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[ARTE]Mantova: Grande Mostra Del Mantegna

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Mantova: grande mostra del Mantegna

Ospitata nelle casa fatta costruire dall'artista

(ANSA) - ROMA, 9 FEB - In occasione del V centenario della morte di Andrea Mantegna, Mantova ospita una grande rassegna, aperta dal 26 febbraio. Allestita nel palazzo 500esco che l'artista fece costruire a Mantova, l'esposizione, oltre a dipinti e sculture, comprendera' lettere autografe, manoscritti, libri, ceramiche, monete e medaglie, mentre un'ampia sezione sara' riservata alla ricostruzione virtuale di capolavori che non potranno tornare a Mantova.

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ANNIVERSARI

La Mantova di Mantegna

A 500 anni dalla morte una mostra ricostruisce il contesto di umanisti, filologi, filosofi, storici, antiquari, musicisti, artisti in cui il Mantegna ha lavorato

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Mantova - Le case di Andrea Mantegna e Giulio Romano (i due artisti che con Leon Battista Alberti hanno segnato Mantova nell'architettura, nei dipinti, nella forma stessa), distano poche centinaia di metri fra loro, sui lati di un angolo rettangolo, sono ad un piano, ma per il resto non potrebbero essere più diverse. Lo specchio dei loro padroni. L'abitazione di Giulio Romano ha una facciata ad intonaco tutta mossa, con le lunette delle finestre di marmi dai colori diversi e rilievi. In una nicchia centrale una statua completata su di un troncone antico. L'abitazione di Andrea Mantegna è un cubo austero di mattoni, perfetto, interrotto solo dal portale di ingresso e dalle finestre semplici aperture, il tutto di una linearità classica. Dall'esterno è visibile un solo piano dei due che si alzano attorno al cortiletto centrale a forma cilindrica, bellissima libertà che Mantegna, con un altro colpo di genio, limita al primo piano. E così ottiene un cilindro iscritto nel perfetto quadrato del secondo piano, sullo sfondo del cielo. Uno dei ritmi geometrici sui quali l'abitazione è stata pensata.

In questa casa nella contrada dell'Unicorno, costruita su un terreno avuto in dono dal marchese Ludovico II Gonzaga signore di Mantova, a pochi passi dalla chiesa quasi dirimpettaia di San Sebastiano dell'Alberti, Mantegna vive per 26 anni, dal 1476 al 1502. Qui riceve le visite dei Gonzaga che stravedono per il loro pittore, di Lorenzo il Magnifico nel 1483, invita a colazione il cardinale Francesco. Qui ha studio e museo, la raccolta di antichità. Da qui parte su di un palco trasportato da venti forzuti, con tutta Mantova ai lati o al seguito, la grande pala votiva per Santa Maria della Vittoria, dopo il successo sui francesi di Carlo VIII. E in questa casa che conserva ancora parte della decorazione mantegnesca, prendono avvio obbligatoriamente le celebrazioni nazionali per i 500 anni della morte del maestro, con la mostra che non poteva non intitolarsi "A casa di Andrea Mantegna" (fino al 4 giugno).

Stretti dalla triplice mostra che dal 16 settembre al 14 gennaio 2007, si svolgerà a Padova, Verona, di nuovo Mantova (Palazzo Te), riannodando quasi tutte le tappe del percorso di Mantegna, gli organizzatori hanno dovuto scegliere come tema la "Cultura artistica a Mantova nel Quattrocento", cioè l'ambiente, il contesto di umanisti, filologi, filosofi, storici, antiquari, musicisti, artisti in cui il Mantegna ha lavorato. Viceversa hanno annullato lo spazio con un corredo spinto di multimedialità (a cura di Gianfranco Ferlisi e Roberto Soggia) che fa comparire ciò che non si può muovere: la famossissima "Camera dipinta" (dal Palazzo Ducale di Mantova), le nove grandi tele del "Trionfo di Cesare", molto ridipinte nel restauro del 1601-02 (a Londra, Collezione Reale di Hampton Court), lo studiolo e la grotta di Isabella d'Este e la cappella, in faticoso restauro, di Santa Maria della Vittoria legata alla pala del Mantegna (al Louvre per una delle razzie di Napoleone). Anche il tempo è stato annullato con la ricomposizione della bottega di un pittore del Quattrocento (dove la minima quantità di materiale veniva recuperata).

