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[ARCHEOLOGIA]I Fasti Del Gianicolo

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ARCHEOLOGIA ROMANA

I fasti del Gianicolo

A Roma, a Palazzo Altemps, sfila per la prima volta il repertorio unico e inedito di marmi imperiali rinvenuti nel 1999, durante i lavori di scavo per la rampa d'accesso al parcheggio sotterraneo del Gianicolo

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Roma - Fu uno dei ritrovamenti più eclatanti della Roma antica. Uno di quelli che riuscì a scatenare polemiche e controversie all'ennesima potenza. Perché c'era di mezzo il mastodontico cantiere delle infrastrutture per il Giubileo e si lavorava sotto la spada di Damocle delle scadenze urgenti da rispettare. A fronte di una soprintendenza archeologica di Roma che ordinava lo stop alle ruspe per avviare uno studio d'emergenza ed evitare perdite o manomissioni di quello che da subito appariva come un tesoro d'inestimabile valore. Accadde nell'estate del 1999, mentre si scavava per la rampa d'accesso al parcheggio sotterraneo del Gianicolo, adiacente al traforo Principe Amedeo Savoia, in una posizione leggermente elevata alle pendici settentrionali del colle, in una zona compresa tra la riva destra del fiume Tevere e il cosiddetto Monte di Santo Spirito, un'area notoriamente indicata dalle fonti antiche come sede privilegiata delle residenze private della famiglia imperiale e dove, con molta probabilità, si sarebbero trovati gli "horti" di Agrippina Maggiore (14 a. C. - 33 d. C.), nipote di Augusto e madre di Caligola.

E Roma non si smentì neanche in quell'occasione. Vennero alla luce i resti pertinenti ad un ampio complesso edilizio, ribattezzato la "domus imperiale", che cominciò a regalare sorprese su sorprese. Innanzitutto la stessa struttura architettonica datata verosimilmente fra l'età traianea e il II-III secolo d. C., articolata in molti ambienti e dotata di un apparato decorativo di pitture su fondo bianco che riproducono in un elegante e raffinato naturalismo uccellini, maschere gorgoniche e finte edicole stilizzate inquadrate da tralci e ghirlande. Un complesso che infervorò non poco il parterre di archeologi che volevano riconoscervi i famosi sopra-citati "horti Agrippinae", i giardini di Agrippina Maggiore che potrebbe averli ricevuti in eredità dal marito Germanico oppure dal padre Agrippa, genero di Augusto, rinomato per le sue vaste proprietà nel campo Marzio e nel Vaticano. Giardini passati poi, nel 33 d. C., a Caligola e menzionati da Tacito.

Non solo. Due ambienti della domus restituirono un eccezionale deposito di elementi architettonici, unico e rarissimo, nei più pregiati marmi colorati, disposti ordinatamente l'uno accanto all'altro lungo le pareti. Circa seicento elementi marmorei, databili al I secolo d. C. e pertinenti ad un altro edificio aulico, che per il momento rimane sconosciuto, reduci da un ipotetico smontaggio dell'apparato decorativo. Un deposito delle meraviglie per la ricchezza e la varietà dei marmi e per i dettagli plastici decorativi dei singoli elementi architettonici.

L'apoteosi di sontuosità raccontata da grandi capitelli di lesena in rosso antico, uno dei marmi più preziosi proveniente dalla Grecia meridionale, arricchiti da applicazioni policrome, un unicum nel panorama finora noto dell'architettura antica. La serie strepitosa di capitelli corinzieggianti in marmo bianco insieme ad altri più piccoli capitelli figurati con il motivo di coppie di delfini. Ancora, marmi giallo antico della Numidia utilizzato in cornici o in piccoli inserti per pannelli figurati, l'ardesia per cornici e pannelli intarsiati, il portasanta, pavonazzetto, cipollino in molte cornici e lastre di rivestimento insieme con l'africano, il marmo di Sciro. E, soprattutto, un eccezionale corpus di lastre di alabastro per rivestimenti parietali entro cornici.

