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Diablo

[ARTE]American Graffiti

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AMERICAN GRAFFITI

Keith Haring Show

A Milano, alla Triennale, una grande retrospettiva ricorda Keith Haring, icona del graffitismo underground e protagonista della scena newyorkese degli anni Ottanta. In mostra, circa cento dipinti, quaranta disegni, sculture e opere di grande formato

Keith and Julia 1986

Milano - "Penso, sento, agisco e vivo diversamente ogni giorno, ogni istante. Dipingo in modo diverso ogni giorno. I miei dipinti sono la registrazione di un lasso di tempo. Dipingere in modo diverso ogni giorno rende impossibile realizzare una composizione impegnativa lungo un arco temporale che dura più di una seduta". Eccolo lo slogan pubblicitario di un ideale artistico, quello di un'arte che, come la vita, va vissuta attimo per attimo. Il credo di un artista come l'americano Keith Haring, icona del graffitismo underground, grande protagonista della scena newyorkese degli anni Ottanta, che ha bruciato il suo visionario talento in una sola decade, scomparendo nel '90 a soli trentun anni, e che ora, a quindici anni dalla morte, viene ricordato in un grande show espositivo alla Triennale di Milano. La rassegna, curata da Gianni Mercurio e Julia Gruen, assistente personale dell'artista negli ultimi sei anni di vita e oggi direttore della Keith Haring Foundation, vuole essere all'altezza dell'epopea fulminea ma proficua di Haring, in cui ha freneticamente macinato wall drawing metropolitani, tele, disegni, sculture, oggetti, collaborazioni illustri e gadget, e punta alla grandiosità, alla spettacolarità, a dare corpo al concetto di "all over" tanto caro a Haring, secondo cui "l'arte deve poter essere per tutti e dappertutto".

Così, ecco circa cento dipinti, quaranta disegni, numerose sculture e opere su carta di grande formato, ancora, una vasta documentazione fotografica, circa seicento immagini, a rievocare il contesto attorno a cui è nata e si è sviluppata la sua arte. Sfilano tele che raggiungono le dimensioni di oltre dieci metri di base o di altezza, come le scenografie realizzate per la discoteca Palladium di New York, tempio della vita notturna negli anni '80, e la scenografia realizzata per "The Marriage of Heaven and Hell" di Roland Petit per il Ballet National de Marseille. Spiccano le famose "subway drawings", le maschere "primitive" e cubiste, i grandi vasi di terracotta, le sculture totemiche in legno pittogrammate e quelle in metallo con i suoi omini realizzati con colori primari, le statue in gesso del David di Michelangelo o Madame Pompadour.

Tutto a raccontare una bulimica voglia di creare e produrre. Dagli esordi anticonformisti ma in linea con la cultura underground della città. Dai tunnel della metropolitana di New York, dove si divertiva a disegnare furtivamente figurine stilizzate e provocatorie sui cartelloni pubblicitari dei sottopassaggi, con scelte autopromozionali di raffinata strategia: "Haring infatti non interviene con i suoi graffi sui vagoni della metro e rarissimamente sui muri degli edifici - sottolinea Mercurio - i suoi murales e le sue opere pubbliche sono un'altra cosa, e occupa unicamente lo spazio destinato alla pubblicità, quello che gli esperti direttori di marketing sceglievano per reclamizzare i prodotti". Cresciuto in una piccola cittadina conservatrice della Pennsylvania, il più vecchio di cinque figli, l'unico maschio, con il padre ingegnere e la madre casalinga, arriva a New York nel 1978 per frequentare la Scuola di Arti Visive. Nel 1982, Keith Haring esplode con la sua prima personale a Soho, tenutasi nella galleria di Tony Shafrazi. Nel 1984, si moltiplicano mostre personali a Tokyo, Napoli, Anversa, Londra, Colonia e altre due a New York. Dipinse tre murales in Australia, il negozio Fiorucci di Milano, un edificio a Tokyo e il corpo del ballerino Bill T. Jones a Londra.

Haring, dunque, ha cominciato a comunicare in un ambiente anticonformista e fuori dagli schemi espositivi alla conquista dell'anima delle migliaia di persone che percorrono quei binari, per poi oltrepassare la soglia del successo e diventare protagonista dell'art business. Fino alla sua imperdonabile scomparsa, una delle tante vittime dell'epidemia di Aids. Infantile, gioioso, goliardico, ironico, eppure brutale. La star Madonna, che con Haring ha condiviso anni di debutti e ricerche, feste e amici, ha commentato: "Ci sono questi colori brillanti e queste figure infantili e molti bambini, ma se li osservi più attentamente, i suoi lavori sono molto potenti e davvero spaventosi. E poi la sua arte ha spesso a che fare con la sessualità - ed è un modo per mettere a nudo i pregiudizi sessuali della gente, le loro fobie sessuali. In questo senso, l'arte di Keith è anche molto politica".

