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[ARTE]Grand Tour Senese

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Grand Tour senese

Più che una mostra è un viaggio.

S'intitola "Capolavori ritrovati in terra di Siena e coinvolge undici musei sparsi tra la città del Palio e la sua provincia

Siena - E' come un "Grand tour" di dimensioni ridotte, in terra di Siena. Una mostra con un filo conduttore ("capolavori ritrovati", dipinti, sculture, pezzi archeologici) che si dipana per 11 musei in 11 località. E come per il settecentesco "Grand tour" in Italia, il viaggiatore-visitatore deve essere una "persona colta", non necessariamente un turista di livello medio-alto. Ma che sia capace di emozionarsi davanti a rare Madonne in terracotta di Jacopo della Quercia diverse dalla notissima produzione in ceramica invetriata. Di apprezzare il ritorno in Italia e la presentazione al pubblico per la prima volta, sia pure temporaneamente, di polittici, pale, singole tavole di grandi autori del Trecento e Quattrocento, crateri attici passati per un mercato equivoco, a volte rubati e ritornati attraverso il mondo variegato dei collezionisti.

Ma questa mostra non si ferma ai materiali che giustificano il titolo "Capolavori ritrovati in terra di Siena" e aperta dal 24 settembre al 9 gennaio 2006. E' la scoperta di un patrimonio a volte eccezionale custodito nei musei civici (10 più la Pinacoteca nazionale di Siena) per pezzi unici, pezzi archeologici sorprendenti per centri periferici, collezioni di materiali di valore mondiale, responsabili di ritrovamenti che aggiungono nuovi capitoli all'etruscologia. In edifici storici spesso recuperati, restaurati di fresco che con la loro storia, affreschi e decorazioni, valgono un capitolo a parte. Fino al massimo di San Gimignano dove il "capolavoro ritrovato", il polittico di Bartolomeo Bulgarini, cioè del maggior protagonista della pittura senese del 1350-1375, è ospitato in una sala tutta affrescata in cui l'8 maggio 1299 Dante Alighieri venne a perorare la causa della lega guelfa ("dove sonò la parola magnanima") e naturalmente convinse San Gimignano ad unirsi a Firenze.

Per questo la mostra passa, ma rimangono i musei, i centri storici intatti o in ogni caso difesi. Rimangono questi itinerari fra i cipressi che sono il marchio gioioso di colline e collinette seminato a ville e castelli, vigne, oliveti, fra campi di grano che ora sono mari di terra arata, forre, calanchi e argille. I cipressi sono organismi animati. Se ne stanno isolati, o decidono di riunirsi in gruppi, si dispongono in filari, formano viali, nelle vallette, lungo i crinali a proteggere le coltivazioni dal vento e i cristiani dal solleone. E poi ci sono apparizioni come le siepi di rosmarino fiorito, i fichi d'India di color viola o come il volo di una mongolfiera (iniziativa fortunatissima di un inglese).

"Capolavori ritrovati" è la prima iniziativa della Fondazione Musei Senesi costituita dalla Provincia di Siena con i Comuni, le curie vescovili, l'università e (fondamentali) Fondazione e banca del Monte dei Paschi. Obiettivo è valorizzare in visitatori (anche residenti) e in conoscenze, i 31 musei civici del territorio. In attesa di entrare nella gestione dei musei e di siti come San Galgano.

Impresa non facile considerando che solo il Museo di San Gimignano, la cittadina intasata da turisti come Cortina o Portofino, è in attivo (forte): può infatti contare su 150 mila visitatori l'anno attratti irresistibilmente, più che dai capolavori di Taddeo di Bartolo, Benozzo, Filippino Lippi, dalla torre Grossa da cui si ammira lo spettacolo unico di 14 torri (superstiti di 60). Obiettivo della Fondazione Musei è anche creare posti di lavoro per i giovani come ha già cominciato a fare con due storici dell'arte. Direttore scientifico della Fondazione è Donatella Capresi, direttore anche del progetto della mostra che è a cura di Luciano Bellosi, Gabriele Fattorini e Giulio Paolucci (catalogo Silvana Editoriale).

