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Diablo

[ARTE]Ballando Con Picasso

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DANZA E AVANGUARDIE

Ballando con Picasso

Matisse e Diaghilev, Rauschenberg e Cunningham, Salle e Nureyev. Il Mart di Rovereto racconta i rapporti tra la danza e l'arte contemporanea. Da Degas a Keith Haring, un viaggio attraverso il '900 in oltre mille opere

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Rovereto - All'inizio fu Degas. Il primo ad immortalare le ballerine classiche come protagoniste delle sue tele. Riscaldamento alle sbarre, prove in atelier, piroette, slanci e volteggi sul palcoscenico. L'affaccio inedito su un mondo di faticosa e costante dedizione professionale, solo apparentemente addolcito dalle nuvole di voile bianco e rosa sprigionate dai costumi di scena. Poi arrivò Toulouse-Lautrec, col suo voyeurismo goliardico e disincantato verso le acrobazie sciantose del Moulin Rouge, verso lo sfrenato erotismo del can can. A seguire, Picasso, che varcò il confine, entrò a far parte direttamente di quel mondo, smettendo di guardare e ritrarre a debita distanza, ma trasferendo nelle scene e nei costumi del balletto tutta l'energia creativa della sua pittura. Dopo di lui, la professione di scenografo e costumista intrigherà molti altri artisti. E questa liason di arte sulle punte viene ripercorsa dalla grande mostra "La Danza delle Avanguardie. Dipinti, scene e costumi: da Degas a Picasso, da Matisse a Keith Haring", ospitata fino al 7 maggio 2006 al Mart, il Museo di arte moderna e contemporanea di Trento e Rovereto, sotto la cura di Gabriella Belli e Elisa Guzzo Vaccarino.

Un viaggio lungo oltre mille opere tra dipinti, sculture, abiti di scena, scenografie, disegni, bozzetti, fotografie e video per raccontare i magici e straordinari, a volte scandalosi e provocatori, intrecci tra l'arte del Novecento, con i suoi movimenti d'avanguardia e le sue sperimentazioni scalpitanti, e la danza. Partendo ovviamente dal già citato Edgar Degas "il pittore delle ballerine" con i suoi notissimi dipinti ispirati alla danza classica, per approdare fino a Jan Fabre, uno dei più controversi e versatili maestri dell'attualità contemporanea, non solo artista ma fac-totum della scena, con le sue velleità da coreografo-scenografo-drammaturgo.

In questa mostra c'è tutto un condensato di contributi che i più grandi artisti del secolo scorso hanno offerto alla danza, dove sfilano Picasso, Matisse, Depero, Kandinsky, Leger, Keith Haring, Schlemmer, Malevic, Isamu Noguchi, Robert Rauschenberg, Jeff Koons, solo per citarne alcuni. Perché, come spiega Elisa Guzzo Vaccarino, "nel movimento di pendolo continuo, tra XX e XXI secolo, di abbraccio delle arti intorno alla danza o di rifiuto da parte della danza come arte assoluta di venire a patti con esse, assumendo al contrario su di sé l'intero processo ed esito creativo, pittori e scultori hanno reinventato il palcoscenico, regalando a tutti gli 'ismì la sempre sognata possibilità di rendere mobili e tridimensionali le proprie idee innovative".

E allora, via alle danze. Si comincia con i più doverosi, gli artisti della Belle Epoque parigina che indagano frenesie, atmosfere, dietro le quinte, prove e messe in scena del bel mondo del palcoscenico: Degas e Toulouse-Lautrec, romanticismo e scelleratezza, garbo e delirio, amore e sesso. All'alba del Novecento, gli artisti salgono direttamente su quel palcoscenico per trasfigurare il teatro in un laboratorio di acuta e vertiginosa sperimentazione. E il primo a trarne nutrimento è Serge Diaghilev, l'impresario dei Ballets Russes che con molta lungimiranza punta tutto su artisti genialmente innovatori, come Picasso, Matisse, Balla, Prampolini, Derain, de Chirico, Braque e il meno noto all'epoca Fortunato Depero, sempre peraltro mantenendo al suo seguito i fedelissimi russi, Goncharova e Larionov, che rappresentarono, pur nella novità del loro linguaggio, la continuità con il passato e il legame più forte con la cultura d'origine russa.