Monkey puzzle 1988

La sua arte proponeva una critica severa mascherata da fumetto goliardico alla società contemporanea, anche se da quella società non è riuscito a liberarsi. Quello star system fatto di capitalismo e propaganda made in America, bersagliato da pupazzi, omini, falli labirintici, scenette e mosseti sacrileghe, segni e forme personalissimi, un concentrato delirante di concetti ridotti a elementi primari ispirati anche da geroglifici egizi e pittogrammi giapponesi o cinesi, maya o indios, non ha fatto altro che coinvolgerlo e fagocitarlo fino alla fine, inesorabile e deludente come può essere l'Aids. Iniziò fuori dai confini del sistema dell'arte, senza tele né colori ad olio, per trasformare un muro di Manhattan nel nuovo supporto ad hoc.

Diede inizio alla storica tendenza del Graffitismo, targato anni Ottanta, e, incredibilmente, riuscì a far entrare quell'arte on the road, negletta e proletaria, nelle gallerie e nei musei di tutto il mondo. Eppure, ci tiene il curatore a prendere le distanze dal luogo comune: "Oggi appare chiaro quanto poco a che vedere avesse l'arte di Haring con il graffitismo: la sua è una prospettiva di artista individuale, con la volontà di costruire sì un'arte per tutti, ma con un linguaggio nuovo, personale, unico, una specie di brand riconoscibile alla maniera di Warhol ma con un progetto più artistico, più "idealistico" e universale di quello del suo maestro". Nel 1986 Haring apriva a New York e Tokyo il Pop-shop, un negozio che vendeva al dettaglio oggetti e merchandising con le immagini da lui create. Dopo la Factory di papà Warhol, quella del Pop Shop fu la seconda invenzione da parte di un artista per diffondere, attraverso la riproducibilità, la propria arte anche come stile di vita e messaggio all'umanità. Ma con gli stessi cromosomi del graffitismo, l'arte di Haring è stata plasmata, almeno nello spirito iniziale: per il forte senso di appartenenza comunitaria, per la dinamicità dei pezzi, per l'idea che i lavori dovessero essere completati in un'unità compressa di spazio e tempo, per l'ascolto continuo del rap...

In Haring convivono riferimenti artistici illustri - Pierre Alechinsky, Jean Dubuffet, Christo, Matisse, l'Action painting - e arte "off" come la cultura psichedelica. Se dal padre, disegnatore di fumetti, aveva assorbito l'arte del cartoon, l'incontro più fecondo sarà con William Burroughs, l'anima più radicale e maledetta della Beat generation, erede diretto della tradizione postsurrealista. E del folletto occhialuto, lo scrittore maledetto, con cui hga collaborato all'opera "Apocalipse", dirà: "Per associazione, Keith è parte dell'intero sistema di linee metropolitane di New York. Esattamente come nessuno può guardare un girasole senza pensare a Van Gogh, allo stesso modo nessuno può entrare nella metropolitana di New York senza pensare a Keith Haring. E questa è la verità...". E la mostra sciorina lavori che ripropongono puntuali il linguaggio di Haring, di questo folletto occhialuto e smilzo, che viene accreditato come uno dei veri e inossidabili protagonisti dell'immediata arte contemporanea, merito, se non de-merito, di una morte prematura giunta, e forse aspettata, nel pieno fulgore della carriera istantanea. Figlio del mito di una Gioventù bruciata, a braccetto con droghe, alcol e sesso sconsiderato, sulla falsariga di Jack Kerouak, Jimi Hendrix e Jean-Michel Basquiat. Ma anche questo fa parte del mito.

LAURA LARCAN

Notizie utili - "The Keith Haring Show", dal 28 settembre al 29 gennaio 2006, Triennale, Viale Alemagna, 6, Milano. La mostra è curata da Gianni Mercurio e Julia Gruen. Organizzazione: Triennale e Chrysler.

Orari: martedì-domenica, 10:30-20:30, chiuso lunedì.

Ingresso: intero €8.

Informazioni: tel. 02-724341.

Catalogo: Skira.

(27 settembre 2005)

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