Punto di partenza ideale è Siena, la Pinacoteca nazionale (che, essendo statale, ha preparato un ingresso separato per permettere il biglietto unico dei musei civici). E opera di partenza, il capolavoro di Jacopo della Quercia che fa parte di una produzione poco nota. Una Madonna in trono con Bambino alta 65 centimetri, che liberata degli ottocenteschi colori neri (dovevano farla passare per bronzo), si rivela nella straordinaria bellezza naturale della terracotta e in una solenne monumentalità. Volto, mani della Vergine che a capo chino sorveglia i movimenti di un Bambino paffuto che in piedi, tutto nudo, si aggrappa al bordo della veste dalle abbondanti pieghe, segnato da graffiti come il trono. Il bel volto della Madonna - afferma Bellosi - è come rabbuiato da una nuvola di tragicità per il futuro del Bambino.

Datata al 1410-20, la scultura è importante perché prova che il senese Jacopo fu uno dei primi, con i fiorentini Donatello e Brunelleschi che erano andati a Roma a copiare le sculture dei classici, a riscoprire l'antica tecnica della terracotta citata da Plinio il Vecchio. D'altra parte i modelli antichi in terracotta erano considerati di maggior valore delle opere finite in bronzo o marmo tanto che venivano dorati. Questa tecnica considerata esaurita nel Medio Evo rinasceva quindi a inizio Quattrocento. E certamente ci sono delle "connessioni" fra la Madonna di Jacopo e un paio di Madonne di Donatello. Il capolavoro di Jacopo è uscito dalla collezione Salini (un nome che compare più volte nei "Capolavori ritrovati").

Ancora precedente (1405-10) è una elegante "Vergine annunciata", alta 122 centimetri, che sembra più una gran dama dalla lunga veste rossa chiusa da una sottile cintura dorata sotto i seni. Bellosi la attribuisce a Jacopo e quindi può essere confrontata con la famosa tomba di Ilaria del Carretto dello stesso periodo. Fa anche notare l'accuratezza della policromia in cui è stato usato l'oro, un materiale molto costoso, e la raffinatezza dei particolari. Quindi per una destinazione importante. Eppure la statua in terracotta è uno degli 80-90 calchi, repliche di un prototipo in legno di Jacopo ora al museo francese di Angers e sparse fra musei, collezioni, chiese di mezzo mondo. Questa potrebbe essere la prima opera in terracotta del Quattrocento dopo il Medio Evo. L'esemplare in mostra proviene dal Museo della Castellina di Norcia, parte della donazione Massenzi che dal 1927 ha dato molto da fare a polizia, tribunali e soprintendenze con sequestri e notifiche, ma alla fine senza risultati.

Da sopra una porta dell'oratorio senese di San Bernardino, ora al Museo diocesano, proviene un'altra Madonna di Jacopo, a mezza figura, col Bambino. Una terracotta con gli incarnati dipinti, il manto blu e la veste rossa. Era stata ricoperta di una vernice molto scadente che ora ha liberato la policromia antica "molto bella anche se non completa". Ancora dalla collezione Salini è uscita una copia in terracotta dipinta, con varianti, della "Madonna con Bambino" che Jacopo aveva collocato al centro della celebre Fonte Gaia nel Campo.

La Pinacoteca partecipa con una slanciata "Vergine annunciata", alta 144 centimetri, scultura di Jacopo in legno intagliato e dipinto. Proviene dalla chiesa senese, sempre chiusa, di San Raimondo al Refugio ed è priva del braccio destro perché forse all'inizio dell'Ottocento fu trasformata in una neoclassica "Fede".