Una mostra ricca di materiali da gustare sottilmente, con pazienza, attenti ai particolari: 151 fra libri, medaglie (quella che il Pisanello fece per Cecilia Gonzaga, è da molti considerata la più bella medaglia italiana del XV secolo), monete, bronzetti, piccole sculture, un busto antico, tarsie, rari dipinti. Uno del Mantegna, e uno straordinario Cristo di terracotta con "evidenti" caratteri mantegneschi, una delle novità della mostra. Ci sono anche i famosi "tarocchi del Mantegna" che non sono né tarocchi né del Mantegna.

este_20171658_19370.jpg Ma prima di inoltrarci su questo particolare itinerario, andando a trovare a casa sua un grandissimo artista come il Mantegna, sarà prudente informarci sul carattere del personaggio anche perché su di lui se ne dicono veramente di tutti i colori. Qualcuno lo ha definito "tanto molesto e rincrescevole che non è omo né vicino che possa pacificar cum lui", "superbo e fastidioso". Altri "tutto gentile", "amico incomparabile", "di costumi amabilissimi". Quasi un necrologio.

E bene ha fatto Rodolfo Signorini, curatore della mostra con la collaborazione di Daniela Sogliano (catalogo Silvana Editoriale), a presentare subito una serie di lettere autografe, su problemi di tutti giorni. E da questa scrittura graficamente elegantissima emerge un personaggio "da prendere con le molle", spigoloso, suscettibile (anche perché conscio del proprio valore), a volte proprio carogna. Forse timoroso di tornare allo stato di figlio del falegname Biagio di Isola di Carturo, presso Piazzola sul Brenta, allora in territorio vicentino, oggi padovano. D'altra parte il nostro atteggiamento privilegia gli aspetti storico-artistici e dimentica le relazioni e i problemi quotidiani dei grandi uomini.

E subito la sorpresa che tutte le lettere sono indirizzate ai signori Gonzaga, a cominciare da Ludovico II, che si dimostrano, e sono ben lieti di esserlo, il "refugium peccatorum" di Mantegna in tutto e per tutto e di intervenire a suo favore. E Mantegna dimostra grande familiarità con la corte. Bisogna anche ricordare che Mantegna, salvo alcuni viaggi, visse a Mantova quasi due terzi della vita, 47 anni sui 75-76 complessivi (secondo l'anno di nascita, 1430-31, con una preferenza per il 1431). Da fine 1459 quando Ludovico II gli chiede di diventare pittore di corte, al 13 settembre 1506, giorno della morte, una domenica. Probabilmente nessuna dinastia di signori (tre marchesi Gonzaga e Isabella d'Este moglie di Francesco II) ebbe al suo servizio un maestro di tale levatura per un periodo così lungo e continuativo.

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Il prestigio di Mantegna dopo gli affreschi della cappella Ovetari a Padova, la pala di San Zeno a Verona e soprattutto la "Camera dipinta" a Mantova fra il giugno 1465 e il 1474 (dal 1648 infelicemente battezzata "Camera degli sposi"), ha ormai superato i confini nazionali. Papa Innocenzo VIII ne richiede la presenza in Vaticano (dal 1488 al '90) e Francesco II non può rifiutare. Mantegna affresca la cappellina privata del papa al Belvedere (distrutta per la costruzione del Museo Pio Clementino).

