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Diablo

[LIBRI]Così Pasolini Censurò I Suoi Ragazzi Di Vita

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22 gennaio 2006

RETROSCENA

Mentre viene riproposta l’edizione «purgata»

Così Pasolini censurò i suoi Ragazzi di vita

Ecco i passi scabrosi del romanzo che Garzanti chiese di cancellare

Riemergono le pagine più scabrose della versione originale di Ragazzi di vita, il romanzo d’esordio che Pier Paolo Pasolini purgò di sua mano mediante un’«autocensura imposta» dall’editore Livio Garzanti. La ricostruzione è di Silvia De Laude, collaboratrice dei Meridiani, e avviene in occasione della ristampa del libro. I documenti erano conservati nel fondo pasoliniano del Gabinetto Vieusseux di Firenze. La ristampa di Ragazzi di vita presso Garzanti, le celebrazioni pasoliniane appena concluse, un saggio in preparazione di Silvia De Laude sono l'occasione per una ricostruzione puntuale delle sofferte vicende editoriali, in parte inedite e per lo più ignote al pubblico, del primo romanzo dello scrittore friulano. «D’altra parte sono vissuto in una specie di incubo (e ancora non ne sono del tutto fuori)». Qual è l'incubo di cui Pier Paolo Pasolini parla il 9 maggio 1955 a Vittorio Sereni? «Garzanti all'ultimo momento— scrive Pasolini—è stato preso da scrupoli moralistici e si è smontato. Così mi trovo con delle bozze morte fra le mani, da correggere e da castrare.Unavera disperazione, credo di non essermi trovato mai in un più brutto frangente letterario...».Non è certo una novità. Si sapeva che l'edizione di Ragazzi di vita che noi conosciamo è il frutto di un'«autocensura imposta». Ne abbiamo varie testimonianze nel carteggio dello scrittore. Si sapeva che il romanzo nacque da «un magma narrativo eterogeneo» i cui primi nuclei sono del '50 e che un capitolo del romanzo, presentato come racconto autonomo, venne anticipato su Paragone nel '51. Si sapeva anche che nell'ottobre 1953 sulla stessa rivista diretta da Roberto Longhi e da Anna Banti apparve una seconda parte del libro in lavorazione. Non si sapeva invece che quella pubblicazione fu il risultato di una prima «autocensura imposta» che precedette di un paio d’anni quella garzantiana. Lo si viene a sapere oggi grazie a Silvia De Laude, studiosa che ha collaborato con Walter Siti ai Meridiani mondadoriani. De Laude ha trovato, nel fondo pasoliniano del Gabinetto Vieusseux di Firenze, una lettera datata 5 maggio 1953 in cui la Banti allude alla richiesta di tagli emutilazioni. Per il primo brano inviato si parla di una redazione «purgata» allo scopo di poterlo proporre «a un pubblico d'abbonati "scolastico" (...)». Il testo, sottoposto anche a Bassani per un consiglio, viene però bocciato: «Purtroppo, anche l'opinione di Bassani è stata per il no». Migliore sorte toccherà al secondo, ma a qualche condizione: «Mi sembra che, procedendo a una decina di mutilazioni (che Lei effettuerebbe, naturalmente) la stampa sarebbe realizzabile. Che ne dice?». Sulla base di quelle prime uscite, Attilio Bertolucci consigliò a Livio la pubblicazione del volume. E l'editore accettò di buon grado. Il fatto è che quando si ritrovò tra le mani le bozze di Ragazzi di vita, Garzanti si rese conto che il romanzo, così com'era, avrebbe finito per sconvolgere il buonsenso comune. In realtà, già alla fine del '54, l'editore aveva espresso qualche dubbio di carattere stilistico, se Pasolini il 28 novembre precisava: «I suoi consigli mi paiono molto giusti e sensati, specie per quel che riguarda la lingua: (...), ma ne terrò conto nel correggere il libro quando sarà completo». Il dattiloscritto, disperso, verrà inviato a Garzanti il 13 aprile 1955. Quel che rimane è una copia carbone (conservata alla Biblioteca Nazionale di Roma e individuata dalla De Laude) con le stesse correzioni autografe inserite nel testo inviato all'editore: dunque una sorta di «copia originale». Lo stesso Pasolini, nella lettera d'accompagnamento, si sofferma su qualche preoccupazione lessicale: «Quanto alle parolacce, come vede, ho fatto molto uso di puntini: potrei farne (naturalmente a malincuore) ancora di più, se Lei lo credesse opportuno». E' qui che comincia l'incubo. E Silvia De Laude lo racconterà in un saggio previsto per il Saggiatore. La lettera in cui Garzanti chiede allo scrittore di intervenire non è reperibile. Quel che si intuisce però è che si tratta di una revisione radicale che Pasolini è costretto a compiere nel giro di un mese. Tant'è vero che l'11 maggio 1955 scriverà aGarzanti di aver sostituito con puntini tutte le brutte parole «con rigorosa omologazione». E inoltre: «Ho attenuato gli episodi più spinti (Nadia a Ostia, ecc.: ma non quello del "fr**io", per consiglio di tutti gli amici, oltre che per intima convinzione), ho sfrondato notevolmente (...), ho tolto "Il Dio C..." (...). E' un errore credere che il romanzo vada molto ridotto (oltre le ragionevoli riduzioni che vi ho apportato), perché importa inmododeterminante proprio la sua complessione massiccia e ossessiva ». Insomma, Pasolini non vorrebbe che ne venisse fuori un prodotto «neorealistico», «alleggerito» o, peggio, «denicotinizzato», secondo le parole di Gadda. Qualche giorno dopo, agli amici di Officina confesserà di essere «precipitato in una serie di giorni atroci, con Garzanti». Aggiungendo che «a un certo punto pareva che il romanzo non si dovesse pubblicare più (per lo scandalo dei librai): ho dovuto fare correzioni, tagli: sono dimagrito cinque chili. E' stato uno dei periodi più brutti della mia vita». E a Silvana Ottieri parlerà di un editore che «si è dimostrato vergognosamente ingeneroso». Paolo Di Stefano

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