Da Siena a San Gimignano per il polittico che Bulgarini fece nel 1353 circa per i domenicani, "Madonna col Bambino e santi" (acquisto recentissimo della collezione Salini). E' "un distillato delle tradizioni più elette della pittura senese", cioè Duccio di Buoninsegna, i Lorenzetti, Simone Martini. Sembra quasi una sintesi di bellezza, ricchezza decorativa, un inno alla vita per essere sfuggito alla peste nera del 1348. Dei cinque comparti il personaggio più importante è Santo Stefano il protomartire, verso il quale confluiscono gli sguardi di tutti gli altri, compresi Madonna e Bambino che reca la corona del martirio.

Dal XIV secolo al III-II secolo avanti Cristo, da un fondo oro ad una urna cineraria etrusca in tufo, 52 per 35 centimetri. Dal Museo Guarnacci di Volterra è tornata a casa, al Museo archeologico di Colle Val d'Elsa, la zona in cui fu scavata l'importantissima tomba gentilizia da cui proviene l'urna, un pezzo unico per tutta l'Etruria. Sopra l'urna, segnata da grosse strisce rosse, è infatti adagiata la figura di un infante, il corpo quasi in forma di scheletro. Ora l'eccezionalità è data dal fatto che gli etruschi non seppellivano bambini in tenera età. La spiegazione potrebbe essere che si trattava del figlio di un importante personaggio o di un "bambino con caratteri che gli etruschi consideravano sacri o magici perché non riuscivano ad interpretarli, per esempio certe malattie come l'epilessia".

A Buonconvento, superata la bellissima cinta delle mura trecentesche (restaurate, illuminate, quasi un chilometro di sviluppo), si entra nel centro medievale, ma il Museo d'arte sacra della Valle d'Arbia è un palazzotto del 1909 in puro stile liberty. Dalle piastrelle del fregio sulla facciata (forse di Galileo Ghini), alle finestre in ferro battuto, alle decorazioni delle sale, ai sanitari e alla stufa della "sala da bagno". Neppure Siena ha un tale esempio di liberty. Qui, fra dipinti di Duccio, Pietro Lorenzetti, Sano di Pietro, Andrea del Brescianino, è ricomparsa una grande pala quadrata con la Madonna in trono col Bambino fra San Sebastiano e San Rocco. Opera di Pietro di Francesco Orioli del 1486-89, molto rara per il formato quadrato a Siena, fu commissionata da Andrea Piccolomini, nipote acquisito di Pio II (il papa che inventò Pienza). Rimossa dalla cappella di Castel Rosi vicino a Buonconvento, era scomparsa ed è stata individuata da Gabriele Fattorini nell'aula capitolare della cattedrale di Siena dove è una impresa vederla. La pala è stata restaurata nel 1856 da Francesco Brogi che si comportò come i restauratori di allora cioè ridipingendo (per esempio il San Rocco) e ingiallendo il quadro.

Con la strada che passa davanti all'abbazia di Monte Oliveto Maggiore (cicli di affreschi di Signorelli e del Sodoma) si attraversa la zona lunare delle Crete e si arriva ad Asciano, da sempre il granaio di Siena, al Museo civico archeologico e di arte sacra in Palazzo Corboli. Le Crete, ma con calanchi di colore bruno, si trovano come sfondo dell'"Adorazione dei pastori e i santi Agostino e Galgano", il grande trittico di Pietro di Giovanni d'Ambrogio.

In mostra è il Maestro dell'Osservanza la cui identità "rappresenta il maggior enigma dell'arte senese del primo Rinascimento". L'opera è la "Natività della Vergine", la pala formata da tre grandi pannelli al primo livello e tre piccoli al livello superiore. Probabilmente mancano i due pannelli laterali. Un dipinto che Machtelt Israëls definisce "di una solennità tacita e quasi ossessiva, e di una raffinatezza preziosa nei dettagli e nelle ricercate cromie" che ricorda Gentile da Fabriano. Il cielo del "Trasporto della Vergine" è dipinto su foglia d'argento per riprodurre quegli effetti che secondo la tradizione paralizzarono e accecarono gli ebrei quando vollero fermare la processione. Anche la vetrata dietro Sant'Anna distesa sul letto dopo aver partorito, è realizzata con una stesura trasparente su foglia d'argento. E l'abito, ora annerito, della dama sul sedile in primo piano ha "l'effetto tridimensionale di un lussuoso velluto rasato" grazie ad una lacca azzurra trasparente su foglia d'argento. Al centro, una donna di servizio reca il brodo (con tanto di gallina) per Sant'Anna, indossa un abito damascato in oro che è la copertina della mostra.

