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Diablo

Speciale: Festival di Cannes 2006

48 messaggi in questa discussione

Il Codice da Vinci aprira' Cannes

Il regista e' Ron Howard, il protagonista Tom Hanks

(ANSA) - PARIGI, 22 GEN - 'Il codice Da Vinci', il film americano di Ron Howard tratto dall'omonimo best-seller di Dan Brown, aprira' il 59/o Festival di Cannes. Accadra' mercoledi' 17 maggio 2006. Il film sara' presentato a Cannes fuori concorso. Il libro di Brown, un mistery esoterico-religioso tradotto in una quarantina di lingue, ha venduto 30 milioni di copie nel mondo, nonostante le critiche della Chiesa cattolica e di molti storici. Ha un cast prestigioso. Il protagonista e' Tom Hanks.

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Il Codice da Vinci aprira' Cannes

Il regista e' Ron Howard, il protagonista Tom Hanks

(ANSA) - PARIGI, 22 GEN - 'Il codice Da Vinci', il film americano di Ron Howard tratto dall'omonimo best-seller di Dan Brown, aprira' il 59/o Festival di Cannes. Accadra' mercoledi' 17 maggio 2006. Il film sara' presentato a Cannes fuori concorso. Il libro di Brown, un mistery esoterico-religioso tradotto in una quarantina di lingue, ha venduto 30 milioni di copie nel mondo, nonostante le critiche della Chiesa cattolica e di molti storici. Ha un cast prestigioso. Il protagonista e' Tom Hanks.

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Io ho letto il libro, e sono curiosa di vedere il fim ora :)

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IL MARITO VINCENT CASSEL E' MAESTRO DI CERIMONIE ALLA CROISETTE

Monica Bellucci giurata a Cannes

11/4/2006

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ROMA. Monica Bellucci farà parte della giuria internazionale presieduta dal regista cinese Wong Kar Wai al 59° festival di Cannes in corso dal 17 al 28 maggio. La notizia - data ieri dal quotidiano «Le Parisien» - sarà ufficiale il 20 aprile, quando sarà annunciata la selezione dei film in competizione. La Bellucci è a Toronto, in Canada, e vi resterà ancora una decina di giorni per terminare le riprese del thriller «Shoot Them Up» dell'inglese Clive Owen.

Raggiungerà sulla Croisette il marito Vincent Cassel - e padre della loro piccola Deva, nata nel settembre 2004 - che presenterà le cerimonie di apertura e di chiusura del festival. Cassel e la Bellucci sono già stati insieme a Cannes nel 2002 per il controverso film di Gaspard Noé, «Irreversible», sotria di vendetta, turpiloquio e violenza con una scena di stupro lunga otto minuti e mezzo. Il regista prevedeva che la coppia si sarebbe separata dopo le riprese, cone accadde a Tom Cruise e Nicole Kidman dopo «Eyes Wide Shut» di Kubrik, invece i due filano ancora d'amore e d'accordo.

Tra i film italiani in corsa per Cannes non si sa ancora nulla del «Caimano», perchè, come ha spiegato Moretti «dovrà essere sottotitolato in francese per essere esaminato dal direttore artistico del festival Thierry Fremaux». Potrebbe approdare alla Croisette l'opera prima di Kim Rossi Stuart «Anche libero va bene», che racconta la difficile situazione familiare di un bambino alle prese con una madre instabile (Barbora Bobulova) e sempre in fuga e un padre troppo oppressivo: «I francesi si sono innamorati di Kim Rossi Stuart - dice Michele Placido - e posso anticipare che il suo film andrà a Cannes». Un onore che potrebbe toccare anche all'atteso «The Golden Door» di Emanuele Crialese. Anche se per la storia raccontata dal regista di «Respiro», quella di una famiglia siciliana che emigra nel Nuovo Mondo all'inizio del XX secolo, non c'è ancora una data certa di uscita.

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Sono state rese note le pellicole che parteciperanno al festival

Il «Caimano» di Nanni Moretti a Cannes

In gara per la Palma d'Oro anche «L'amico di famiglia» di Paolo Sorrentino. Marco Bellocchio nella sezione 'Certain regard'

CANNES - Saranno «Il caimano» di Nanni Moretti e «L'amico di famiglia» di Paolo Sorrentino i film italiani a concorrere per la Palma d'oro al prossimo festival di Cannes. L'annuncio è stato dato nella conferenza stampa di Parigi. «Il regista di Matrimoni» di Marco Bellocchio è nella sezione 'Certain regard's.

CONCORSO - Escluso dalla competizione il nuovo e atteso film di Emanuele Crialese, «La porta d'oro», dato per favorito alla vigilia. In lizza per la 59esima edizione del festival cinematografico (17-28 maggio) anche «The Wind that Shakes the Barley» di Ken Loach, «Marie-Antoinette» di Sofia Coppola, e «Volaver» di Pedro Almodovar.

STAR - Ufficializzata la lista dei concorrenti, a Cannes è dunque cominciato il conto alla rovescia per la parata di star in arrivo alla Croisette. Ci saranno nomi del calibro di Tom Hanks, Bruce Willis, Samuel L. Jackson e Monica Bellucci. Ad aprire il Festival, come annunciato da tempo, sarà «Il codice da Vinci», interpretato proprio da Tom Hanks, che sarà affiancato, fuori concorso, dal terzo capitolo della serie dedicata al fumetto «X-Men».

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Sulla Croisette anche "Il regista di matrimoni" di Bellocchio, nella sezione

"Un certain regard". La kermesse apre i battenti il 17 maggio

Moretti e Sorrentino in concorso

al prossimo festival di Cannes

Il regista napoletano: "E' una conferma del lavoro che sto facendo"

Tra gli autori internazionali più attesi, Almodovar, Loach e la Coppola

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La locandina del festival di Cannes

PARIGI - Saranno Il caimano di Nanni Moretti e L'amico di famiglia di Paolo Sorrentino, i film italiani a concorrere per la Palma d'oro al prossimo festival di Cannes. L'annuncio è stato dato nella conferenza stampa sull'edizione 2006 della rassegna, che si è tenuta al Grand Hotel di Parigi. Restando nell'ambito del cinema di casa nostra, c'è da segnalare anche la presenza del Regista di Matrimoni di Marco Bellocchio, selezionato nella sezione Un Certain regard.

E se la pelicola di Moretti è stata già vista - e ampiamente dibattuta - nei cinema italiani, c'è molta curiosità per l'ultima fatica di Sorrentino, reduce dai trionfi della Conseguenze dell'amore. Questo nuovo film - interpretato da Giacomo Rizzo, Fabrizio Bentivoglio e Laura Chiatti - è ambientato nell'area pontina, e narra le vicende di un usuraio dall'aspetto sgradevole e del suo socio, appassionato di musica country.

"Essere in concorso a Cannes una volta può essere il caso di un film fortunato, esserci una seconda volta è una conferma al lavoro che sto facendo - ha dichiarato Sorrentino - anche perché sono in ottima compagnia: ammiro e stimo molto il lavoro di Moretti, il migliore dei registi italiani. Essere stato preso nella selezione insieme a lui è già un gran risultato".

Quanto al Caimano, secondo il direttore artistico della manifestazione, Thierry Fremaux - che ha illustrato le scelte compiute dai vertici del festival - si tratta di "un film impegnato e non politico". "Non è un'opera sulla politica italiana, come si potrebbe immaginare - ha aggiunto - ma un film impegnato, sulla politica in generale e sulla vita privata".

Completano la puttuglia italiana il documentario sulla Shoah di Mimmo Calopresti, Volevo solo vivere, presente come evento speciale; e nella sezione Cannes Classics i documentaristi Mario Canale e Annarosa Morri con Ciao Marcello, dedicato a Mastroianni nel decennale della morte.

Per il resto il festival annovera, in concorso, Volver, l'attesissimo film di Pedro Almodovar; la Maria Antonietta di Sofia Coppola; la nuova opera di Ken Loach, The wind that shakes the berley. E, sempre nella competizione ufficiale, non poteva mancare un tris di pellicole francesi: sono Flandre di Bruno Dumont, Selon Charlie di Nicole Garcia e Quand j'étais chanteur di Xavier Gianolli. Un quarto titolo d'Oltralpe, Transylvania di Tony Gatlif, chiuderà, fuori concorso, la kermesse. Aperta invece, come ampiamente annunciato, dall'anteprima dell'attesissimo Codice da Vinci di Ron Howard (sempre fuori concorso).

Il festival, giunto all'edizione numero 59, aprirà i battenti il 17 maggio, per concludersi il 28 dello stesso mese.

(20 aprile 2006)

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Cinema. Rossi Stuart in gara alla Quinzaine des Realisateurs a Cannes

Roma, 2 maggio 2006

Tra i 22 lungometraggi in gara alla Quinzaine des Realisateurs, al Festival di Cannes il 22 maggio, c'e' ''Anche libero va bene'', primo film da regista di Kim Rossi Stuart con Barbora Bobulova, Alessandro Morace e lo stesso Rossi Stuart.

