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[LIBRI]Il Dannunziano E La Ragazza Rossa

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Il controverso romanzo di Buttafuoco nella Sicilia liberata

e l'autobiografia di Rossana Rossanda tra politica, sogni e ricordi

Il dannunziano e la ragazza rossa

gli opposti di qualità in libreria

Tra le novità anche gli anni inglesi di Canetti, le memorie di un sopravvissuto

nel bunker di Hitler e la battaglia di Austerlitz raccontata da chi c'era

di DARIO OLIVERO

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Non esistono due persone più lontane per cultura, carattere e storia personale. Né due libri più lontani, autobiografico, impegnato e pieno di struggimento il primo; picaresco, nostalgico e sfrontato ai limiti della filibusta il secondo. Ma sono loro due, Rossana Rossanda e Pietrangelo Buttafuoco i due scrittori di cui più si parla in questi giorni. Due autori italiani e, anche se in modo profondamente diverso, "politici".

LA RAGAZZA

I motivi per leggere La ragazza del secolo scorso di Rossana Rossanda (Einaudi, 18 euro) sono tanti. Proviamo a indicarne qualcuno. E' il racconto della prima parte della vita di una donna complessa. Borghese, partigiana, comunista, donna di partito in perenne conflitto con il partito, espulsa, fondatrice del Manifesto, voce lucida e coerente allora come oggi. Appassionata di arte ma costretta dalla sua coscienza a darsi da fare per cambiare le cose. Donna del nord costretta a convivere con l'oscura palude romana in cui si insabbiava il partito. Forza sana e dinamica di quello stesso partito a cui rimprovera fondamentalmente la colpevole lentezza nel cogliere fenomeni e cambiamenti come quando non intuì la portata del boom economico, non prese subito le distanze dai fatti di Ungheria, non riuscì a cogliere quanto stava accadendo nel '67-68 e fu costretto a inseguire impacciato. Ma anche una donna che rimpiange di non aver saputo comunicare fino in fondo anche il volto migliore di quel partito e della sua peculiarità mondiale nella sua tradizione di democrazia. Altri motivi per leggere il libro, passaggi che commuovono fino alle lacrime. Come questo, la figlia che vorrebbe dire a sua madre cose che ora saprebbe dirle: "Ora che ogni strazio è spento, vorrei ritrovarla come l'ho lasciata prima che perdesse coscienza, ci sederemmo vicine, saremmo stanche tutte due e avremmo molte domande da farci. Una madre e una figlia sanno poco l'una dell'altra, per difesa e affetto e pena. Ora sarei più grande, potrei prenderla in braccio, averla partorita".

L'ESORDIENTE

Le uova del drago, primo romanzo di Pietrangelo Buttafuoco (Mondadori, 17) si porta dietro una domanda da quando è uscito: visto che l'autore è intellettuale di destra e che il romanzo è stato giudicato da più parti come un buon romanzo, ben scritto, ben congegnato e con una insospettabile creatività linguistica, siamo di fronte a un'opera letteraria di destra? Detto in modo più diretto: è un romanzo fascista? Qualcuno potrebbe pensarlo. Dopotutto si parla di ufficiali fascisti che sputano in faccia ai badogliani, crimini commessi dalle truppe alleate contro inermi civili siciliani, rifiorire della mafia grazie ai servizi segreti americani che utilizzarono le grandi famiglie per preparare lo sbarco e la transizione alla fine del conflitto. Dopotutto l'eroe della storia è una bellissima spia tedesca mandata in Sicilia direttamente da Hitler per portare a termine la sua missione. Dopotutto. Ma forse quello di Buttafuoco è solo un romanzo siciliano. Impregnato dell'infinita commedia che ruota intorno al potere, delle briciole d'onore cercate in qualunque cosa possa garantire il ritorno di antiche grandezze, di diffidenza per ogni idea di liberazione, di attardarsi indefinitamente sui progetti più che sulla loro realizzazione, di avvocati che dettano condizioni a potenze mondiali in cambio di un lignaggio da perpetrare nel nuovo assetto di potere. Come ben sanno i siciliani, ogni uovo che si tenti di covare in Sicilia quando si schiuderà mostrerà un animale diverso da quanto ci si aspettasse.

