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[ARTE]Meraviglie D'arte

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GRANDI MAESTRI

Meraviglie d'arte

A Rovigo un centinaio di dipinti raccontano l'avventura artistica di queste terre con opere che vanno da Bellini a Dosso Dossi a Tiepolo, dal Quattrocento al Settecento

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Rovigo - La provincia italiana cresce in arte e beni culturali, non solo in mostre. Dietro le mostre ci sono nuovi studi, restauri, nuovi musei, pinacoteche che significano anche recupero di edifici monumentali abbandonati o maltrattati da tempo immemorabile. E la scoperta di opere e capolavori trascurati, di collezioni ingiustamente non conosciute. Per primi si sono mossi dieci musei delle "terre di Siena". Poi un collezionista privato con la grande pittura veneta "Da Bellini a Tiepolo" in mostra al veneziano Correr (fino al 26 febbraio) con il programma di allestire una pinacoteca nel seicentesco Palazzo Sorlini a Carzago, in provincia di Brescia. Poi a Forlì, Marco Palmezzano (fino al 30 aprile) che è la presentazione dei nuovi Musei di San Domenico (pinacoteca, archeologico, ceramiche).

Ora a Rovigo (fino al 4 giugno) "Le meraviglie della pittura tra Venezia e Ferrara" riportano all'onore del mondo, nella piazza centrale della città, Palazzo Roverella di fine Quattrocento per il quale viene chiamato in causa il grandissimo architetto-urbanista ferrarese Biagio Rossetti (invocato anche per un altro Palazzo Roverella, armonioso capolavoro rinascimentale a Ferrara). Purtroppo il Palazzo Roverella di Rovigo ha lasciato lungo i secoli quasi tutti i pezzi di nobiltà, ma la facciata in mattoni rossi con il portico e le dieci alte, bianche colonne di marmo, forma un gran bel colpo d'occhio. Qui sono stati recuperati 2.500 metri quadri su tre piani che dopo la mostra accoglieranno la pinacoteca dell'Accademia dei Concordi, fra le più importanti del Veneto. Espressione dell'accademia vivacissima, che fondata nel 1580 ha mantenuto e aumentato i quarti di nobiltà, a cominciare dalla sede, il palazzo progettato a fine Seicento dal celebre architetto rodigino Sante Baseggio (finito nel 1814), dalla biblioteca con oltre 250 mila volumi. Nel 1739 i Concordi hanno avuto il riconoscimento della Serenissima e dal 1757 un assegno annuo perpetuo.

In realtà la pinacoteca è già in mostra perché forma più che il nocciolo centrale dell'esposizione con 44 dipinti sul totale di 122. Altri 12 provengono dalla Pinacoteca del seminario vescovile ospitata nello stesso palazzo dei Concordi. L'accademia e il seminario si sono divisi, per volontà dell'ultimo erede, la preziosa quadreria dei conti Silvestri di Rovigo che la mostra riunifica temporaneamente. Altri 17 dipinti provengono da chiese a canoniche del Polesine che rivelano la lunga appartenenza al ducato di Ferrara. La rimanente cinquantina di dipinti è di collezioni private il che ha facilitato la presenza in mostra di venti inediti. Le opere in catalogo si sono ridotte di 23 rispetto alla lista delle opere in mostra della cartella stampa.

Come sempre in Italia, una mostra non è in grado di saturare un territorio e allora quelle "meraviglie" continuano in due chiese di Rovigo: il neoclassico San Francesco, ricchissimo di capolavori di scuola ferrarese, e la Beata Vergine del Soccorso, meglio conosciuta come "La Rotonda", interamente ricoperta di teleri veneziani di metri e metri di superficie. E ancora da qui parte un itinerario nel Polesine. La mostra (voluta dal Comune e dalla Fondazione cassa di risparmio) è a cura di Alessia Vedova. "Deus ex machina" è Vittorio Sgarbi, oltretutto ferrarese, e "magna pars" per le decine di segnalazioni, scoperte, individuazione, attribuzioni, prestiti di autori che ha cominciato a studiare negli anni Ottanta. Catalogo Silvana Editoriale.