"Racconto la storia d'amore tra un padre e un figlio" ha spiegato il neoregista, che questa mattina a Roma ha presentato il suo lavoro. "E' un film con il quale ho cercato di volare alto - ha continuato - ma essendo io un bambino dal punto di vista registico, ho pensato fosse giusto partire con un'opera che parlasse d'infanzia".

La pellicola narra, attraverso gli occhi dell'undicenne Tommaso, la storia di una famiglia "come tante ce ne sono ai giorni nostri", con un padre autoritario costretto a crescere da solo i due figli e una madre, che dopo l'ennesima fuga, irrompe nuovamente nelle vite del marito e dei due ragazzi.

"Sono personaggi moderni costretti a fare i conti con problematiche attuali - ha detto Rossi Stuart - ma non e' mai stata mia intenzione giudicare i due genitori, di cui ho cercato di descrivere le personalita' senza definirle totalmente in maniera negativa.

Nel corso della Quinzaine des Realisateurs saranno presentati anche 11 cortometraggi.

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Festival di Cannes 2006: più successo che mai per la cinematografia europea

Diciassette film europei sono arrivati alla selezione finale

Il Festival internazionale del cinema di Cannes, la cui edizione 2006 si apre il 17 maggio, segnerà un anno di particolare riuscita per l'industria cinematografica europea. Diciassette film europei, tutti beneficiari di finanziamenti nel quadro del programma MEDIA dell'Ue, sono arrivati alla selezione finale. Il futuro del programma MEDIA, lo sviluppo di modelli imprenditoriali per i servizi di film online e la competitività della cinematografia europea all'estero saranno i punti all'ordine del giorno il 23 maggio a Cannes, quando i ministri della Cultura e dell'Audiovisivo dell'Ue si riuniranno con il commissario Reding per lo scambio di opinioni annuale sulla politica audiovisiva europea.

"È veramente un buon raccolto", ha dichiarato Viviane Reding, commissario Ue per la società dell'informazione e i mezzi di comunicazione, esprimendo la propria soddisfazione per la forte presenza del film europeo a Cannes. "Fra il 2001 e il 2006 l'Europa ha investito, nel quadro dei programmi MEDIA, 513.000.000 EUR nella circolazione dei film europei al di fuori dei paesi di produzione. È stato un investimento redditizio: non solo promuoviamo la diversità culturale, che è al centro stesso della nostra identità europea, ma abbiamo anche fortemente potenziato la competitività dell'industria audiovisiva europea. Farò tutto il possibile affinché in futuro i film europei possano continuare a contare su un solido appoggio dell'Ue, malgrado le attuali limitazioni finanziarie del nostro bilancio".

Nel corso dell'imminente 59° Festival di Cannes la Commissione europea rivolgerà la sua attenzione particolarmente alle modalità di miglioramento della distribuzione e di affermazione dei film europei all'esterno dell'Europa. "Il film europeo si globalizza" è il tema della Giornata dell'Europa del Festival, tradizionalmente dedicata a problematiche attuali che sono all'ordine del giorno della politica audiovisiva europea. Malgrado recenti successi — in marzo il film francese "La marcia dell'Imperatore" ("La marche de l'Empereur"), sovvenzionato nel quadro del programma MEDIA, ha vinto l'Oscar come migliore documentario per il 2006 —, le quote di mercato dei film europei al di fuori dell'Ue sono ancora molto modeste. Oggi i film europei incidono per il 12% circa sul mercato australiano, per l'8,3% su quello turco, per il 6,7% su quello russo, per il 4,6% su quello USA e per il 2,3% su quello sudcoreano. Nel corso della Giornata dell'Europa a Cannes si discuteranno pertanto i mezzi atti a potenziare la competitività del film europeo; tra i partecipanti saranno i ministri della Cultura e dell'audiovisivo dei 25 Stati membri dell'Ue, il commissario Viviane Reding, il presidente del Festival di Cannes Gilles Jacob e alcuni professionali del cinema di paesi terzi.

La Giornata dell'Europa di quest'anno vedrà anche la conclusione dei negoziati sul film online. Nel corso del Festival di Cannes dell'anno scorso il commissario Reding aveva avviato un dialogo fra dirigenti dell'industria cinematografica e della contenutistica, fornitori di servizi di internet e operatori telecom che da allora lavorano ad una Carta europea del film online. Questa è destinata a fare sì che emerga un consenso a livello imprenditoriale sulle pratiche raccomandabili per rendere un maggior numero di film disponibile online nell'ambito di modelli imprenditoriali legittimi e per la cooperazione nella lotta contro la pirateria online. Le ultime tappe del negoziato sulla Carta europea del film online saranno presiedute a Cannes dal commissario Reding.

Il 59° Festival di Cannes ha incluso nella sua selezione 17 film che hanno beneficiato del sostegno del programma MEDIA a livello di messa a punto e/o distribuzione.

Il Premio Nuovo talento MEDIA 2006 sarà aggiudicato dal commissario Reding ad un giovane cineasta innovativo la sera del 22 maggio.

4 maggio 2006

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Codice da Vinci, polemiche e attesa

Anteprima al Festival di Cannes

E' finalmente arrivato il momento del film più atteso della stagione. Il 19 maggio uscirà "Il Codice Da Vinci", ma già il 17 sarà proiettato a Cannes. Il libro di Dan Brown da cui è tratto il film ha già venduto milioni di copie in tutto il mondo e anche la pellicola (che arriva preceduta da un forte battage pubblicitario) continuano a scatenare polemiche. Il cardinale Camillo Ruini ha detto che l'opera "mette in discussione la fede per denaro".

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ALCUNE CURIOSITA'

Girato fra Parigi e Londra, con un budget di 125 milioni di dollari, il film è prodotto e distribuito dalla Sony-Columbia. Sei milioni di dollari sono andati all'autore del libro per i diritti. Dietro la macchina da presa c'è Ron Howard, regista di molti blockbuster, fra cui "Apollo 13" e "Cinderella Man", e filmaker fra i più quotati di Hollywood. Il film è stato girato nelle sale del Louvre, non è stato possibile invece girare negli altri due luoghi chiave del film, Saint Sulpice, l'antica cattedrale gotica di Parigi e la Westminster Abbey di Londra. Ron Howard giura di essersi attenuto scrupolosamente alla trama dal romanzo di Dan Brown.

IL CAST

La pellicola offre un cast ricco di star internazionali. Tom Hanks, è lo studioso di simbologia americano Robert Langdon. Audrey Tatou, la giovane protagonista del "Favoloso Mondo di Amelie", interpreta l'agente di polizia esperta di crittologia, Sophie Neveu. Jean Reno, veste i panni del rude ispettore Bezu Fache; mentre Paul Bettany è l'inquietante monaco dell'Opus Dei, Silas. Mckellen recita il ruolo dell'anziano professore inglese Leigh Teabing; Alfred Molina è il vescovo dell'Opus Dei Aringarosa.

TUTTO NASCE DA UN OMICIDIO

Il misterioso assassinio dell'anziano curatore del Louvre Jacques Sounière, dà l'avvio ad un intreccio complesso e all'investigazione rocambolesca dei due protagonisti, i quali, lanciati in una speciale caccia al tesoro, arriveranno a scoprire non solo i colpevoli dell'omicidio, ma soprattutto, attraverso l'interpretazione di simboli disseminati in preziose opere d'arte, giungeranno a "verità" sconcertanti sulla vita di Gesù. Al centro dell'intreccio c'è l'Opus Dei, che nel Codice da Vinci, appare come Deus ex machina del fitto intrigo.

ARRIVO A CANNES...IN TRENO

Arriveranno a Cannes a bordo di un treno ad alta velocità (TGV) interamente dedicato al "Codice Da Vinci" il regista Ron Howard e gli interpreti del film. Partenza la mattina del 16 maggio alle ore 9.30 da Londra alla volta della Croisette a bordo di un TGV che, dopo aver attraversato il tunnel sottomarino della Manica ed essere passato per Parigi, giungerà a Cannes nel tardo pomeriggio, tra le 18.00 e le 18.30. Una volta arrivato a Cannes il TGV targato "Codice Da Vinci" entrerà nel Guinnes dei primati per aver percorso la tratta più lunga mai percorsa da un treno ad alta velocità.

POLEMICHE SENZA FINE

Le polemiche di cui il best seller è stato fatto oggetto fin dalla sua uscita nelle librerie, si ripercuotono in questi giorni inevitabilmente anche sul film. Con particolare durezza si è espresso il Vaticano che contro il thriller a sfondo religioso ha lanciato i suoi strali, ingaggiando una battaglia culturale in difesa delle origini del Cristianesimo e dell'essenza stessa della fede. Secondo la Chiesa, infatti, questa sarebbe messa in discussione dalle suggestive, quanto fantasiose, teorie sul matrimonio di Cristo con la Maddalena, nonchè sulla loro progenie, riconducibile addirittura alla dinastia dei Merovingi e di cui sarebbero tuttora in vita i discendenti.

