzabili, a meno che tu non faccia il conduttore in un programma alla radio. Per ciascuno di noi il 99% dei contenuti che pubblichiamo in rete ha un enorme valore sociale e nessun valore economico. Direi di più: se lo avessero, sarebbe l'ennesima mercificazione di ciò che abbiamo di più caro. Se quello che pubblico in rete ha per me un valore economico e professionale, anche solo potenziale, non è il caso di scegliere piattaforme gratuite per distribuirli; se scelgo una piattaforma gratuita, in un certo senso dovrei accettare uno scambio alla pari, scambio che consiste nel regalare contenuti che presi uno a uno non hanno nessun valore economico (ma un'enorme valore personale), che presi nel loro insieme diventano interessanti anche economicamente.Ora, Facebook aveva davvero esagerato, con regole tipo l'impossibilità di cancellare i propri contenuti, con pesanti ripercussioni anche sul diritto alla privacy: in genere però pensiamoci, ogni volta che rogniamo sulla richiesta di cedere i diritti di sfruttamento economico dei contenuti pubblicati su piattaforme gratuite. Noi di quei diritti non ce ne facciamo niente, loro sì, e se "loro" da qualche parte non guadagnano, noi prima o poi torneremo a proiettare diapositive in salotto dopo aver legato i parenti alle sedie. D'altra parte io, tu, la maggior parte di noi si sente abbastanza in diritto di violare il copyright, scaricando musica e film. Ma se il copyright ha oggi un peso diverso per artisti, case discografiche e produttori di film, ha un peso diverso anche per la foto di Gerardo, del matrimonio di Celsa e gli haiku di Felicita. Se dev'essere economia della generosità, dev'esserlo alla pari, anche nei confronti dello sfruttamento - in fair use - dei miei contenuti da parte di Facebook, Blogger, Splinder eccetera. Non a caso i provider più accorti regolano la questione in modo elegante utilizzando le licenze Creative Commons, che altro non sono che un modo per permettere a chi ti sta regalando un servizio di guadagnare dai tuoi contenuti in modo reciprocamente rispettoso. FONTE Condividi questo messaggio Link di questo messaggio Condividi su altri siti