Sottotitolo impegnativo, ma mantenuto, della mostra è "Da Bellini a Dosso a Tiepolo", dal Quattrocento al Settecento, ma al di là dei nomi che il pubblico ha nella testa, merito di questa mostra è far scoprire dipinti di grande qualità di artisti sconosciuti ai quali, come a certi caravaggeschi, fa difetto solo la fama, il nome. Per esempio l'errante Hispanus, Carlo Bonomi (la grande Sibilla dalla potenza plastica carraccesca), il Cremonese, Benedetto Zalone (San Rocco e la straordinaria manica cremisi dell'angelo), Matteo Loves allievo tedesco del Guercino (la Maddalena in contemplazione del Cristo crocifisso), Pietro Damini morto a 39 anni per la peste del 1631 (basterebbe il senso tattile della veste bianca e della tunica dorata dell'angelo nella "Fuga in Egitto"), Pietro Vecchia pittore fuori degli schemi, Sebastiano Mazzoni (il dinamismo e i violenti contrasti chiaroscurali, da barocco veneto, di "Loth e le figlie", e il "lirismo fantastico" della "Morte di Cleopatra"), il seicentesco Giulio Carpioni al quale si deve la rinascita classicista della pittura veneta, Simone Brentana, eccetera.

este_31174858_17080.jpg Dunque il punto di partenza è il grande Giovanni Bellini. Due tavolette del Bellini (dall'Accademia dei Concordi) con gli allievi Nicolò Rondinelli ("quello che più di tutti lo imitò e gli fece maggior onore" secondo il Vasari), Marco Bello, gli allievi bergamaschi come Girolamo da Santacroce, Andrea Previtali, i "belliniani" di ispirazione come Domenico Mancini.

Il primo Bellini è una delle numerose "Madonne col Bambino" elaborate insieme alla bottega nel periodo 1470-80. Il manto rosso pompeiano che avvolge completamente il busto della Vergine è molto meglio riuscito del manto rosso nella simile "Madonna col Bambino" ora nella collezione Sorlini esposta al Correr e proveniente dalla famosa collezione Contini Bonacossi. Nella tavoletta di Rovigo il Bambino, dal caschetto di riccioli biondi curati come in una miniatura (che si fanno derivare dal Mantegna), è stranamente vestito, si direbbe oggi, con una tutina. Un piede è appoggiato alla balaustra di marmo in primissimo piano che viene interpretata come anticipazione del sepolcro e quindi del sacrificio. Sulla balaustra un cartellino con la firma.

Ben più drammatica (e incisiva) la tavoletta (48,5 per 27 centimetri) con il "Cristo portacroce" a mezza figura che appartiene alla maturità del Bellini. Sotto l'influenza del Giorgione, "accentua la fusione cromatica e tonale", e in tal modo rende "il volto e lo sguardo del Cristo", gli occhi arrossati, " più drammatico e penetrante" facendolo uscire dalla penombra, sulla bianca veste che Bellini rende come inamidata.

este_31174857_17300.jpg La pala di Mancini, "Madonna in trono con Bambino e angelo musicante" dalla chiesa di Santa Sofia di Lendinara, considerata l'unica opera autografa dell'artista, ci introduce invece a Dosso Dossi. In base a radiografie è stata avanzata l'ipotesi che Dossi sarebbe intervenuto in un secondo tempo modificando la torsione della testa dell'angelo col liuto e anche il cartellino con la firma su di un gradino. Lavoro a quattro mani (Dosso e il fratello Francesco) anche nella grande pala (2,93 per 2,14 metri) "Madonna col Bambino e santi" . A Dosso spetterebbe l'ideazione della scena, la "resa altissima degli angeli reggitenda", il San Giovanni Battista.

Fra gli altri grandi nomi in mostra, Palma il Vecchio, il Garofalo. Due i dipinti di Palma, tutti e due dai Concordi. "Madonna con Bambino tra i santi Gerolamo ed Elena" in cui manifesta "la ricchezza cromatica della sua tavolozza e il suo amore per una bellezza florida e pacata" (la Vergine col velo giallo attorno al bel volto sereno, e l'ampia manica cremisi; la camicia rosso rame di sant'Elena). Più complicata la grande (2,17 per 2,54) "Flagellazione", una scena tenuta sui toni scuri, rotta al centro dal Cristo nudo e luminoso, alla colonna, con a fianco un aguzzino in brache corte chiare. Le ipotesi fra gli studiosi sono controverse. Sarebbe un'opera tarda di cui Palma avrebbe dipinto solo la figura del Cristo e il resto gli allievi. Per altri il Cristo, le vesti vivaci, appartengono all'attività matura.