Per Mantegna i signori Gonzaga sono "lo zio" che tutto può, in fatto di richieste economiche, reclamo di stipendi, la "provisione mia", che non arrivano da quattro mesi (e il marchese - ci ricorda Maria Bellonci - gli chiede di pazientare perché "tutte le zoglie nostre sono ad usura"), mantenimento di promesse, richieste di giustizia, lamentele, beghe e problemi di vicinato, e naturalmente di aspirazioni nobiliari (diventa "Comes Palatinus", un titolo che ha l'aria di essere inventato per lui). Quando il sarto gli sbaglia un giubbone e Andrea chiede al marchese di intervenire, Ludovico non lo manda a quel paese, ma dice che vuole vedere personalmente l'abito. Quando Andrea gli chiede di intervenire per far smettere gli insulti del vicino ortolano e della moglie , Ludovico interviene a suo favore. Al marchese Francesco invia un dipinto e chiede 200 biolche di terra che gli erano state promesse (e non sono uno scherzo, perché corrispondono a 70 ettari circa). Quando il Mantegna gli chiede di fargli giustizia contro il barbiere Saviola che oltre a fargli la barba gli avrebbe rubato 33 lire e un anello con rubino del valore di 16 ducati, il marchese interviene, ma quando il barbiere viene assolto e il Mantegna insiste addirittura per la pena capitale non lo accontenta di certo.

Da Roma, al servizio del papa, scrive al marchese Francesco una lettera che fa apparire un altro Mantegna, che gli chiede di scrivergli "qualche coseta" per tirargli su il morale. Per il maestro quei tre anni non furono infatti un periodo né felice né di grande soddisfazione come rapporti col papa e come trattamento economico, lui che a Mantova era considerato, premiato, protetto, sopportato, quasi vezzeggiato dai signori della città. "Al presente non dirò altro se non ch'el è una grande differenzia dali modi di qua e queli di là. Io prego la signoria vostra se degni scrivermi per contento mio qualche coseta, io sono pur stato - si può dire - alievo dela illustrissima casa da Gonzaga et omi sempre inzegnato di farli onore e son qui per questo". Che il marchese non se lo dimentichi. Chiede poi 200 ducati per il figlio Lodovico, dato che lui "dal Nostro Signore", cioè dal papa, non ha altro che le spese del vitto, "le spese cossì da tinello, in modo che io staria meglio a casa mia". In precedenza, nella lettera, Mantegna raccomanda al marchese di "fare qualche riparo ale finestre" affinché i "Trionfi mei" "non si guastino" per la luce.

Conosciuto da vicino il Mantegna, ecco la città in cui opera. Nel 1459-60 la Mantova di Ludovico Gonzaga diventa il centro del mondo cristiano per il congresso indetto da Pio II per organizzare una crociata contro i turchi che nel 1453 hanno conquistato Constantinopoli. La crociata non arriverà neanche ad Ancona dove il papa l'attende e ne morirà di crepacuore nel 1464. Per ricordare il papa c'è la copia (del 1929-30) del busto tardogotico nella basilica di San Benedetto Po. Ma ora l'attenzione di Ludovico, cresciuto nel culto dell'antico, nella Cà Zoiosa del grande umanista e precettore Vittorino da Feltre, è verso Firenze, trasformata da Brunelleschi, Donatello, Masaccio. Ed anche Ludovico trasforma il volto della sua città (a cominciare col selciare le strade con gli indistruttibili ciotoli di fiume, terribili per le suole e i tacchi moderni), con chiese, palazzi pubblici, torri. Chi maggiormente l'asseconda è il grande Alberti, che sublima nell'architettura la lezione teorica e pratica, gli archi di Roma antica. Come progettista della chiesa di San Sebastiano (realizzata da un altro protagonista, l'architetto e scultore Luca Fancelli), e, nel cuore di Mantova, della basilica di Sant'Andrea dalla rivoluzionaria facciata che era tutta affrescata, e dalla monumentale, unica navata. In mostra c'è un ridotto frammento del tondo al centro del timpano.

