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Diablo

Il "romanzo Criminale" Italiano

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Rossi Stuart protagonista con Accorsi dell'atteso film, dal libro

di De Cataldo, su una gang ispirata alla banda della Magliana

Kim e gli altri, eroi alla rovescia

del "Romanzo criminale" italiano.

Il regista Placido: "Volevo raccontare gli scheletri nell'armadio

del nostro Paese. Ma il mio sogno è girare una pellicola su Craxi"

di CLAUDIA MORGOGLIONE

ROMA - Chi ha amato il bestseller da cui è tratto, probabilmente apprezzerà anche il Romanzo criminale versione grande schermo: ovvero vent'anni della più nera storia italiana, dai primi Settanta alla fine degli Ottanta, mostrati attraverso gli occhi - e i misfatti - di una gang romana modellata sulla celebre banda della Magliana. Il tutto con un cast all star che va da Kim Rossi Stuart a Stefano Accorsi, da Claudio Santamaria a Piefrancesco Favino, passando per i superemergenti Riccardo Scamarcio e Jasmine Trinca. E con il regista, Michele Placido, più battagliero che mai: "Con quest'opera - racconta oggi, alla conferenza stampa di presentazione - ho voluto raccontare non solo una vicenda di mascalzoni, di ragazzi di borgata, ma anche la storia del nostro Paese: la corruzione, gli scempi, le vittime innocenti".

Placido, insomma - ancora provato dai fischi riservati al suo Ovunque sei, alla Mostra di Venezia 2004 - tiene più a sottolineare l'aggancio della pellicola con la tradizione del cinema italiano di impegno civile, da Francesco Rosi in poi, che non il suo essere una versione romanesca di Quei bravi ragazzi: "Ci sono tanti scheletri negli armadi che chiedono di essere raccontati", dichiara. Tanto che, su questa falsariga dell'aggancio alla storia recente, il regista confessa un altro suo sogno, finora proibito: un film su Bettino Craxi. "Da anni mi batto per farlo - rivela - non solo sul personaggio, ma su tutto ciò che ruotava attorno a lui. Una materia scottante, difficile, ma di grande spessore drammaturgico e tragico".

In attesa di vedere se il progetto si realizzerà o meno, occupiamoci adesso di Romanzo Criminale. Tratta dall'omonimo libro di Giancarlo De Cataldo (che è anche autore della sceneggiatura, insieme al duo Stefano Rulli-Sandro Petraglia), prodotta da Cattleya in collaborazione con Warner Bros, in uscita venerdì prossimo in circa 300 sale, la pellicola racconta la parabola di tre amici d'infanzia: il Libanese (Piefrancesco Favino), il leader storico della gang; il Freddo (Kim Rossi Suart), il più enigmatico; il Dandi (Claudio Santamaria), il più viveur. Dopo aver compiuto un sequestro con uccisione dell'ostaggio, i tre decidono di reinvestire il riscatto in droga e di conquistare, a suon di pallottole, la piazza romana.

E in effetti ci riescono, grazie a una scia di sangue che passa quasi inosservata, in un'Italia alle prese con gli anni di piombo. Tra i pochi a intuire subito il pericolo c'è il commissario Scialoja (Stefano Accorsi), che tenta invano di incriminarli. E che, nella caccia ossessiva alle prove dei loro misfatti, finisce con intrecciare una relazione pericolosa con la prostituta d'alto bordo Patrizia (la modella francese Anna Mouglalis).

Giunti all'apice del successo, anche grazie all'alleanza con la mafia siciliana, la gang comincia a "sbandare". Un po' per le relazioni pericolose con gli apparati deviati dello Stato, che la protegge ma anche la usa per i lavori sporchi: così ad esempio un nazista detto appunto il Nero (Riccardo Scamarcio), amicissimo dei nostri eroi negativi, finisce coinvolto nella strage di Bologna. Un po' perché il Libanese comincia a perdere il controllo, facendo una brutta fine. Un po' perché il Freddo si innamora di una brava ragazza (Jasmine Trinca). Ma per loro, non ci sarà lieto fine.

Il tutto in un film che mescola le storie criminali dei protagonisti con le vicende della tragica cronaca italiana: sullo schermo vediamo una scena in cui si riscotruisce l'esplosione alla stazione di Bologna, l'audio (reale) della telefonata con cui le Br resero noto l'assassinio di Moro, perfino il crollo del Muro di Berlino. Tutte scelte che un Placido emozionato (ma anche un bel po' nervoso, verso le critiche rivolte al film da alcuni dei giornalisti presenti), rivendica: "Durante la lavorazione - racconta - sia io che i ragazzi abbiamo vissuto con emozione questo ripercorrere la tragedia del nostro paese. Basta pensare a Bologna: per quella sequenze ho chiesto alla produzione uno sforzo economico in più, per poter mostrare la strage in tutta la sua potenza. Spero così di spingere anche i giovani ad approfondire la nostra storia".

E loro, i "ragazzi" che hanno incarnato gli antieroi dell'Italia pre-Tangentopoli? A guardare le loro interpretazioni, sembra che tutti abbiano sentito molto l'importanza del film. "Sono stati loro stessi a decidere i ruoli - spiega ancora Placido - ad esempio, Favino ha insistito per fare il Libanese, e Scamarcio per diventare il Nero". "E' vero - conferma Scamarcio - la cosa che più mi affascinava era rendere, attraverso il mio personaggio, la degenerazione di un'ideologia (l'estremismo di destra, ndr), la follia di quegli anni".

Ma forse l'interpretazione che colpisce di più è quella di Rossi Stuart. "Sullo schermo tutti noi - racconta l'attore - siamo uniti da un'amicizia tipica di una certa romanità, che ha dei codici ben precisi. Quanto a me, ho amato tantissimo il mio personaggio. Anche per come è scritto il romanzo, ho sentito subito grande fascinazione per i vari caratteri. Un sentimento che ho condiviso con gli altri, visto che, prima delle riprese, Placido ci ha riuniti tutti quanti in un agriturismo, per discutere della sceneggiatura".

L'unico a mantenere un certo distacco è Stefano Accorsi. Anche perché il suo Scialoja - nel film, ancora più che nel libro - non risulta per nulla simpatico: non a caso, in conferenza stampa, il regista lo definisce "una m...a d'uomo". "La cosa più interessante di lui - conferma l'attore - è che non è un buono che diventa cattivo, ma qualcuno che fin dall'inizio è invidioso dei soldi della banda: diciamo che è un borghese piccolo piccolo con una grande ambizione". E forse proprio per questo, sarà lui l'unico a trarre vantaggio dalla "lunga guerra"

(26 settembre 2005)

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