VATICANO: "BOICOTTATE IL FILM"

"Boicottate il film" è la richiesta di una parte delle gerarchie vaticane ai propri fedeli; "sottraetevi dalla colossale impostura", titolava a tutta pagina il quotidiano della Cei, L'Avvenire. Fra gli episodi che hanno segnato la polemica c'è stata la protesta ferma e durissima del Vicariato di Roma contro il poster gigante del film che campeggiava sulla facciata della chiesa di San Pantaleo per la quale il rettore della Parrocchia, Padre Adolfo Garcia Duran ha chiesto e ottenuto la rimozione.

L'AUTORE RIBATTE: "E' SOLO UN ROMANZO"

L'autore del best seller, dal canto suo, ha negato che il racconto abbia pretese di verità: "Debbo ribadire - ha riferito in un intervista rilasciata all'uscita in Italia del libro- una cosa che dovrebbe essere ovvia: Il Codice da Vinci è un romanzo, le cose che vi accadono appartengono al dominio della fiction. I personaggi - ha aggiunto - sono d'invenzione e quello che dicono non vuole essere la verità. Nè tantomeno rispecchiare le idee dell'autore. E'come se io avessi scritto un romanzo - ha chiosato infine - su un serial killer e per questo tutti mi ritenessero un serial killer".

L'ALTA CORTE INGLESE SCAGIONA BROWN

E' di poche settimane fa il pronunciamento dell'Alta Corte inglese a favore dell'autore del romanzo e della casa editrice americana Random House, accusati di plagio da Michael Baigent, Henry Lincoln e Richard Leigh, autori del saggio "Il Santo Graal", uscito nel 1982.

L'ALBUM ESOTERICO ISPIRATO AL LIBRO

Il compositore e produttore olandese Jan Kisjes utilizzando per il cantato l'Inglese, il Francese, il Latino e lo Scozzese e miscelando elettronica, storia culturale e musica classica ha ricreato la magia mistica e coinvolgente del libro di Dan Brown con l'album "Music Inspired by Da Vinci".

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DAL «SIGNORE DEGLI ANELLI» A «X MEN»: PER HOLLYWOOD LA CROISETTE È UN MERCATO

AAA Vendesi film anche a pezzi

16/5/2006 di Lorenzo Soria

LOS ANGELES. Il modello per tutti resta «Il Signore degli anelli». Era il festival di Cannes del 2001 e sulla trilogia ispirata al libro di J.R.R. Tolkien si annunciavano disastri. Anzi tre disastri. Girati uno dopo l'altro, i tre film costarono alla New Line, una divisione della Time Warner, più di 300 milioni di dollari. Era evidente che la produzione non avrebbe mai recuperato i quattrini investiti. Quell'anno, invece, mostrarono 26 minuti del primo film della trilogia, investendo oltre due milioni di dollari per trasformare un castello appena fuori Cannes in una replica del villaggio degli Hobbits. E sappiamo come andò a finire: un successo commerciale e di critica senza precedenti, una valanga di Oscar e Peter Jackson elevato al rango di genio del cinema.

Non c'è vetrina paragonabile a Cannes per mostrare un film alla stampa e ai distributori del mondo, anche se si tratta di un film che uscirà sei mesi dopo ed è ancora in fase di montaggio. Seguendo l'esempio del «Signore degli anelli», la tradizione continua. Quest'anno, per esempio, è il ventesimo anniversario della vittoria di «Platoon» e il festival offirà un tributo a Oliver Stone. Già che c'era, il regista ha chiesto e ottenuto di mostrare anche 20 minuti di «World Trade Center», un film con Nicolas Cage in uscita negli Usa ai primi di agosto. E' dedicato ai pompieri dell'11 settembre, «un argomento al quale noi americani siamo molto sensibili», sostiene Peter Dekom, potente avvocato del mondo dell'entertainment. «Ci domandiamo però quanto importi davvero al resto del mondo».

E' un po' la domanda che si fa la Dreamworks, che a Cannes porta un film intero, il nuovo cartoon «Over The Hedge», più 20 minuti di un musical, «Dreamgirls». La presenza di Jamie Foxx e di Beyoncé Knowles che ballano a cantano dovrebbe bastare, ma una storia basata su un musical di Broadway e ispirata alla vita di Diane Ross e le Supremes potrà viaggiare fuori dagli Stati Uniti? Niente di meglio che Cannes per rispondere a questa domanda e anche qui, dunque, saranno 20 minuti. Irwin Winkler ha invece scelto di mostrane 38 di «Home of the Brave», un fim con Samuel Jackson e 50 Cent (Curtis Jackson) nella parte di due membri della Guardia Nazionale che tornano a casa dalla guerra in Iraq con addosso molte ferite, fisiche ed emotive. «Voglio proporre il film all'attenzione dei media e dei distributori e niente ti offre le opportunità di Cannes», sostiene il regista.

L'uso del festival per lanciare i film di Hollywood, quelli finiti (come l'ultimo «X Men») e anche quelli a metà, trova naturalmente dei critici, i quali sostengono che Cannes ha venduto la sua anima al commmercio. Ma Thierry Fremaux, direttore artistico del festival, non ne fa un dramma: «Fa bene ai filmakers, è un bene per il pubblico, è un bene per tutti».

La piattaforma di Cannes è stata usata per lanciare film come «Gangs of New York» di Martin Scorsese nel 2002 o come, l'anno scorso, «Land of the Dead» di George Romero. Ma come tutto nella vita, Cannes non offre garanzie. Basta chiederlo a Harvey Weinstein, che l'anno scorso ha usato il festival per suscitare interesse attorno ai «Fratelli Grimm». Non è stato un gran successo, ma anzi un gran pasticcio che ha incassato nel mondo circa la metà di quanto è costato.

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Tv: Su Canale 5 i Film Piu' Belli Dei Festival Di Cannes

Roma, 16 mag . - (Adnkronos) - A partire da domani Canale 5, in occasione del Festival di Cannes, trasmettera' in terza serata fino al 27 maggio 'Cannes Cannes' una rassegna con i film piu' belli delle passate edizioni. Ad aprire il ciclo, dopo l'1.30 di notte, in prima visione TV: ''Ubriaco d'amore'', scritto e diretto nel 2002 dal regista Paul T. Anderson (tre nomination all'Oscar nel 2000 per 'Magnolia') vincitore a Cannes del premio miglior regia. A seguire, giovedi' 18 maggio, ''Il passo sospeso della cicogna'', del regista greco Theo Angelopulos, interpretato nel 1991 da Jeanne Moreau e dal nostro Marcello Mastroianni.

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A Cannes critici e invitati hanno già visto il titolo più atteso

«Il Codice da Vinci» accolto gelidamente alla prima proiezione

Neanche un applauso al thriller «anti-cristiano» Qualche fischio isolato e una risata di scherno

DA UNO DEI NOSTRI INVIATI

CANNES — I critici e gli invitati che hanno riempito ieri sera al Festival la prima proiezione mondiale de Il Codice da Vinci hanno mostrato soprattutto, dopo due ore e 32 minuti di proiezione, apatia e indifferenza: nessun applauso e qualche stanco e isolato tentativo di fischio. Eppure tutto qui a Cannes parla di Leonardo: il Palazzo del cinema è pieno di Gioconde, con occhi socchiusi, rose all'orecchio, volti da gatto, in omaggio all'attesissimo enigma del Codice che stasera aprirà con un gala la rassegna e uscirà poi urbi et orbi venerdì. Sono già tutti qui: il regista Ron Howard, l'ex ragazzino di Happy days e il cast italo-americano del kolossal, dal prof. di Harvard Tom Hanks alla criptologa Audrey Tautou, dal commissario dell'Opus Dei Jean Reno allo straordinario Paul Bettany, l'ex killer gelido, ignudo e convertito che si flagella col cilicio e uccide i depositari del segreto.

SNOBBATI — Nessuno finora aveva visto il film di cui si attende un successo planetario, nessuna visione privata neanche in America, tutti i critici snobbati. Misure di sicurezza in tempi di pirateria: le 800 copie che invaderanno le sale italiane viaggiano protette dalle guardie del corpo della Sony. Il titolo dei record. Il libro di Dan Brown, ex professore d'inglese e pianista, ha venduto dal 2003 ben 50 milioni di copie nel mondo, e in Italia la Mondadori ne calcola 3 milioni e mezzo. Anche il Louvre, dove muore all'inizio il nonno della Tautou in posa da uomo leonardesco, pensa di aumentare grazie al film i visitatori, 7 milioni e 300mila nel 2005.

Il thriller dagli effetti speciali digitali leonardeschi è appassionante e molto divertente, ti fa sentire prima confuso e poi esperto di cose teologiche, ma urge non prenderlo troppo sul serio su queste faccende che appaiono tuttavia assai studiate.

L'andamento è hitchcockiano: il povero Tom Hanks che, come Cary Grant o Jimmy Stewart, si trova in faccende molto più grandi di lui, un intrigo internazional-spirituale con fuga in auto e in aereo e alcuni intermezzi brevi, quasi subliminali, di scene da peplum storico romano.