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In "Chout", per esempio, Larionov, riuscì a coniugare nella creazione dei costumi suggestioni della tradizione popolare russa con una curiosa interpretazione cubo-futurista di stracci colorati, che avevano lo scopo, come spiegherà Diaghilev in difesa del balletto, di rendere naturalmente plastico il movimento del ballerino. Diaghilev, un anfitrione bizzarro, come lo definisce Gabriella Belli, "uno che il pubblico talvolta acclamava e molto spesso abbandonava, cosa che spiega le ragioni di quel continuo bisogno di denaro che lo ossessionò tutta la vita. Ma la sua fede nella fecondità irradiante delle arti lo portava sempre a osare di più e non a tornare indietro". Quando nel terzo anno di guerra, il 18 maggio 1917, al Théâtre du Châtelet si alzò il sipario sulla sua nuova produzione, "Parade", su musica di Erick Satie e libretto di Cocteau, il trionfo dell'esprit nouveau, come disse Apollinaire, Diaghilev suggellava l'assoluta libertà creatrice del genio di Picasso, che qui alternò cubismo e naturalismo.

Chiamerà a lavorare anche i futuristi Balla, Prampolini e Depero, che lavora con lui alla preparazione di alcuni importanti progetti, come "Le Chant du Rossignol" di Stravinsky e il ben noto "Parade" di Picasso, per il quale Depero realizzò i costumi dei managers. Rivale di Diaghilev fu Rolf de Mare, impresario dei Ballets Suedois, attivi a Parigi tra il 1920 e il 1925, coi quali collaborano Giorgio de Chirico (La Jarre) e Fernand Leger (La creation du monde). Qui, per raccontare la vita che nasce dal caos, Legér concepì il fondale come una grande tela affrescata, dove il caos primordiale veniva rappresentato dalla stratificazione di forme arcaiche scomposte, attraverso elementi vagamente riconoscibili come maschere primitive, feticci magici, animali sacri. Per i costumi, una sorta di bestiario fantastico, l'artista s'ispirò a iconografie primitive ma anche a forme di oggetti apotropaici, maschere, bastoni, teste di animali.

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Pioniere della modern dance americana, saranno Isadora Duncan e Loïe Fuller, muse ispiratrici di disegnatori, fotografi e scultori. Per Loïe Fuller la danza è arte cinetica, plastica, visiva, cromatica, liberata da qualsiasi narratività. Per la Duncan la danza deve esprimere solo emozioni e sentimenti, ricorrere ai movimenti più naturali del corpo, suscitare una nuova concezione della vita, più sciolta, più armoniosa, più naturale. Dopo di loro, comincia a prendere il sopravvento la contemporaneità. E l'effetto "sodalizio". Isamu Noguchi lavora per Martha Graham, realizzando quelle sculture sceniche che diventeranno parte importante per esprimere i risvolti psicanalitici delle sue creazioni. Joan Mirò per Serge Lifar e Leonide Massine, le combine paintings di Robert Rauschenberg diventano scenografia per Merce Cunningham. Lucio Fontana escogita il "Ritratto di Don Chisciotte" di Petrassi.

Fino a Keith Haring che elabora graffiti per Bill T. Jones, all'insegna, anche qui, della totale autonomia ed estemporaneità, il loro lavoro si coniuga nel modo più semplice: Haring dipinge in tempo reale sul muro di fondo, mentre Jones danza, in un partitura senza musica. Ancora più recente, David Salle che lavora con Karole Armitage, allieva di Cunningham e di Balanchine. Per lei, Salle realizza le scenografie di "The Mollino Room" interpretato da Baryshnikov, o "The Tranished Angels" del 1987, per Nureyev, o "Contempo" del 1989, al quale collabora anche Jeff Koons, che propone un porcellino-giocattolo in plastica gonfiabile, però gigantesco, coerentemente col gusto per le dimensioni fuori scala tipico dello scultore americano. Giulio Paolini per Davide Bombana lavora a "Teorema" di Pisolini. Anche Grazia Toderi per Virgilio Sieni si cimenta sullo spazio con il pasoliniano "Il fiore delle Mille e una Notte", dove gli elementi che interagiscono nelle sue opere sono oggetti minuti, giocattoli, materiali "extraartistici" come il latte spruzzato in un acquario per alludere al linguaggio della pittura. Per concludere con Jan Fabre, quello degli scarafaggi, per intenderci. Scultore ma anche coreografo e regista delle proprie opere-performance teatrali, che evocano l'idea ambiziosa dell'"opera d'arte totale".

di LAURA LARCAN

Notizie utili - "La Danza delle Avanguardie. Dipinti, scene e costumi: da Degas a Picasso, da Matisse a Keith Haring", dal 17 dicembre al 7 maggio 2006. Mart, Museo di arte moderna e contemporanea di Trento e Rovereto, corso Bettini, 43. Rovereto.

Orari: martedì, mercoledì, giovedì, sabato e domenica, 10-18, venerdì 10-21, lunedì chiuso.

Ingresso: intero €8, ridotto €5, scuole €1 a studente.

Informazioni: 800 - 397760, 0464 438887.

Catalogo: Skira.

(28 dicembre 2005)

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