Due immagini, rara testimonianza figurativa della Mantova di Ludovico, sono riprodotte nelle tarsie lignee, antelle di un gigantesco armadio lungo quattro metri, opera del Platina (Giovanni Maria da Piadena). La facciata del duomo con i marmi policromi di fine Trecento-inizio Quattrocento dei fratelli Dalle Masegne, modificata nel 1759. La veduta idealizzata di piazza delle Erbe. Il restauro in corso dell'armadio, condotto da Vincenzo Canuti, ha rivelato come il Platina raggiungesse "un pittoricismo fluido e non insensibile all'incanto del colore" con essenze particolarmente luminose e di alta tenuta cromatica o con la sabbia arroventata, per particolari effetti di ombreggiatura.

Stretto secondo la critica "fra una ritardata formazione gotica e una precoce, sebbene modesta ispirazione mantegnesca", è Nicolò da Verona autore di una verticale (80 per 195 cerntimetri) "Madonna degli angeli", pala centrale dell'omonima chiesa di Mantova. Una Vergine quasi allampanata, "ieraticamente fissa", circondata dai piedi alla testa da una corona di angiolini come per un trasporto. La parte migliore è l'abbinamento del velo bianco sul manto di azzurro intenso in parte bordato di punti dorati, che l'avvolge completamente come una preziosa confezione. Di un "Maestro di Palazzo d'Arco", un palazzo neoclassico di Mantova dall'imponenza imperiale (forse il carmelitano Battista Spagnoli) sono quattro tavolette con santi dal milanese Museo Bagatti Valsecchi ora divise a coppie orizzontali, con importanti cornici, ma in origine due tavolette in verticale.

I primi committenti di Mantegna sono Ludovico II e la moglie Barbara (di Giovanni Hohenzollern o di Brandeburgo) dal soprannome non rassicurante de l'"Alchimista", ma degna consorte di uno dei signori più felici per Mantova (dal punto di vista economico, politico-militare, culturale), reggitrice dello Stato durante le numerose assenze del marchese al quale ad ogni modo diede dieci figli. Nel castello di San Giorgio che fa parte del Palazzo Ducale, Mantegna la ritrarrà al centro della corte nella "Camera dipinta", senza infingimenti o idealizzazioni, con il cipiglio teutonico del volto, le borse sotto gli occhi, la fossetta del mento. Come al naturale sono ripresi gli altri personaggi, Ludovico, cortigiani, ospiti di riguardo, segretari rugosi dal "naso a becco" e col cappello in mano, pedagoghi, figli e figlie, nani e cani, e nell'altra scena, l'incontro sulla strada per Milano con il figlio Francesco appena nominato cardinale (con lo sfondo di un paesaggio che richiama Roma e il Lazio).

C'è anche il Mantegna, non nei due grandi affreschi in cui è stato cercato sempre, ma sotto forma di testina in una cornice sulla parete di sinistra. Il pittore non la definì mai "Camera degli sposi", ma "Camera picta" dedicata a Ludovico e Barbara come "modesto lavoro" (mentre è il suo capolavoro, l'unico ciclo sopravvissuto). Dovrebbe infatti trattarsi di uno studiolo del marchese date le dimensioni contenute (otto per otto per sette metri), la capiente cassaforte a muro per i documenti di Stato e l'iconografia degli affreschi, quei due "gruppi di famiglia" da esibire agli ospiti selezionati, non certo soggetti sui quali meditare o piacevoli nelle ore di riposo, con quel muso della nana in primo piano. Non sono scene in armonia con quel fenomenale scorcio prospettico del balconcino nella volta che fa scendere l'azzurro e le nuvole del cielo fra sederini di putti, colli di pavone e festoni di frutta.