I DUBBI — E se Hitch in un film giocava sul doppio senso di «chappel», qui è «pope» a portare fuori strada i nostri eroi, sempre a Londra. Ma l'elemento straordinario è che il thriller che vanta un planetario gradimento tratta non di sesso ma dei quadri di Leonardo, di dispute teologiche, guerre di religione, del concilio di Nicea, dei Templari e inietta il dubbio sulla mortalità di Gesù che, comprovata, sarebbe un bel rischio per il potere religioso. E poi l'Opus Dei (che parla col rantolo soffuso, quindi per il cinema è cattiva) e il Sacro Graal che sarebbe la Maddalena all'Ultima Cena, che sposò Gesù e da qui i discendenti, etc, arrivando a Leonardo e Newton e a un aggeggio con 12 milioni di possibilità che decifra lettere e iscrizioni, mappe e tombe criptiche.

SACRO GOSSIP — Dal sacro gossip viene l'intelaiatura complessa e action del racconto da 125 milioni di dollari (uno tondo al Comune di Parigi per girare dentro al Louvre, e con una Monna Lisa falsa), ora sotto il tiro degli anatemi della Chiesa: era dai tempi della Dolce vita che non si prometteva l'inferno per un film. A meno che, consiglia l'Opus Dei, chiamata direttamente in causa (il capo è il nostro attore Francesco Carnelutti), non si fosse specificato nei titoli di testa che «ogni riferimento alla realtà è puramente casuale».

Infatti in sala è scoppiata una risata quando Hanks dice alla Tautou: «Ma allora tu sei l'ultima discendente di Cristo?». Non era l'unico a non crederci.

Maurizio Porro

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AL VIA OGGI IL 59° FESTIVAL CON IL SUO CARICO DI STAR, CURIOSITA', POLEMICHE E VINCITORI ANNUNCIATI

Donne vendicative & italiani speranzosi

17/5/2006 di Lietta Tornabuoni

CANNES. Dicono già che a vincere saranno Pedro Almodóvar o Nanni Moretti. I loro film sono belli. Almodóvar ha quasi maturato il diritto alla Palma d'oro. Moretti viene a Cannes per la nona volta dal 1978 di «Ecce Bombo, come regista, attore, giurato, maestro di cinema, e ha pure fatto scuola: subito dopo «Il caimano» («Perché metà degli italiani ha votato per Berlusconi?» domanda il giornalista francese. Risponde Moretti: «Scherzando a metà si dice che sanno bene chi è e che per questo lo hanno votato») esce a Parigi «Dans la peau de Jacques Chirac», sottotitolo «Quando la realtà va oltre la fantasia», sul presidente della Repubblica francese. Onde di calore: il festival porta a Cannes 130.000 persone; i pensionati hanno già lasciato la città, affittando a prezzi spaventevoli le loro casette ordinate ai nuovi barbari. La ricaduta economica del Festival va per i 180 milioni di euro, rappresentati soprattutto dalla vendita alle tv internazionali delle immagini dell'evento.

Durante i week end le folle terribili di turisti e di curiosi saziano ogni negoziante. Certi dettagli fuori concorso del programma ne tengono conto: thriller morali, donne vendicative, uomini nudi con le ali bianche da angelo sugli immensi cartelloni, il film su Tien An Men, il documentario epico su Zidane(intanto Kusturica sta finendo il documentario su Maradona che torna con musiche di Manu Chao sui luoghi dei suoi trionfi, da Napoli a Barcellona, dall'Argentina a Cuba). Per un film, per il suo regista e produttore, il festival di Cannes rappresenta un'occasione sempre più importante, determina spesso un destino critico ed economico; tutto vi è più intenso e violento, l'accoglienza, l'alchimia misteriosa dei premi. Dice Quentin Tarantino, Palma d'oro per «Pulp Fiction»: «Cannes mi ha fatto risparmiare dieci anni di vita. Da un giorno all'altro, sono stato considerato uno dei membri del club». Dice il presidente del Festival, Gilles Jacob: «Non può essere soltanto il mercato a scegliere per il pubblico i film che vale la pena di vedere».

Nel programma del 59° Festival ci sono anche debuttanti e sconosciuti, appartenenti a cinematografie deboli, con temi forti. Il mito della Torre di Babele, per dire, affrontato con Brad Pitt e Cate Blanchett dal messicano Alejandro Gonzales Inarritu, 42 anni. In «Fast Food Nation» di Richard Linkleter, la carne intossicata e altre porcherie perpetrate dai fast food ai danni dei clienti. In «Flight 93» di Paul Greengrass, il resoconto dell'eroico intervento dei passeggeri del volo United 93 dell'11 settembre 2001 in America. «L'amico di famiglia», l'usuraio, raccontato da Paolo Sorrentino (dicono tanti che il film è bellissimo). Nove ex deportati italiani a Auschwitz si raccontano in «Volevo solo vivere» di Mimmo Calopresti. L'ultima opera della trilogia proletaria sui perdenti di Aki Kaurismaki, «Le luci del Faubourg».

La faccia più carina del mondo è quella di Kirsten Dunst, Maria Antonietta sposa a 14 anni nel 1770 del futuro Luigi XVI, nella biografia diretta da Sofia Coppola. Richard Kelly di «Donnie Darko» presenta «un thriller musicale di fantascienza». Ken Loach, che è a Cannes per la 13a volta, affronta finalmente la guerra civile tra irlandesi e inglesi del 1922 in «S'alzi il vento». «Volvér» (Tornare) di Almodóvar, testimonia la forza, la fantasia, la bellezza delle popolane spagnole. Marco Bellocchio con «Il regista di matrimoni», Kim Rossi Stuart» con «Anche libero va bene», Mimmo Calopresti con «Volevo solo vivere» non sono in concorso come Nanni Moretti e «Il caimano», come «L'amico di famiglia» di Paolo Sorrentino: ma tutti insieme formano un gruppo italiano solido, bello, promettente.

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Sydney Poitier ha aperto il 59esimo Festival di Cannes mercoledì, 17 maggio 2006 9.02 spacer.gif

CANNES (Reuters) - La 59esima edizione del Festival di Cannes è stata aperta ufficialmente stasera dopo la tradizionale sfilata di star, proseguita con una breve cerimonia presieduta dall'attore Vincent Cassel.

"La 'maîtresse de cérémonie' sono io", ha detto l'attore, aprendo un evento in un ruolo tradizionalmente affidato alle donne.

Cassel ha salutato il "multiculturalismo" della Francia, nella quale vede "una terra di accoglienza culturale".

La giuria di quest'anno è presieduta dal cineasta cinese Wong Kar Wai, che si è presentato indossando i suoi consueti occhiali scuri.

"Sono qui stasera senza idee preconcette, senza cercare di difendere questo o quel paese o questa o quella causa", ha dichiarato il cineasta, che presentò a Cannes due anni fa in concorso il film "2046".

Dopo un intervallo dedicato all'opera italiana, è salito sul palco la stella del cinema americano Sydney Poitier, interprete di film indimenticabili degli anni 60 e 70 come "Indovina chi viene a cena?".

"E' con grande rispetto che dichiaro aperto il 59esimo festival di Cannes", ha detto Poitier.

Ad aprire stasera il festival, dopo aver incassato giudizi non entusiasti ieri all'anteprima per la stampa, è il film "Il Codice Da Vinci", tratto dal celebre bestseller di Dan Brown.

Tra i volti noti in passerella Juliette Binoche, Gena Rowlands, il cineasta Gus Van Sant, David Cronenberg e Tim Burton, la cui compagna Helena Bonham Carter è in giuria insieme, tra gli altri, a Monica Bellucci.

Al termine di 10 giorni di proiezioni ed eventi, ci sarà la consegna della Palma d'Oro.

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IERI SULLA CROISETTE L'ATTORE HA PORTATO LA VOCE DELLE BANLIEUES E IL RICHIAMO ALL'IMPEGNO SOCIALE, MENTRE CONTINUA A TENERE BANCO LA POLEMICA SU DAN BROWN

Cannes: la «madrina» Cassel

«Onore alla dolce Francia regno del melting pot»

18/5/2006 di Fulvia Caprara

CANNES. Nel nome della Francia aperta al mondo, dello spirito di accoglienza verso le più diverse culture, delle periferie in lotta, della capacità di accettare le differenze. Ieri sera Vincent Cassel, un lampo di emozione negli occhi azzurri, ha portato sul palcoscenico del Festival, nel regno dei lustrini e delle paillettes, davanti alla sfilata dei gioielli e degli abiti più sontuosi, la voce delle banlieues oltraggiate, il grido anti-razzista, il richiamo all'impegno sociale. Il Festival prende posizione, portando a termine la missione impossibile di mescolare glamour e politica, militanza multietnica e romantiche commozioni. Da una parte il monologo pacifista pronunciato da Cassel in africano, dall'altra l'omaggio al presidente della giuria Wong Kar Wai che assiste all'esecuzione da vivo di «Casta diva», uno dei brani guida del suo ultimo film «2046». E per finire, gran sorpresa tenuta segretissima fino all'ultimo, l'apparizione di Sidney Poitier, monumento del cinema internazionale, classe 1924, interprete di film celebri come «Indovina chi viene a cena» e «La calda notte dell'ispettore Tibbs». Tocca a lui, dopo il lungo applauso dell'intera platea balzata in piedi, dichiarare aperta la 59° edizione della kermesse.