Il polittico viene dalla chiesa di Sant'Agata di Asciano. Per la mostra sono stati precisati gli anni in cui l'anonimo maestro lavorò (1437-39) con un anticipo di una ventina d'anni su quanto creduto. Individuato anche il committente, un pievano che non riuscì a mantenere le scadenze dei pagamenti e per questo fece finire in prigione il fideiussore.

Nel castello di San Giovanni d'Asso (sede del Museo didattico del tartufo) viene presentato il trittico che Ugolino di Nerio, considerato il migliore allievo di Duccio, dipinse nel 1325-30 per San Pietro in Villore. La chiesetta è a un centinaio di metri dal castello, con una bellissima facciata a tre colori dati dall'arenaria tufacea, dal travertino di Rapolano e dal cotto nella parte superiore. Il trittico è la "sintesi della nascita della chiesa cattolica". Al centro una Madonna in stile Duccio con il Bambino che tira i lembi del velo (ma può anche sfiorare il volto malinconico della Madre come gesto di tenerezza). Ai lati San Pietro, il primo successore di Cristo, e San Paolo, il divulgatore della dottrina cattolica. Il trittico viene dagli Uffizi ed è uno dei tanti capitoli aggrovigliati della collezione-donazione Contini Bonacossi che ancora oggi non si riesce a rendere visibile.

A Pienza, la città ideale inventata, al Museo Diocesano ospitato in Palazzo Borgia, si è riunito il polittico di Monticchiello, "primizia gotica" del giovane Pietro Lorenzetti, del 1315-20. A sinistra, la Sant'Agata dal museo francese di Le Mans, al centro la Madonna col Bambino che fino a pochi anni fa era a Monticchiello, il celebre castello a pochi chilometri da Pienza, a destra tre pannelli con santi, dal museo fiorentino della Fondazione Horne. Non è una ricomposizione perché i tre santi della Horne sono sigillati in una cornice neogotica e non possono occupare il posto giusto.

Da Amsterdam, dal Rijksmuseum, sono arrivate le sempre bellissime statue in legno intagliato e dipinto, alte 160-165 centimetri, dell'"Angelo annunciante" e della "Vergine annunciata" che anche qui, nella lunga tunica rossa, sembra una giovane elegante dama. Le due sculture "distinte da un grazioso e tenero naturalismo" sono opera del "maestro di legname" senese Francesco di Valdambrino, uno dei protagonisti del gotico internazionale in Toscana. Scolpite nel 1420-25 erano ancora a Pienza fino agli anni Venti del Novecento, del tutto neglette se i proprietari avevano deciso di usarne una come legna da ardere. La statua fu salvata solo da una servitù devota. Il mercante fiorentino che vendette le due sculture riuscì ad avere dallo Stato il nulla osta all'esportazione dando in cambio un mobile del Cinquecento.

Fra i pezzi straordinari del Museo Diocesano (pala di Lorenzo di Pietro, il Vecchietta) spicca il piviale tessuto e ricamato con filo di seta, oro e argento, di manifattura inglese, che Pio II volle indossare all'inaugurazione della cattedrale di Pienza nell'agosto 1462. Oltre alle storie della Vergine e di santi è tessuto un bestiario con tutti gli uccelli riconoscibili. L'aspetto per noi più sorprendente è che il papa volle indossare il piviale fatto un secolo e mezzo prima, alla faccia della moda.