Del ferrarese Garofalo c'è una curiosa piccola tavola (59 per 47 centimetri),"Sacra Famiglia con san Giovannino e santi" con al centro una architettura aperta su di una città. Curiosa perché la tavoletta, della Cassa di risparmio di Ferrara, è la replica autografa di una tavoletta alla National Gallery di Londra. E poi perché il Cristo e san Giovannino sono in piedi, tutti e due su di una culla, e sembrano disputarsi uno spaurito uccellino trattenuto dal ricciuto Giovanni (uccellino che non è un pettirosso come indicato nella scheda e neppure un cardellino). Molto bello l'effetto "dei gialli e dei turchini, che effondano una luce dorata all'intera composizione" in cui si riflette una maniera che mescola "classicismo raffaellesco con la poetica" del Giorgione.

Un "manierista ante litteram, un pittore dalle capacità mimetiche straordinarie" viene definito Johannes Hispanus, pittore girovago, stretto allievo del Perugino negli affreschi della Sistina, finora con un catalogo di 12 opere. In questa piccola "Madonna col Bambino e santa Caterina" del 1515-20, le figure hanno affinità lombarde; la tavolozza, le lumeggiature d'oro degli abiti, il paesaggio, luminoso e ristrettissimo, influssi ferraresi.

Se grandi maestri del Settecento ricorderanno nei ritratti la lezione di Tiziano, c'è qualcuno che nella prima metà del Seicento si vantava di poter imitare lo stile di Tiziano, il prediletto dei grandi maestri del passato con cui si sentiva in gara. Ma non "con pedissequa reiterazione di forme e modelli". Questo qualcuno è il Cremonese (Giuseppe Caletti) , legato a Ferrara, "spirito bizzarro ed eccentrico" che l'erudito Girolamo Baruffali ricordava "povero, ubriaco e solo", ma anche che "non poche delle sue migliori tavole esistenti nelle gallerie signorili sono state reputate di Tiziano". L'"atmosfera fantastica e ombrosa" della sua migliore produzione, che "si accende in improvvisi bagliori" si ritrova in una delle opere in mostra, una inedita "Madonna col Bambino e san Girolamo" attribuita al Cremonese da Vittorio Sgarbi. Non sarà irriverente osservare che nella straordinaria scena "fra nuvole pesanti e la materia pittorica" scura, il santo dalle sopracciglia e barba bianche, luminose, è tutto concentrato sulla grossa Bibbia, impugnata, maltrattata, e non sulla Madonna e il Bambino che pure si rivolgono a lui. In linea con lo spirito del Cremonese.

Per le indispensabili vedute e paesaggi il punto di partenza è il salisburgese Johann Anton Eismann che si formò a Roma con i "bamboccianti" olandesi e col romantico Salvator Rosa, e si fermò a Venezia dal 1644 fino alla morte, con grande successo delle sue "vedute ideali", i "capricci", come la "Marina con rovine classiche" in mostra. Il friulano Luca Carlevarijs che ha anticipato il vedutismo veneziano più conosciuto (Canaletto, Bellotto, Guardi) è presente con una grande (121 per 189 centimetri) "Marina con ponte Rotto e arco di Costantino" arricchita da mura medievali, obelisco, torri e cupole. Una precisa resa prospettica animata "da un realismo antiretorico di vena narrativa", scenette di vita, lavoro, chiacchiere quotidiane.

Da questo realismo educato al naturalismo spinto delle scene di genere del fiorentino-padovano Matteo Ghidoni detto dei Pitocchi (1626 circa-1689). "Cena all'osteria" e "Concerto campestre" (quest'ultimo inedito), piccole dimensioni in cui si esprimeva al meglio. Toni grotteschi vicini "alla lezione dei tenebrosi veneziani", "registro cromatico povero, tonalità scure" con tocchi o zone luminose.

Dai pitocchi all'arcadia con Giuseppe Zola e Giuseppe Zais. Zola, bresciano, ma con Ferrara città di adozione dove morirà nel 1743: oberato da troppo successo, adottò una "pittura veloce, abbozzata, con vaste macchie d'insieme" che viene da definire quasi "impressionistiche". Nei due delicati dipinti in mostra, da una chiesa di Crespino, dà l'impressione di depositare i personaggi evangelici in modo da non rovinare le scene ariose, profonde con case lontane e paesi lontanissimi, rese qui con cura e particolari. I paesaggi di Giuseppe Zais (morto a Treviso nel 1784) hanno scorci rustici, casolari, rocche e campanili fra lontane brume azzurrine, e scene di vita contadina rese con un certo realismo.

Il pittore maggiormente presente in mostra (sei dipinti) è Simone Brentana le cui opere sono a Milano, in Toscana, a Roma, in Spagna, Danimarca, Polonia. Nella scheda in catalogo, Cinzia Tedeschi ricorda che "partito da una maniera tenebrosa" giunse a "una pennellata soffice e a un colorito chiaro" come in queste cinque grandi allegorie (ciascuna 178 per 168 centimetri) della collezione Gallo di Padova, in cui "dominano il rosso cinabro e il blu profondo".