Tutti i discorsi della serata, prima che le luci si spengano per far spazio alla proiezione del «Codice Da Vinci», parlano al resto del mondo, a quello che sta fuori e lontano dal Grand Théâtre Lumière: «La Francia - dice Cassel - è un Paese laico dove tutti coabitano, il posto dove possiamo permetterci il lusso di viaggiare senza varcare le frontiere». Stasera niente spazio per i convenevoli, solo un breve sorriso per presentare, insieme con tutti gli altri membri della giuria, la moglie Monica Bellucci, in nero totale, così come il marito è tutto in bianco. Accanto a lei brillano il rosso dell'abito dell'incantevole Zhang Ziyi e il sorriso soddisfatto di Samuel L. Jackson, mentre Helena Bonham Carter non sembra particolarmente a suo agio nell'abito da sera e la regista argentina Lucrecia Martel dà l'idea di chi non vede l'ora di chiudersi nel buio delle sale a vedere immagini su immagini. «Sono qui - dice Wong Kar Wai - per rappresentare non solo me stesso, ma tutti i cineasti asiatici. Lavoreremo senza idee preconcette, cercando i film che ci colpiscono, che ci toccano, che vogliamo difendere». In platea applaudono in tanti, Juliette Binoche, l'indiana Aishwarya Ray e anche il padre di Cassel, l'attore Jean-Pierre, commosso. Fuori dal Palais, annunciato trionfalmente dai presentatori di Canal Plus, Alain Delon vive la sua rentrée sulla Croisette, lontano dalla cerimonia ufficiale, ma pronto a regalare confessioni private e annunci riguardanti il suo ritorno sul set.

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IERI SULLA CROISETTE IL CONFLITTO ANGLO-IRLANDESE E IL FILM-SCANDALO CINESE. UN CARTONE ANIMATO DI DENUNCIA DEL PORNO APRE LA «QUINZAINE»

Loach: l'Irlanda come l'Iraq

«Non sono anti-inglese, denuncio le violenze»

19/5/2006 di Fulvia Caprara

CANNES. Ritorno alla realtà, al passato che lascia impronte nel presente, alla storia che si ripete, tra errori drammatici e cieca violenza, come se i morti, i sacrifici, il dolore, non riuscissero a insegnare mai nulla. Con Ken Loach, dopo i misteri del «Codice Da Vinci», il Festival rimette i piedi per terra. Ricostruire oggi l'epopea dei repubblicani irlandesi in lotta contro gli inglesi per raggiungere l'indipendenza, non è, secondo l'autore, una scelta anacronistica. Neanche adesso che l'Ira ha ufficialmente dichiarato la fine della lotta armata: «È sempre il momento giusto per raccontare la vicenda dell'Irlanda degli Anni '20. Non solo perché è tragica e terribile e fa parte della storia inglese, ma anche perché i danni dell'imperialismo continuano a ripetersi tuttora».

Voce esile, convinzioni granitiche esposte con timida grazia, Ken Loach, il maestro inglese del cinema d'impegno non può sottrarsi all'inevitabile domanda sul conflitto in Iraq: «Ho ripetuto più volte che quella è una guerra completamente illegale, portata avanti contro il volere dell'Onu, basata su menzogne. Nonostante tutto questo continuiamo ad assistere ogni giorno alla distruzione di case, di famiglie». Per il momento «The Wind that Shakes the Barley» non ha una distribuzione americana, così Loach, giocando sul significato della sigla Ira (Irish Republican Army), si concede una battuta: «Potremmo facilitare le cose facendo sapere a Bush che si tratta di una bella storia sui repubblicani».

In Gran Bretagna, fa notare il regista, la questione dell'indipendentismo irlandese e della durissima repressione inglese, è un po' dimenticata, quasi come se si volesse evitare di fare autocritica. «Proprio Gordon Brown - sottolinea lo sceneggiatore del film Paul Laverty - ha dichiarato nello scorso gennaio che l'Inghilterra è stufa di scusarsi per l'occupazione dell'Irlanda». Eppure questo, precisa Loach, non è un film anti-inglese: «Credo che la realtà vada osservata in modo orizzontale, superando i confini nazionali, tenendo presente che le persone sono accomunate soprattutto dalla loro posizione sociale e non dalla bandiera del Paese cui appartengono».

I guasti dell'imperialismo, fa notare Paul Laverty, «sono puntualmente gli stessi e riguardano, in modo simile, diverse epoche e diversi Paesi del mondo, dalla Spagna del 1500 fino all'America contemporanea. L'idea di civilizzazione che viene proposta è sempre molto bizzarra, basta guardare Guantanamo». Così in Irlanda, come altrove, è ancora importante far rivivere i fatti del passato. Anche per questo Loach ha voluto che il film fosse interpretato da attori irlandesi, in grado di recitare con l'accento del loro Paese, ma soprattutto di portare nei ruoli frammenti della propria esperienza personale. L'unico nome noto del cast è Cillian Murphy, super-cattivo nell'ultimo «Batman» e anche in «Red Eye»: «Ho saputo che Loach cercava attori con l'accento di Cork, prima di essere scelto ho dovuto fare sei audizioni, Loach è un autore molto esigente. Per me ha significato molto partecipare al film, ho ripensato ai miei parenti, al nostro passato, è stato importante rievocare quell'epoca».

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«Summer Palace» ieri ha aperto ufficialmente il concorso

Sesso a Tienanmen: film scandalo dalla Cina

In gara a Cannes nonostante i divieti di Pechino Giornata di trasgressioni, anche un cartoon porno

DA UNO DEI NOSTRI INVIATI

CANNES — Regista indipendente, 41 anni, Lou Ye fa parte della generazione Tienanmen. Nell'89 studiava cinema all'Università a Pechino, era innamorato pazzo di una ragazza e respirava a pieni polmoni quel prepotente vento di libertà che pareva voler spalancare di botto tante porte sprangate. Una sensazione inebriante, indimenticabile. Di breve durata.

Tre mesi di primavera, da aprile a giugno, gelati dalla strage di piazza Tien an men. Un capitolo tragico che la Cina finora ha rimosso. A riaprirlo per la prima volta è Lou Ye con il suo "Summer Palace", film bello e coraggioso, capace di infrangere in un colpo solo due pesanti tabù: raccontare quella rivolta dalla parte degli studenti e insieme mostrare scene di sesso, senza paura e senza veli.

Eros e rivoluzione, un binomio esplosivo. Due colpi bassi al ventre del potere che il potere non gli ha perdonato.

Tirando in ballo strane scuse, la non perfetta qualità della copia, del sonoro, la commissione di censura ha negato al film il visto necessario per farlo vedere in patria e tanto più all'estero. Ciò nonostante Summer Palace è qui, e in gara. A giudicarlo una giuria capitanata da un altro regista cinese, Won Kar-wai. Lou Ye sa di rischiare grosso: il film potrebbe sparire per sempre dagli schermi del suo Paese, lui stesso venir fermato nel suo lavoro. Ma come altri autori cinesi sa anche che questo è un prezzo da pagare. Gli è già successo, due dei quattro titoli che finora ha girato in Cina non sono mai usciti. «Voglio fare i film che sento, non voglio censurarmi io stesso. Se ci saranno problemi cercherò delle soluzioni. Farò tutti i tagli che vogliono. Anche se mutilato, voglio che il mio film esca in Cina», ha dichiarato ieri. Ma a dar fastidio ai censori saranno più le scene di sesso o quelle su Tienanmen? «Credo abbiano lo stesso peso. Ma questo non è un film politico, è un affresco degli ultimi trent'anni di Cina. L'89 è solo uno di questi».

Sarà, però a quell'anno Lou Ye dedica grande parte del film e anche un supplemento realistico di video originali. Il cuore della storia pulsa dentro il campus, così simile a ogni altra università di quegli anni, dove i ragazzi sentono il rock, ballano, fumano, fanno sesso. E parlano di politica, del Muro di Berlino che di lì a poco cadrà («noi abbiamo fatto cadere la Grande Muraglia») delle lettere spedite da Havel dal carcere. Fanno i tatzebao, vanno insieme a manifestare, in gran sventolio di bandiere rosse e sotto il naso di Mao che, ancora onnipresente sui muri, li guarda imperturbabile. Un caos di emozioni e di ideali che evoca altre atmosfere cinematografiche, il '68 di Godard, Truffaut, Bertolucci. Ma anche in Cina i sognatori perdono.