IL SOPRAVVISSUTO

Dall'agente segreto di Hitler inventato da Buttafuoco a uno che Hitler l'ha conosciuto nel suo periodo più oscuro, la caduta. Bernd Freytag von Loringhoven oggi ha 91 anni e ha passato una vita nella Wehrmacht combattendo su vari fronti nella Seconda guerra per essere poi riammesso come ufficiale nell'esercito della Rft. Quando Hitler si rifugiò nel "Covo del lupo", il bunker a Berlino dove poi trovò la morte con i soldati dall'Armata Rossa a poche centinaia di metri, lui era lì come aiutante di campo del capo di stato maggiore. Partecipava ogni giorno alle riunioni tattiche, sentiva ciò che si diceva trionfalmente nel contesto ufficiale e ciò che si sussurrava lontano da orecchie indiscrete quando ormai era chiaro a tutti che la sconfitta finale era imminente. Vedeva Goering, Bormann, Goebbels, annotava ambizioni, servilismo, paure. Era lì subito dopo l'attentato fallito contro il Fuhrer - e di cui il cugino era uno degli organizzatori - e lì quando, davanti ai suoi occhi, l'uomo che aveva messo a ferro e fuoco l'Europa si spegneva fisicamente giorno dopo giorno restando però aggrappato alla sua megalomania debordante. Questo racconta nel libro Nel bunker di Hitler (tr. it M. Botto, Einaudi, 13). Una sola cosa si fatica a credere, quando dice: "Sino alla fine della guerra i nomi dei campi di sterminio mi erano ignoti. Non avevo alcuna idea del sistema di sterminio messo in atto contro gli ebrei".

L'ESULE

Poco prima, quando le cose per Hitler andavano meglio e su Londra cadevano le bombe, nella capitale britannica viveva come esule Elias Canetti. Party sotto le bombe (tr. it. A. Vigliani, Adelphi, 18) è l'ultimo volume della sua biografia. Il premio Nobel autore di Massa e potere racconta quegli anni spigolando tra incontri, riflessioni e il doppio legame con un Paese che ama - piene d'amore sono le pagine sugli anni passati ad Hampstead - ma del quale nello stesso tempo mal sopporta l'ipocrisia ("l'unico cemento sociale") e la freddezza interiore. La grandiosa inutilità di certi libri Adelphi ci porta lontano, tra la stroncatura che Canetti fa di Eliot, i Beatles e la dirompente eppure breve critica alla Thathcer che consentì con la sua politica di far tirare "un sospiro di sollievo al popolo inglese che di colpo si sentì autorizzato a essere abietto come gli altri popoli, guadagnadoci per giunta lodi sperticate". In queste pagine si compie un miracolo: dalla fusione tra l'inquieto intellettuale mitteleuropeo e quello inglese disincantato nasce una creatura unica e preziosa.

IL SOLDATO

Passo indietro di poco meno di un secolo e mezzo, altra guerra, altre campagne, più o meno gli stessi protagonisti, gli Stati, più giovani ma sempre determinati a travolgere l'Europa. Ecco Louis-Alexandre Andrault de Langeron, aristocratico e soldato, francese emigrato nella Russia per offire i suoi servigi alla zarina Caterina, finito a combattere contro la République nella madre di tutte le battaglie, quella che sancì la più grande vittoria di Napoleone. Il ricordo di quella battaglia si intitola appunto La battaglia di Austerlitz (tr. it V. Frizzi, Sellerio, 9). E' un libretto impressionante non solo per il suo valore di documento storico ma per le indubbie capacità letterarie e psicologiche di Langeron che descrive tutti i protagonisti della battaglia e attraverso i loro limiti, difetti, inadeguatezze, le cause che portarono alla disfatta.

(29 dicembre 2005)

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