Se il Tiepolo era costoso e richiestissimo c'era una alternativa, il polesano Mattia Bortoloni (soprattutto per gli affreschi), che spaziò dal Veneto alla Lombardia al Piemonte (sue le figure della cupola ellittica più grande del mondo nel santuario di Vicoforte in provincia di Cuneo), e autore della pala del duomo di Ferrara. In mostra ci sono un modelletto monocromo ("Sacra Famiglia") e una tela con "I santi Antonio, Bellino e Tommaso da Villanova". Il modelletto (di un dipinto non identificato) datato al 1734-35, esprime "un'eleganza non comune" nell'atmosfera della povera casa. E particolari insoliti come il San Giuseppe su di una seggiola in bilico che porge al Bambino una pera con tanto di picciolo e foglie mentre in alto un angelo, seduto in pizzo a una nuvola, ha una espressione fra sorpresa e scandalizzata.

La seconda tela "dal sapore vivace e movimentato", è "ricca di spunti popolareschi" resi da una pittura elegante. La madre con il fantolino in braccio che riceve l'elemosina da San Tommaso, la tipica sporta polesana di paglia buttata per terra con il bastone per governare le pecore. C'è anche da dire che il santo, dalla faccia tirata, è quasi stravaccato sul seggio, il volto appoggiato al pugno guantato, come guantata è la mano che allunga la moneta alla donna. Nella parte in alto, il vescovo San Bellino, con un librone spalancato in mano, "in atteggiamento appassionatamente implorante" verso il cielo. Accanto, nell'atteggiamento di chi attende il proprio turno per dire la sua, gli occhi leggermente chiusi per la stanchezza o la noia, un librone sotto braccio, c'è Sant'Antonio da Padova (giglio in mano). La scena potrebbe essere anche spiegata come una disputa teologica fra i due santi con San Bellino che ha esposto le sue tesi e chiede una conferma dall'alto, come volesse dire: "Signore, non ho forse ragione io?"

Uno dei filoni meglio riusciti della mostra è quello dei ritratti e delle "teste di carattere" (o di fantasia) che non sono veri ritratti, ma esprimono un particolare tipo umano : vecchio, mendicante, giovanetto come il "Giovinetto vestito all'orientale" del bergamasco Frà Galgario (Vittorio Ghislandi). Come la "Vecchia o Lachesi" (la Parca che distribuisce il destino), di Pietro Bellotti "celebre per una pittura dal realismo crudo e cupo", "anticipatore della 'pittura della realtà' lombarda".

Come la "Testa con berretto rosso" dallo "stile carico di sfumature grottesche" di Pietro Vecchia (Pietro Muttoni), pittore anticonformista, studioso di magia, anatomia e ottica.

Altro specialista di successo in patria e all'estero, di "teste di carattere", fu Giuseppe Nogari che in mostra ha una testa di usuraio e di donna orante, ed un bellissimo ritratto di Giovanni Tommaso Minadois, di Rovigo, professore di pratica medica all'università di Padova, tirato su tutte le sfumature del marrone fino a diventare un caldo dorato. Nogari dimostra qui "di conoscere la lezione di Rembrandt nel chiaroscuro e nell'impostazione della figura" e di "saper fondere tonalità calde ed effetti di luminosità attenuata, soffusa, appresi da Piazzetta, con le sfumature e le velature tipiche del pastello".

E poiché è stato evocato il pastello bisogna citare l'autoritratto della celebre e infelicissima (morì folle nel 1757 e visse gli ultimi nove anni nella cecità e fra inutili operazioni) Rosalba Carriera, dalla malinconica serenità.

Fra i ritratti più belli degli uomini illustri di Rovigo, ma anche dei veneziani potenti e amici dell'accademia, commissionati dal 1740 dai Concordi ai più famosi pittori veneziani, ci sono opere di Tiepolo, Piazzetta, Pittoni. Di Giambattista è la "copertina" della mostra, il magnifico ritratto celebrativo di Antonio Riccobono, l'umanista maestro di eloquenza all'università di Padova, dipinto nel 1743. Lo riprende in un atteggiamento di sorpresa, quasi irritato verso l'osservatore perché lo distoglie dalla consultazione di un codice. "Ricca gamma cromatica e pennellata rapida e vibrante" nella pelliccia nebbiosa, nella veste nera non finita, nello straordinario evanescente polsino dai filamenti bianchi. Anche lui non dimentica la grande lezione del Tiziano e di Paolo Veronese. Peccato che non abbia speso un briciolo di tempo per tracciare qualche riga sensata dal punto di vista visivo sul codice e non i quattro scarabocchi che sono un elemento disturbante, come un refuso (che attira subito l'attenzione) in un testo perfetto.