Manganelli, spari, lacrimogeni, carri armati spazzano via tutto. Fragole e sangue, come nel film di un'altra rivolta, negli States del '68. «Eravamo una generazione romantica - assicura il regista - Era la prima volta che la Cina si apriva al mondo, i giovani si sono impregnati d'un colpo di idee nuove. Noi ragazzi avevamo la sensazione di essere più liberi dei nostri padri».

Ribaltando le carte, nello stesso giorno in cui la Cina scopre la liberazione sessuale, la liberissima Danimarca fa marcia indietro su quello che, ovunque, ma specie da loro, è uno dei più fiorenti mercati, quello del porno. E lo fa con un sorprendente cartone animato, protagonista una bimba di cinque anni e il suo coniglietto giallo. Ma attenzione:

Princess (che ha aperto la Quinzaine) non è un cartoon piacevole e tanto meno per bambini. Anders Morgenthaler, 33 anni, disegnatore satirico e filmaker, sperimenta sotto l'egida della Zentropa Grrrr una singolare fusione tra animazione e attori veri. Con esiti di perturbante realismo.

Nata in un bordello, la piccola Mia si ritrova presto sola. La sua mamma, una pornostar, muore di overdose. A prendersene cura sarà lo zio, un prete, che per vendicare la sorella, si trasforma in giustiziere in guerra contro l'industria del porno. «Un mercato per fare soldi e sfruttare esseri umani», sostiene il regista. «Non sono un bacchettone. A sconvolgermi è l'indifferenza della gente davanti a persone trattate come paria, come oggetti da usare per riempire le loro fantasie sessuali senza rischiare niente. Come può un uomo eccitarsi sapendo tutto ciò?». Destini marginali, disperati, grotteschi, che presto troveranno qui altri echi: oggi nell'ungherese Taxidermie, con un fallo in erezione al centro della storia, domani nell'inglese Shortbus, avventure tragicomiche di una sessuologa che non ha mai provato un orgasmo.

Giuseppina Manin

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Il Festival si lascia alle spalle la delusione "Codice da Vinci" e

apre ai film in concorso. Con Loach e "Summer Palace" di Lou Ye

Cannes, tra sesso e politica

il primo film cinese su Tienanmen

Le esperienze di una studentessa di provincia nella Pechino del 1989

Ma la pellicola non ha ancora ottenuto il visto delle autorità

CANNES - Dopo la sbornia - con annessa delusione - del Codice da Vinci, il Festival oggi apre ai film in concorso. In cui si passa dagli scenari fantathriller del kolossal di Ron Howard alla storia, quella vera: dall'ultimo Ken Loach (The Wind that Shakes the Barney, dramma ambientato nell'Irlanda del 1920) a un'assoluta novità, nel panorama cinematografico. E cioè un film cinese che affronta la vicenda di piazza Tienanmen. Si chiama Summer Palace, è diretto dal quarantenne Lou Ye, è sbarcato sulla Croisette senza aver ancora ottenuto il visto di censura dalle rigide autorità di Pechino.

Il titolo della pellicola - ambientata nel fatidico anno 1989 - fa riferimento al Palazzo d'Estate: edificio che sta accanto al quartiere universitario della capitale cinese e che, per il regista, è una sorta di punto di fuga delle sue memorie degli anni in cui, ancora studente, ha assistito in prima persona agli storici e drammatici eventi di piazza Tienanmen.

Per farli rivivere, Lou Ye costruisce un ampio affresco generazionale - coi protagonisti sospesi tra sesso, ricerca della felicità, passione politica; un po' sulla scia di "The Dreamers" di Bernardo Bertolucci, per fare un paragone illustre. Ma, perfino al di là della cifra stilistica, Summer Palace è di per sé un piccolo grande evento, visto che è il primo film cinese a parlare dei giorni di Tienanmen, finora tabù storico e culturale imposto dalle istituzioni alla generazione di cineasti cinesi.

Quanto alla trama, il film è una sorta di ritratto intimo di una ragazza di provincia, Yu Hong, che lascia la sua città nel nord della Cina per andare a studiare all'università di Pechino. Alle sue spalle un amore intenso, di fronte a lei la grande città, il quartiere universitario, il dormitorio che condivide con le nuove compagne. Il suo umore inquieto si risolve in una ricerca assoluta dell'amore attraverso il corpo, e la passione che la lega a un altro studente, Zhou Wei, diviene l'oggetto di un'ossessione vissuta con dolore e paura di perdita.

Intanto, tutto intorno, la realtà si muove, negli studenti si riflette il fermento di un paese in cerca di nuova libertà, Tienanmen è a un passo. Prima una speranza, poi - con l'arrivo dei militari - una ferita rimasta aperta fino a oggi, nella generazione dei quarantenni: quella cui appartiene il regista.

Insomma, un'opera importante. Presente a Cannes non casualmente: il film infatti è anche la prima coproduzione tra Francia e Cina. Le autorità di Pechino, però, ancora non si sono pronunciate sul famoso visto di censura (oltre al versante politico, ci sono anche le scene di sesso); e forse per questo in conferenza stampa il regista è particolarmente cauto. "Faccio qualsiasi taglio purché esca in Cina - dichiara - nel caso, sono d'accordo nel sopprimere tutte le scene che vogliono. Il mio è solo un film d'amore". Sarà ma visto dalla Croisette, ciò che resta impresso è proprio lo sfondo politico.

(18 maggio 2006)

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Accolta con favore la pellicola con Penelope Cruz nel ruolo di protagonista

Almodovar: «Il mio omaggio alle donne»

Il regista spagnolo a Cannes presenta il suo sedicesimo film, Volver. «Mi sono ispirato alle star italiane degli anni 50 e 60»

CANNES (Francia) - «Le donne per me sono l'origine della vita e anche di tutta la fiction possibile, perchè ho vissuto la mia infanzia circondato da donne che raccontavano storie e cantavano e questo è l'universo che ho voluto omaggiare in Volver». Pedro Almodovr presenta così, a Cannes, il suo sedicesimo film, molto applaudito dalla stampa, col quale torna in competizione «accettandone e rispettandone le regole» ma sicuro di aver fatto un film «che ha rimesso a posto un pezzo della mia vita».

I PRONOSTICI - Non vuole sentire parlare di «Palma d'oro» perchè l'ultima volta che tutti lo davano per favorito, con Tutto su mia madre portò a casa solo un premio per la regia. «Nel '99 non mi arrabbiai subito: mi indispettì, due anni dopo, leggere che il presidente della giura, David Cronenberg, aveva detto di non voler premiare nè me nè Lynch per Una storia vera, quindi ammettendo un pregiudizio un pò fuori dalle regole. Ma va bene così, il tempo è stato galantuomo, il mio film ebbe molta più fortuna di quelli premiati, Rosetta e L'Humanitè».

OMAGGIO ALLA SPAGNA - Per Almodovar Volver è anche un omaggio alla Spagna «sordida, nera, sinistra e sottosviluppata, quella della Mancia, la mia regione, di cui ho mostrato il lato luminoso e solidale. Un personaggio importante è quello di Augustina, la vicina di casa, quella che si impiccia di tutto ma ti aiuta anche e fa un pò parte della famiglia. Ormai succede solo nei paesi, mentre a Madrid i vecchi muoiono e nessuno se ne accorge, li scoprono dopo tre giorni». In città la solidarietà resta solo nelle periferie multietniche, «dove si convive bene e il razzismo è assente».

L'ITALIA COME MODELLO - Il riferimento, conferma, è anche al «cinema italiano degli anni '50 e '60, anche quello delle commedie minori per me il migliore in assoluto e alle sue donne, vitali, carnali, materne». E il regista spagnolo inizia un interminabile elenco di attrici che stupisce anche la stampa italiana: dalla Loren alla Cardinale, ma anche Antonella Lualdi, Silvana Pampanini, Anna Maria Canale, Lorella De Luca, che definisce la sandra Dee italiana, Marisa Allasio e poi Monica Vitti, Stefania Sandrelli, Mariangela Melato e perfino Rossella Falk «strana, filiforme, un pò lesbica». La Loren e la Magnani di Bellissima sono stati i riferimenti per l'immagine di Penelope Cruz: «L'unica cosa finta che abbiamo dovuto metterle è stato il c**o abbondante; il resto, quelle bellissime tette, il più bel decolletè del cinema internazionale, è tutto suo».

I MORTI TORNANO IN VITA - I riferimenti figurativi sono quelli della cultura pop degli anni '60, «quelli delle pubblicità dei prodotti per le casalinghe, vere star del pop, come Doris day, irreale casalinga con i capelli cotonati che si muoveva in cucine pulitissime e ordinate con elettrodomestici mai usati». «Il senso di Volver, spiega Almodovar, è che «i morti tornano alla vita per aiutare a risolvere i problemi dei vivi. Irene vive davvero come un fantasma anche se sappiamo che non lo è: è una madre generosa ma soprattutto giusta e per me la giustizia è un valore importante ma a livello individuale non istituzionale». Gli chiedono se è mai stato tentato da Hollywood, e lui: «la tentazione c' è sempre. Ma l' unica volta che ci ho pensato seriamente è stato quando mi hanno offerto la regia di Brokeback Mountain, il film sui cow-boy gay».