A Montepulciano, al Museo pinacoteca Crociani, bisogna prima strapparsi alle pale luccicanti di Andrea della Robbia per concentrarsi sul rilievo in marmo bianco di Agostino di Giovanni "Madonna col Bambino" opera del 1340 circa. Per come è stato massacrato il retro, il rilievo deve essere stato strappato da una pieve di Montepulciano (ora è al museo delle sculture di Berlino). Il pezzo di bravura dello scultore sembra il delicato triplice velo deposto sulla fronte della Madonna.

Al Museo per la preistoria di Cetona, c'è il "vaso che ride", un vaso antropomorfo in terracotta rossiccia e nera, alto 24 centimetri e 40 di diametro. Del Medio Bronzo, XVI secolo avanti Cristo, fa venire il sospetto di essere falso tanto è modernissimo nella stilizzazione del volto, naso, cavità degli occhi, solchi ricurvi. Piccole bugne-mammelle sono forse la rappresentazione sacrale della fertilità. Il vaso è stato scavato negli anni Venti-Trenta del Novecento in una delle tante grotte del Belvedere, alle pendici della montagna di Cetona, ma è stato catturato dal Museo archeologico nazionale dell'Umbria a Perugia.

Un altro trasferimento forzoso è stato ricomposto al Museo archeologico di Sarteano. Sono le statue-ritratto in marmo, alte 88 e 107 centimetri, del celebre filosofo Epicuro e del successore Ermarco raffigurati seduti. Sono repliche romane di originali bronzei. Repliche di qualità, della fine del I e inizi II secolo dopo Cristo che con tutta probabilità ornavano una villa rustica di Sarteano, di un grande personaggio, un senatore. La località denominata Peschiera Giannini presenta un muro in opus reticulatum lungo 36 metri ed alto cinque. Sarteano, già molto ricca in epoca etrusca, ha continuato a sfruttare le acque in epoca romana (e moderna) con piscine ed edifici termali importantissimi. Le due sculture sono state trasferite al Museo nazionale archeologico di Firenze con l'aggravante di essere sistemate in una sede periferica, Villa Corsini a Peretola, che non è aperta al pubblico.

Da queste piccole miserie umane agli straordinari materiali del museo, come i vasi canopi cinerari etruschi. Il più bello è rappresentato da una testa femminile in terracotta appoggiata su di un vaso. Dalle orecchie pendono grandi orecchini d'argento e le braccia di ridotte dimensioni sono infilate nelle anse del vaso. Le mani impugnavano l'ascia bipenne, simbolo di potere assoluto. Una immagine ancora più rafforzata dal piccolo trono in travertino sul quale è appoggiato il vaso, per concludere che si tratta della vedova di un capo guerriero, VII secolo avanti Cristo. A fianco il vaso canopo del figlio.

Ma le meraviglie di questo museo non sono finite perché il suo ideale proseguimento, a poche centinaia di metri da Sarteano, è la tomba etrusca dipinta, la più importante scoperta da molti anni, la "Tomba della quadriga infernale". Con affreschi strabilianti per le novità delle rappresentazioni. Due leoni e due grifoni che trainano un carro con sopra un demone (Charun, Caronte che accompagna le anime verso l'Ade) dall'occhio a palla spiritato, il naso adunco, il volto segnato in rosso, la capigliatura rosso intenso che la velocità getta all'indietro. Lungo lo stretto corridoio della tomba due figure maschili, distese su di un variopinto letto per banchetto, si scambiano gesti di affetto. Non dovrebbe essere una scena omosessuale perché tali scene non sono rappresentate in tombe di famiglia, ma due parenti, forse un padre ed un figlio. Ancora, un fregio di delfini che si lanciano nelle onde, un grande ippocampo. E per finire un serpente a tre teste, verde, dalla cresta rossa, alto un metro e 80.