A metà del Seicento, Carlo Ridolfi nella celebre opera sulle "Maraviglie dell'arte" riferisce di una "camera detta degli Sposi" forse per la notte di nozze che vi trascorsero Margherita Gorni e Alessandro Donesmondi il 26 aprile 1573. Dopo Ridolfi il titolo "Camera degli sposi", molto più romantico, ha avuto il sopravvento.

La "Camera dipinta" sarà uno dei pezzi forti della mostra di settembre a Mantova. Restaurata nel 1984-86 dall'Istituto centrale del restauro (con la direzione scientifica di Michele Cordaro), salvaguardata dal "numero chiuso" dei visitatori, sarà dotata di una centralina per la rilevazione puntuale di temperature e umidità.

Per rappresentare i committenti, in mostra c'è un fregio di camino lungo 178 centimetri e alto 35,5, molto bello, restaurato per l'occasione, con in bassorilievo due coppie di dame-cavalieri che però sono di incerta identificazione. Al centro quattro putti che reggono lo stemma Gonzaga in una folta ghirlanda. Chiaro invece il motto in greco "Senza difetto", scolpito sul copricapo di una dama, una delle numerose "imprese" distribuite un po' dappertutto: rappresentazioni simboliche di una scelta di vita, spesso criptiche, motti e figure che si interpretano a vicenda.

Chiari anche i personaggi su medaglie e monete. Gli autori sono il Pisanello (Antonio Pisano), Bartolomeo Melioli, l'Antico (Pier Jacopo Alari Bonacolsi). Quella che è "giustamente considerata da molti studiosi e critici come la più bella medaglia italiana del XV secolo" raffigura Cecilia Gonzaga di profilo. Della figlia del primo marchese di Mantova, ricordata come una delle giovani più colte del Rinascimento, il Pisanello rende la "dolcezza" dei tratti, "ma anche il suo spirito e la sua anima", la fragilità e la purezza. Peccato che questo sia l'unico ritratto femminile del Pisanello su medaglia.

Altra coppia di committenti, Francesco II e Isabella d'Este che educata in modo raffinato a Ferrara, andata sposa a 16 anni, trasformerà la piccola corte di Mantova in un crocevia di artisti, musicisti, letterati, filosofi, scienziati, con sempre nuove idee, idee moderne, attinte nei viaggi per esempio a Venezia. Ma, incredibile o forse no considerando i due caratteri forti, Isabella avrà un "rapporto conflittuale" col Mantegna. A partire dal ritratto che Isabella fa fare al pittore nel 1493 per farne un dono, un "ritratto giudicato estremamente brutto" che - scrive la marchesa - "non ha alcuna delle nostre simiglie" e che viene rifiutato. Isabella farà fare il ritratto a Giovanni Santi, il padre di Raffaello. Un ritratto giudicato somigliante, ma probabilmente "poco fisionomico e piuttosto 'spirituale e sognante'". Tutti e due i ritratti non sono rintracciabili, ma la vicenda può trovare una spiegazione con il secondo smacco subito dal Mantegna ad opera di Isabella. La marchesa si rifiuta di farsi raffigurare sulla pala "della Vittoria" ordinata da Francesco II, capo della lega dei principi italiani, dopo la vittoria sui francesi a Fornovo nel luglio 1495. Isabella doveva essere di fronte al marito, ma sarà sostituita da Santa Elisabetta sua protettrice. Il marchese fu invece del tutto soddisfatto del ritratto che seguiva i crismi dell'ufficialità quattrocentesca, rigorosamente di profilo. Isabella d'Este cercava sempre nuovi talenti e i ritratti visti a Venezia, di Giovanni Bellini ed anche di Antonello da Messina, le sembravano più moderni, in grado di rendere "il movimento, la mimica facciale e soprattutto l'emozione". Insomma cercava "pittori molto diversi da Andrea Mantegna".