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Almodovar oggi di scena con "Volver", grande omaggio all'universo

femminile con la Cruz e Carmen Maura. E gli uomini? Cattivi o assenti...

Il bello delle donne secondo Pedro

già conquista la platea di Cannes

Madri, sorelle, figlie, ritorni dall'aldilà: tre generazioni a confronto

E il pubblico della Croisette gli tributa un grande applauso

di CLAUDIA MORGOGLIONE

Donne, donne e ancora donne. Madri, soprattutto, ma anche figlie, sorelle, amiche. Spesso vittime, a volte carnefici, ma pronte a non rassegnarsi al proprio destino. Deboli, in apparenza, ma in realtà forti. Fortissime. Un universo femminile così, solo un autore sensibile come Pedro Almodovar può raccontarlo davvero dall'interno, con tenerezza e con grande amore: come accade in Volver, ultima fatica del regista spagnolo, oggi in concorso - tra gli applausi - al Festival di Cannes, e già nelle nostre sale con distribuzione Warner Bros. Un film importante anche per le prove d'attrici che contiene, col duetto tra due "storiche" muse del regista - Carmen Maura e Penelope Cruz.

Il tutto in una commedia con accenti drammatici, e col tocco ironico-noir tipicamente almodovariano. In cui il regista lascia le tematiche omosex a tinte forti della sua pellicola precedente, La Mala educacion. Per tornare ad approfondire il mistero e la grandezza del sentimento materno, già al centro di Tutto su mia madre: solo che lì era un rapporto mamma-figlio, in uno sfondo di lutto, di assenza; qui invece siamo in un ambiente esclusivamente femminile, e dunque il sentimento che viene indagato è quello madre-figlia. Senza sentimenti di perdita irreparabile, ma - anzi - con un ritorno: come indica il titolo, che in spagnolo significa "tornare".

E a riapparire dal nulla, nella vita di due sorelle, è la madre defunta (Carmen Maura). Prima di mostrarla sulla scena, però, il regista si concentra sulle sue figlie. A cominciare dalla protagonista del film, (Raimunda), una Penelope Cruz con look alla Sophia Loren d'epoca, e dalla bellezza incredibile (nessuno riesce a fotografarla bene come Almodovar). Originaria di un paesino della Mancha ventoso e suggestivo, la nostra eroina vive a Madrid, arrangiandosi come può con mille lavoretti, per mantenere una figlia quattordicenne e un marito disoccupato.

Solo che una sera, tornando a casa, Raimunda deve affrontare una tragedia: il consorte ha tentato di violentare la figlia, lei ha reagito e le cose sono finite male. Così, impegnata a proteggere a tutti i costi la ragazza, la donna non può partecipare al funerale di una zia da lei molto amata, nel suo villaggio d'origine: cosa che invece fa sua sorella Sole (Lola Duenas, già vista in Parla con lei), che di mestiere fa la parrucchiera abusiva (sempre a Madrid). E qui accade l'imprevisto: Sole, infatti, rivede la madre, morta in un incendio tre anni prima, ma che a quanto sembra è tornata dall'aldilà. Decisa a vivere con lei.

Da questo momento in poi, la storia si dipana con una serie di sviluppi e di imprevisti. Fino alla rivelazione di una serie di verità difficili: ma questo quartetto di donne incredibili - le due sorelle, la madre, la figlia di Raimunda - riuscirà ad affrontare la situazione. Con amore e solidarietà.

Ma, al di là dei personaggi femminili - a cui va aggiunto un altro ruolo molto importante all'interno della storia, quello dell'amica di famiglia Agustina - c'è un secondo elemento forte, in Volver. E cioè i luoghi. In primo luogo, il villaggio d'origine delle nostre eroine, un paesino della Mancha piccolo e popolato soprattutto da donne, più longeve dei loro uomini. Un posto perennemente spazzato da un vento caldo che favorisce il dilagare degli incendi, che dà alla popolazione un tasso di insanità mentale superiore alla media, in cui nessuno si stupisce a parlare di fantasmi. Ma c'è anche la Madrid delle periferie, multietnica e solidale, in cui vivono le due sorelle.

Luoghi, e personaggi, fortemente connotati. Per una "storia - come ha spiegato lo stesso Almodovar - di tre generazioni di donne che sopravvivono al vento, al fuoco e perfino alla morte, grazie alla bontà, al coraggio e a una vitalità infinita". Un film che è anche un atto d'amore del regista verso la componente femminile della sua famiglia: "Le mie sorelle sono state le principali consulenti, sia per tutto ciò che succedeva nella regione della Mancha, sia nelle case di Madrid".

Il risultato è un omaggio alle donne come raramente se ne vedono, sul grande schermo. E gli uomini? Nel film, quasi non appaiono. E quando accade, o quando vengono citati nei racconti delle protagoniste, è quasi esclusivamente in chiave negativa. Proprio per questo la pellicola rappresenta una bella sfida, per il pubblico maschile che andrà a vederla.

(19 maggio 2006)

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Cannes: bene film di Rossi Stuart

'Anche libero va bene' venduto in Francia e molto richiesto

(ANSA) - CANNES, 19 MAG - Venduto in Francia e richiesto in tutto il mondo: comincia bene il viaggio di 'Anche libero va bene', film d'esordio di Kim Rossi Stuart. La pellicola, che uscira' nelle sale francesi a novembre, passa domani alla Quinzaine des realisateurs al Festival di Cannes. Il film sara' poi a Open roads, un festival di New York, tra la fine di maggio e l'inizio di giugno e poi a san Pietroburgo a luglio. Rossi Stuart si e' detto soddisfatto dei risultati di critica e del 'coinvolgimento del pubblico'.

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Cannes: Friedkin presenta "Bug"

Ultimo film del regista dell'Esorcista, in scena la paranoia (ANSA) - ROMA, 19 MAG - Presentato 'Bug', ultimo film del regista William Friedkin che partecipa a Cannes, nella sezione 'Quinzaine des realisateurs'. Il film e' tratto dalla piece omonima di Tracy Letts e risente di questa origine teatrale che nasconde dramma e paranoia. Proprio la paranoia e' la protagonista del film, che vede come interpreti Ashley Judd, Herry Konnick jr e Michael Shannon. 'Tutti i personaggi - conferma Friedkin - sono infettati da una paranoia che alla fine sembra diventare reale'.

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A Cannes rivive Billy the Kid

Fuori concorso documentario della francese Anne Feinsilber

(ANSA) - CANNES, 19 MAG - Presentato a Cannes, fuori concorso, "Requiem for Billy the Kid", un documentario della regista francese Anne Feinsilber. Billy the Kid e' davvero morto nel 1881 a Lincoln? L'interrogativo e' alla base di un curioso esperimento della regista, appassionata di film western, che alterna immagini in cinemascope dei luoghi del New Mexico dove il Kid e' vissuto a interventi dell'attore che lo interpretava nel film omonimo di Sam Peckinpah.

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L'autore svela di non aver voluto dirigere «Brokeback Mountain»: preferisco stare in Spagna