I colori sono vivaci, accesi, ancora di più per l'intonaco bianco. Lo stato di conservazione è giudicato eccezionale grazie al fatto che la tomba è scavata non nell'arenaria come di solito, ma nel travertino. Scoperta nell'ottobre 2003 la tomba è stata aperta al pubblico nel giugno di quest'anno, con il contagocce: solo il sabato, per 40 persone. E i posti sono già prenotati fino al marzo 2006. "Sono le condizioni imposte dalla soprintendenza per conservare questa meraviglia - osserva Alessandra Minetti, direttore del museo -. Dopo un anno di apertura al pubblico si riesaminerà la situazione, e se possibile si aumenteranno i giorni". Per ora non rimane che il telefono per prenotare (0578-269261). La visita costa 5 euro (e comprende il museo).

La mostra si chiude (o si apre) a Chianciano Terme, al Museo archeologico delle acque, una denominazione obbligata, ma che porta fuori strada, una interpretazione restrittiva. Per la mostra è tornato da Ginevra, dal Museo di arte e storia che lo fa uscire per la prima volta, un bellissimo cratere attico a figure rosse scavato nel 1845 nella necropoli della Pedata vicino Chianciano. Nel registro superiore è una scena di lotta fra greci e amazzoni, e in quello inferiore un eroe, forse Teseo, fa fuggire quattro giovani. L'autore è proprio il "Pittore di Ginevra", uno dei maggiori ceramografi attivi a metà del V secolo avanti Cristo, che prende nome dal cratere di Chianciano.

Anche questo museo ha pezzi eccezionali. La più grande collezione al mondo di vasi canopi etruschi a forma umana (90). I corredi di 650 tombe del VII-VI secolo avanti Cristo. Le sculture in terracotta che ornavano il frontone di un tempio etrusco del II secolo avanti Cristo. "Un frontone - osserva il direttore Giulio Paolucci - che sembra essere stato smontato volutamente, forse per essere messo al sicuro da qualche pericolo, perché ogni pezzo è numerato". Finora sono state collocate una decina di porzioni del frontone. Due nereidi su mostri marini, due putti su delfini, una figura maschile in costume orientale, una tegola, uno straordinario genio femminile alato, quasi intatto, che occupa l'estremità destra del frontone. Ancora senza collocazione una testa di Ercole, coperta della pelle di leone, un pezzo di grande qualità (le rughe della fronte, gli occhi infossati, le labbra socchiuse, i ciuffi mossi della barba) che richiama le sculture di Pergamo.

di GOFFREDO SILVESTRI

Notizie utili - "Capolavori ritrovati in terra di Siena. Itinerari d'autunno nei musei senesi". Dal 24 settembre al 9 gennaio 2006. Siena, Pinacoteca nazionale, e 10 località della provincia, musei civici. Promossa da Provincia e Fondazione Musei Senesi, direttore scientifico Donatella Capresi. Contributo della Fondazione Monte dei Paschi di Siena. A cura di Luciano Bellosi, Gabriele Fattorini e Giulio Paolucci. Catalogo Silvana Editoriale.

Orari.

Pinacoteca nazionale: lunedì 8,30-13,30; da martedì a sabato 8,15-19,15; domenica 8,15-13,15 (chiuso 25 dicembre e il l° gennaio).

Musei civici: fino al 1° novembre, da martedì a domenica 10-18. Chiuso il lunedì eccetto 31 ottobre. Dal 2 novembre all'8 gennaio 2006: venerdì, sabato, domenica 10-18. Aperto 8 dicembre e 9 gennaio 2006. Gli altri giorni prenotazione solo per gruppi minimi di 15 persone.

Biglietti.

Biglietto unico per tutte le sedi e per tutta la durata con trasporto gratuito sui mezzi pubblici. Intero 7 euro; ridotto 5.

Prenotazioni (senza costi aggiuntivi) e informazioni 199.199.111 (dal lunedì al venerdì 9-18). Visite guidate gratuite.

Pacchetti turistici con vari vantaggi: informazioni e prenotazioni Centro servizi turistici Apt Siena: 0577-280551; 45900;

fax 270676;

infoaptsiena@terresiena.it

incoming@terrasiena.it

(28 settembre 2005)

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