In mostra Isabella, sia pure con i capelli svolazzanti, non sfugge al ritratto di profilo sul grande pendente (diametro di quasi sette centimetri) in oro, rosette smaltate e diamanti che formano il nome della marchesa. Opera di Gian Cristoforo Romano, dal Kunsthistorisches Museum di Vienna. Sul rovescio, una figura alata con palma e bastone ad ammaestrare un serpente, una stella ad otto punte e un centauro arciere.

Al condottiero Francesco II si addice di più un busto in terracotta, nella corazza con l'aquila ad ali spiegate. Una resa piuttosto idealizzata dato che Francesco aveva bozze frontali vistose, occhi sporgenti, labbra carnose. Anche questa è opera di Gian Cristoforo Romano, ma fino all'Ottocento è stata considerata del Mantegna.

I marchesi erano naturalmente grandi appassionati di cavalli, molto interessati per esempio ad un libro manoscritto miniato intitolato "Delle infirmità delli cavalli", autore il maniscalco Zannino de Ottolengo che aveva certe sue idee. Un cattivo cavallo ("cavallo iniquo") può essere domato "con l'applicazione di un cappio, a cui sia stato impiccato un uomo".

Legata alla finora insoluta questione del Mantegna scultore è una statuetta in bronzo dorato "di pregevolissima fattura", alta 36 centimetri, che arriva dal Liechtenstein Museum di Vienna. Raffigura il Marsia legato ad un albero trasformato in un secondo momento in San Sebastiano come indicano i fori per infilarvi le frecce che sporgono sulla superficie. Il sesso è stato limato per potervi applicare una foglia o un perizoma più adatto al martire. Signorini ed altri studiosi la assegnano al Mantegna per lo stile e per la corrispondenza al bronzo di "una figura nuda legata ad un tronco" indicata nell'inventario della Grotta di Isabella d'Este.

Sempre da Vienna, Kunsthistorisches, proviene un bronzetto alto 40 centimetri con una iscrizione che ne testimonia la proprietà di Isabella: Ercole che solleva e soffoca il gigante Anteo nella decima fatica. L'autore, nel 1519 circa, è l'Antico (il mantovano Pier Jacopo Alari Bonacolsi), scultore ed anche restauratore di opere antiche a Roma, famoso per la perfezione tecnica dei bronzi ispirati al mondo antico. Dopo la morte del Mantegna divenne sempre più il consulente artistico e confidente di Isabella.

Giusto, la morte del Mantegna. Viene esposta quella che è molto probabilmente l'ultima lettera del maestro, del 13 luglio 1506, a due mesi dalla morte, ad Isabella d'Este. Scrive di stare alquanto meglio ("benché io non habia ancora tutte le parte del corpo nel primo essere"), e di volere cedere alla marchesa un pezzo antico della sua collezione che Isabella gli aveva chiesto più volte, il busto romano della cosiddetta Faustina Maggiore del 138-139 dopo Cristo. Mantegna ha bisogno di soldi perché ha acquistato una nuova casa. Nel 1502 ha dovuto lasciare la prima abitazione (quella della mostra) perché il marchese di Mantova l'ha richiesta come appendice del nuovo palazzo di San Sebastiano e l'ha permutata con una nella zona del Mercato. Nel 1505 è tornato nella contrada dell'Unicorno (la casa non è stata però individuata) e deve continuare i pagamenti. A Isabella chiede 100 ducati per la Faustina. La casa non riuscirà a pagarla del tutto. Morirà lasciando un debito di circa 200 ducati (ma sarà sepolto nella basilica di Sant'Andrea).

In mostra c'è una Faustina (busto antico non pertinente) proveniente dal Palazzo Ducale di Mantova che per lungo tempo è stata creduta quella della collezione del Mantegna. La vera Faustina invece è una Faustina Minore della Collezione Reale di Hampton Court che non l'ha concessa per la mostra.