Almodóvar: rifiutai i cowboy gay

Favorito a Cannes con «Volver»: pubblico commosso, 10 minuti di applausi

CANNES — Pedro Almodóvar è tornato sulla Croisette da grande favorito col suo bellissimo e struggente Volver (Tornare), il film dalla straordinaria quota rosa che ha commosso e conquistato ieri sera il Festival: oltre dieci di applausi. Non sappiamo come la pensi Wong Kar-wai, ma le quattro donne della giuria c'è da giurare che staranno dalla sua parte. Il regista di La mala educación, anch'esso proiettato sulla Croisette, ha perdonato Cannes che nel '99 diede la Palma a Rosetta e non a Tutto su mia madre: «Dicevano che ero favorito ma che Cronenberg era contrario a me e a Lynch. Mi arrabbiai dopo, quando vidi il film dei Dardenne: ma ora sono qui e rispetto le regole, mi abituo all'idea di non vincere nulla, faccio i film per passione, non per i premi». Col suo emozionante film, come un ex voto per la madre, sposa la causa dei sentimenti e della memoria e si psicanalizza da solo per rimuovere il profondo lutto materno. «È un sentito omaggio alle origini, alla mia La Mancha, dove ho avuto un'infanzia circondata da tre donne indaffarate e sentito raccontare al tramonto nei cortili spaventevoli storie di apparizioni, suicidi, fantasmi. Ho reso luminosa la cultura contadina della Spagna della superstizione, ancora presente nei barrios di Madrid. Ma nel mio paese le contadine sono solidali, battono la mattina alla finestra per assicurarsi che la vicina sia viva e al cimitero si va anche per il picnic». L'autore non concepisce il cinema fuori: «Spesso mi hanno proposto film all'estero, ma li rifiuto, anche se sono stato tentato dalla regìa di Brokeback Mountain ». E via di omaggi: Gardel col tango famoso del titolo, la cultura ebraica della morte mescolata inesorabilmente alla vita, i bellissimi titoli di coda tipo Saul Bass e l'adorato cinema italiano: «Mi sono formato sulle irreali casalinghe di Doris Day, ma ho messo un culone finto a Penélope Cruz, che è molto vera nelle emozioni, per farla simile alla Loren Ciociara e alla giovane Cardinale "con la valigia". E ho inserito Bellissima perché la Magnani è l'emblema fiero e orgoglioso della Madre. Ma confesso che le vostre attrici le amavo tutte: Podestà, Allasio, Pampanini, Ralli, Lualdi, Bosè, De Luca, la Sandra Dee italiana; e le sofisticate Rossi Drago, Falk e Cortese, e la Koscina, la Martinelli, la Sandrelli, la Vitti, la Melato, nata per lavorare con me. E mi piacciono tanto anche le due sorelle... le Orfei, oltre a stupendi attori». Volver, da ieri in 300 sale italiane, è il funerale del macho? Per gli uomini ci sarà una prossima volta, qui ci fanno una pessima figura, violenti, incestuosi e adulteri. Quella che conta è l'armonia degli affetti, la complicità delle donne: femminili e non femministe. «Tanto che una torna da fantasma per risolvere i conti in sospeso di famiglia. Penso al Romanzo di Mildred, il melò hollywoodiano lo amo da sempre. E credo nella giustizia personale non in quella istituzionale: inferno, paradiso e purgatorio sono qui sulla Terra». Una metamorfosi, l'età? Da qualche tempo don Pedro ha smesso i vestiti della movida, lo stile kitsch-gay-camp: «Sono formato sulla cultura pop di Warhol, per anni ho fatto parte di gente un po' spostata, drogati e travestiti, poi ho preso un'altra strada». E le sue chicas? Lo adorano. La bravissima Penélope Cruz non ha fiatato e si è volentieri messa la protesi dietro: «Per darmi energia, farmi camminare in un certo modo. Lo conoscevo Pedro ma oggi è cambiato, al centro di tanta gente, tutti lo cercano. Lavorare con lui rimane splendido, mi ha dato tre mesi di prove prima del set ed ho rivisto molti dei vostri film di Visconti e Pasolini. Due La morte? Certo che non finisce tutto lì, se no che senso avrebbe la vita?». Approva Carmen Maura, che torna ad essere musa del regista dopo un muso lungo durato 17 anni: «L'amicizia stretta stretta non può riprendere così per incanto, ora lui è più ansioso e ride meno, ma la felicità di lavorarci è identica e totale». Come si fa a diventare un fantasma? «Fa tutto lui, si impossessa di te. Io ho buon rapporto col passato, mi piacerebbe tornare dopo, riapparire». La Cruz, che s'indispettisce solo se le chiedete di Tom Cruise, vorrebbe tornare a lavorare con Castellitto dopo Non ti muovere ma intanto gira con Adrien Brody la storia del torero Manolete, morto 33enne, nel ruolo della donna che tentò di farlo smettere. «Per il resto mica faccio una vita da diva. Mi sembra di essere mia nonna. Mi annoio felice, amo il mio lavoro e poi torno a casa con le tortillas di patate. A Los Angeles sarò uscita due volte la sera. E sempre malvolentieri».

Maurizio Porro

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Malacarne una verità da digerire

20/5/2006 di Lietta Tornabuoni

CANNES. Disgusto, stomaci in subbuglio, nausee, sussulti di schifo, fughe nel buio dalla sala: alle sue prime proiezioni «Fast Food Nation» di Richard Linklater, vibrante denuncia anti-hamburger tratta dal bestseller 2001 del giornalista Eric Schlosser, ha suscitato reazioni molto vive e forse autopromesse di cambiare vita, di diventare vegetariani per sempre.

Il film, come il libro, analizza la malacarne americana con cui vengono confezionati gli hamburger distribuiti poi nel Paese e all'estero: cibo esemplarmente americano, grossa polpetta adorata soprattutto da bambini e ragazzini. «Fast Food Nation» segue due linee. Una è il percorso degli immigrati clandestini dal Messico: gente che viene guidata oltre il confine con gli Stati Uniti, trasportata ammucchiata in un furgone sino alla fabbrica, sottopagata (ma sempre più che nel loro poverissimo Paese), sfruttata, ricattata con la loro clandestinità, indispensabile perché pochi americani accetterebbero un simile lavoro. L'altra linea è l'allevamento, la macellazione, lavorazione, confezione, diffusione degli animali divenuti hamburger. Non si tratta di un documentario, che forse sarebbe stato difficile realizzare, ma di una specie di reality fiction: i fatti si svolgono in una cittadina inesistente costruita apposta e chiamata Cody; il tema viene recitato da attori, partecipano Bruce Willis, Greg Kinnear, Ethan Hawke, Kris Kristofferson, Patricia Arquette; sono nella California del Sud i confortevoli uffici della grande azienda proprietaria della catena di fast food e dell'industria per la confezione, la conservazione, la diffusione degli hamburger.

«C'è della m***a nella carne, mi dicono», comincia il preoccupato presidente della società. Un funzionario viene incaricato di indagare e durante la sua inchiesta si apprende di tutto: gli allevamenti di bovini che neppure possono muoversi nei recinti sovrappopolati, i mattatoi antigienici, i luoghi di lavorazione sporchi e inquinati, gli incidenti sul lavoro per l'eccesso di velocità della catena. Nella carne macinata si trovano anche mosche e altri insetti. La denuncia è forte ma anche un poco sleale: si capisce che veder uccidere, squartare, disossare, dissanguare, fare a pezzi gli animali è comunque uno spettacolo ripugnante. Il film risulterà utile se qualcuno smetterà di mangiare gli infidi hamburger e soprattutto di lasciarli mangiare ai figli. Altrimenti chissà: l'incaricato aziendale delle indagini vede tutto, e al presidente non riferisce una parola. Dice lo slogan del film: «La verità è dura da mandare giù».

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Short bus

I tic sessuali della Grande Mela: da 'Sex and the city' a 'Shortbus'

Sex and the city' formato gigante: lo scandalo più atteso del festival numero 59 si intitola Short bus - film fuori concorso del regista americano John Cameron Mitchell, già regista di Hedwig - ed è una versione cinematografica della popolare serie tv.

Soltanto alle proiezioni per la stampa, code chilometriche, ressa e spintoni. E questa sera, la proiezione per il pubblico è in un orario da film hard: mezzanotte e mezza.

Se non proprio porno, il film è un collage di scene omo, etero, sadomaso: diretto e senza allusioni. La città dove tutto questo accade è, naturalmente, New York.

Shortbus, che dà il titolo al film, è un club , gestito dal transessuale James Bond, che si occupa di soddisfare i bisogni dei suoi ospiti, siano questi sessuali, psicologici, intellettuali o di qualsiasi altro genere. Perché a 'Shortbus' si parla anche di politica. Il nome - autobus corto - si ispira ai pulmini destinati ai disabili, e ai soggetti disturbati mentalmente.

James Bond ha una delle battute più amare quando, rivolgendosi al gruppo di persone che sono raccolte nel suo club, dice: "L'11 settembre è l'unico avvenimento reale avvenuto a questa gente".

A Shortbus si incontrano una sessuologa, specializzata in terapia di coppia, che dà consigli agli altri ma nella vita non ha mai raggiunto l'orgasmo, una coppia di gay in crisi e una prostituta che ha un grosso problema di omonimia imbarazzante: si fa chiamare Severine ma il suo vero nome è Jennifer Aniston.

"A partire dalla fine degli anni Novanta, molti cineasti hanno ricominciato ad esplorare la sessualità come si faceva negli anni Sessanta e Settantaspiega il registama sono film cupi e privi di umorismo. La mia idea era fare una commedia divertente ambientata a New York che affrontasse in modo diretto e provocatorio il tema del sesso".

Il sesso è protagonista, sia della fotografia che dei dialoghi: ci sono situazioni surreali, come quella di un uomo che fa yoga cercando di procurarsi una fellatio, e un gruppo di femministe che insegnano alla sessuologa gli esercizi da fare mentre si fa pipì per tenere in allenamento il muscolo che aiuta l'orgasmo. E ci sono momenti malinconici e poetici come l'incontro tra un giovane modello e un vecchio ex sindaco di New York, messo fuori gioco da un'interferenza tra il suo bypass e il bluetooth di un cellulare

Il regista, gay dichiarato e militante, è cresciuto in un ambiente strettamente cattolico e militare ed è egli stesso un organizzatore di party erotici: "Prima che mettessimo in cantiere il film, organizzavo mensilmente delle feste che chiamavamo Shortbus. L'atmosfera era quella in stile 'Saranno famosi' e la serata si trascorreva con musica scelta dai dj più eclettici, balli lenti e un gioco della bottiglia che ha coinvolto un centinaio di persone". E che si vede, in versione ridotta, anche nel film.

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