Giambattista Piazzetta ("che non era un ritrattista e rifuggiva da ogni riproduzione celebrativa e retorica") è in mostra con un raro ritratto del fondatore dei Concordi, Gasparo Campo, ripreso con abilità su di un fondo bruno rossastro. "Una prova di grande abilità tecnica è poi nel libro" con una pagina strapazzata dalla mano sinistra. Ma bisogna rendere onore a Piazzetta anche con un'altra opera in mostra, il "San Giovanni Battista" che per l'"ascendenza ancora caravaggesca" dà più l'impressione di "un fauno che di un santo".

Una verve rococò pervade il ritratto dipinto nel 1750 circa da Giambattista Pittoni, del cardinale Bartolomeo Roverella ed espressa dal rosso intenso della veste e dalla naturalezza dei gesti.

Quello che il giovane Alessandro Longhi fece del procuratore di San Marco, Giulio Contarini da Mula, viene considerato nella scheda in catalogo come "uno dei capolavori della ritrattistica veneta (ed europea) del Settecento". Per la "forza di penetrazione psicologica, per finezza di stesura pittorica, nonché per gli armoniosi passaggi e toni cromatici e per l'effetto 'pastello'". Sensibilità e arguzia in quegli occhi neri penetranti sotto una lunga e vaporosa parrucca, veste di azzurro cinerino con ampi bordi di pelliccia. Di Lorenzo Tiepolo (ultimo dei dieci figli del maestro Giambattista, morto a Madrid a quarant'anni) c'è un raro "Ritratto di donna" in un tipico scialle veneziano color crema, un volto "dall'accentuato realismo" e di una sottile ambiguità fra ritratto femminile e maschile.

"Dulcis in fondo", ma databile all'ultimo ventennio del Quattrocento, è la piccolissima tavola (24,5 per 19,5 centimetri) del "Ritratto di giovane" sconosciuto con copricapo nero, del bergamasco Andrea Previtali, già ricordato allievo di Bellini. Di acuta penetrazione psicologica sembra raffigurare un figlio che ha appena ricevuto un monito duro (e che ritiene ingiusto) dal padre al quale non può ribellarsi, ma che si tiene dentro la voglia di urlare la sua innocenza come dimostrano le labbra sottili, serrate, e gli occhi velati.

Un dipinto a parte è il "Triplice ritratto" (112 per 147 centimetri) del friulano Sebastiano Bombelli che studiò a Bologna (dove subì l'influsso del Guercino) e a Venezia e diventò eccezionale ritrattista. Sono tre sconosciuti, "Nobili Personaggi in gran parrucca": due in ricca veste da camera si stringono la mano, il terzo indossa un'armatura nera. Sono stati interpretati come fratelli o parenti che suggellano un patto (in vestaglia?) mentre il terzo nell'armatura probabilmente è destinato a fare una brutta fine come farebbe pensare un amorino piangente. Il triplice ritratto "fonde mirabilmente magniloquenza barocca e fine introspezione psicologica", con "toni squillanti", una luce "morbida e soffusa".

di GOFFREDO SILVESTRI

Notizie utili - "Le meraviglie della pittura tra Venezia e Ferrara. Da Bellini a Dosso a Tiepolo". Dal 22 gennaio al 4 giugno. Rovigo. Palazzo Roverella. Chiesa di San Francesco e La Rotonda. A cura di Alessia Vedova. Direzione scientifica di Vittorio Sgarbi. Catalogo Silvana Editoriale. Promossa dal Comune di Rovigo e dalla Fondazione Cassa di risparmio di Padova e Rovigo. Realizzazione Anonima Talenti.

Orari: feriali-festivi 9-19; sabato 9-23

Biglietti: intero 9 euro; ridotto 7. Gruppi, almeno 20 persone, 7 euro. Gruppi scolastici 5 euro. Visite guidate per gruppi, massimo di 25 persone, adulti 70 euro, scuole 55. L'ingresso a San Francesco e alla Rotonda è gratuito. Per informazioni e prenotazioni CeDi turismo e cultura. Call center 0425-21530- 26270 (tutti i giorni 9-13 e 15-18); fax 0425-26270; cedi@turismocultura. it

(31 gennaio 2006)

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