Un'altra sorpresa fu anche il rinvenimento, sul pavimento di un ambiente scavato, di una piccola statuetta in marmo di Afrodite Charis, elegante nella fattura, che rivela l'immagine della dea vestita di una semplice tunica fluttuante e scivolata, lasciando intuire il movimento del corpo, leggermente flesso, senza la rigidità canonica della statuaria classica. Un piccolo grande capolavoro. E dalle viscere del Gianicolo questo repertorio unico e inedito di marmi imperiali mai visti primi dal grande pubblico sfila per la prima volta nella mostra "I colori del fasto. La Domus del Gianicolo e i suoi marmi", in scena a Palazzo Altemps fino al 18 aprile, curata dal soprintendente archeologico di Roma Angelo Bottini, dalla direttrice di Palazzo Altemps Matilde De Angelis d'Ossat, da Fedora Filippi e Claudio Moccheggiani Carpano. Una rassegna che gioca sulla preziosità dei reperti antichi e sulla personalità sontuosa dello stesso Palazzo Altemps. Tant'è che l'allestimento insiste sull'effetto di una mise en scène, su una scenografia che coinvolge l'intero Teatro del Palazzo, dove sono stati ricostruiti gli ambienti della domus con le pitture parietali, e nello specifico quelli che hanno riportato alla luce il deposito dei marmi.

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In più, si avanza una ipotesi di ricostruzione dell'apparato decorativo dell'ambiente cui appartenevano i materiali del deposito, sfoggiando i tre mirabili ordini di capitelli. Quello maggiore, dato dal grande capitello di lesena in rosso antico, che poteva raggiungere un'altezza di quasi 6 metri. Il mediano, costituito dalla serie de splendidi capitelli corinzieggianti di lesena, che si alzavano per almeno 3,50 metri. Il minore, documentato dai capitelli figurati con delfini appartenenti a semicolonne dell'altezza di un metro e che inquadravano presumibilmente delle edicole, all'interno delle quali gli archeologi immaginano che fossero posizionate piccole statue decorative come quella dell'Afrodite Charis. "Tutto il materiale in mostra è frutto della complessa vicenda della scoperta archeologica - racconta Angelo Bottini - che risale al 1999 quando durante gli scavi per il Giubileo, si trovarono una serie di ambienti datati al II secolo d. C., decorati con pitture a fondo bianco, e in due ambienti, si rinvenne lo straordinario deposito di materiali marmorei, circa 600 pezzi riferibili al I secolo d. C.".

"Fu un ritrovamento eclatante, al centro di polemiche - ricorda Moccheggiani - Dopo la scoperta, la soprintendenza bloccò i lavori e avviò invece lo scavo archeologico sviluppando un accurato studio scientifico. Lo scavo intercettò una struttura addossata alla collina del Gianicolo, parzialmente ipogea, collegata con scale alle parti superiori, quindi strutturata su almeno due piani. Datata all'epoca d Traiano, per il rinvenimento di bolli traianei in cartiglio circolare sulla cabaletta del sistema fognario. La villa rivelò ben presto interventi di ristrutturazione dei epoche successive, con una ripartizione degli ambienti e un apparato decorativo risalenti al II secolo d. C. All'interno di due stanze, la vera scoperta del deposito, con tutto questo materiale architettonico che probabilmente costituiva l'apparato decorativo di un altro complesso edilizio datato al I secolo d. C. in seguito abbandonato e smontato. Forse fu un terremoto a seppellire questo magazzino, altrimenti oggetto di razzia". "Nelle nostre intenzioni - anticipa Bottini - una volta conclusa la mostra, vorremmo conservare questo materiale proprio qui a Palazzo Altemps, inserendolo nel percorso permanente di visita del museo".

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di LAURA LARCAN

Notizie utili - "I colori del fasto. La Domus del Gianicolo e i suoi marmi", dal 17 dicembre al 18 aprile 2006. Palazzo Altemps, Piazza di Sant'Apollinare, 48 (presso Piazza Navona).

Orari: martedì-domenica, 9-19:45, chiuso lunedì.

Ingresso: intero €9, ridotto €5,50.

Informazioni: 06-39967700.

Catalogo: Electa

(27 dicembre 2005)

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