Fra letteratura, codici e incunaboli (la "Cronaca di Mantova" di Andrea da Schivenoglia; un'operetta morale di Felice Feliciano, il più estroso copista della seconda metà del Quattrocento, teorico della scrittura, miniatore, stampatore, studioso e progettista di epigrafi, letterato e alchimista) il pezzo più curioso sono le nove incisioni del "Maestro dei Tarocchi". Un campionario delle 50 carte dette "del Mantegna", i cosiddetti, famosissimi, "tarocchi del Mantegna". "Uno dei più enigmatici capolavori dell'arte rinascimentale" come li definisce in catalogo Giordano Berti. Due redazioni, copiate e ristampate moltissime volte in Europa, con la versione più celebre di Dürer.

Come spesso accade nella storia dell'arte, l'equivoco nasce con il rimando automatico di una voce o tradizione precedente o "generica denominazione" fatta nel Settecento dal celebre filologo Luigi Lanzi. "Nessuno storico, quindi, ha mai attribuito a Mantegna la paternità di queste carte". Ma di rimando in rimando di questa voce senza controlli, appoggiandosi all'autorità del Lanzi, si è arrivati ad un secolo dopo quando sono cominciate ricerche storiche e analisi stilistiche che hanno portato a conclusioni del tutto diverse, giudicate non definitive, ma che hanno fatto fare molti passi in avanti.

Così le carte non sono un gioco di società (diventato poi d'azzardo), ma un gioco didattico con forti connotazioni etiche, in stretto rapporto con l'enciclopedismo medievale. Ed anche una fonte per rappresentazioni artistiche. Nelle carte sono infatti dipinte in forma allegorica tutte le parti della conoscenza medievale, fino alla cosmologia aristotelico-tolemaica, i sette cerchi concentrici dei pianeti attorno alla Terra. In una gerarchia di valori che segue un percorso di elevazione intellettuale e di virtù fino alla conoscenza suprema che coincide con Dio. Quanto all'autore, le caratteristiche stilistiche e la tecnica dell'incisione fanno propendere che i "tarocchi" siano nati a Ferrara, probabilmente su committenza veneta (come fa pensare la presenza del doge e non del duca), verso il 1460-65. Questi "tarocchi" "rappresentano il momento culminante della tradizione enciclopedica medievale" e "segnano un importante momento di passaggio alla cultura umanistica che dominò l'Italia padana per tutto il Rinascimento".

La mostra chiude con l'immagine del Cristo. Uno strumento liturgico (23 per 13 centimetri) in argento e madreperla, con inciso l'anno 1513, denominato ""Pace con Pietà" (Cristo morto fra Maria e Giovanni), perché durante la messa veniva baciato dal celebrante prima della comunione e poi offerto al bacio dei fedeli.

Cristo è anche l'unico dipinto di Mantegna presentato in questa occasione e la bellissima scultura che potrebbe essere del Mantegna. Nel primo caso si tratta di una piccola tela (55 per 43 centimetri), firmata e datata 1493, con il busto del Redentore "dall'espressione austera e malinconica", proveniente dal Museo civico di Correggio. Quadro di devozione privata o offerta votiva ad una associazione religiosa, in ogni caso considerato fra i capolavori dell'ultimo Mantegna. Per la "delicatezza nelle lumeggiature sui capelli e nell'individuazione dei peli della barba e degli arabeschi dorati (in gran parte oggi scomparsi) sullo scollo della veste rossa di seta", il "tono di estrema raffinatezza".

Il "Cristo risorto", la figura in piedi priva del braccio destro, una rossa, luccicante terracotta alta 91 centimetri, è presentata in mostra come opera di Andrea Mantegna con il punto interrogativo, o alla bottega. Certo il pezzo è affascinante con rimandi "evidenti " e "sovrapponibili" ad alcuni disegni e ad un affresco del Mantegna, nel panneggio, movimento del braccio, posizione dei piedi, anche se altre parti importanti (testa, inclinazione) sono diverse. Il restauratore Augusto Morari ha ritrovato la statua in una collezione privata, in tanti frammenti da riempire un secchio e l'ha ricomposta. Rodolfo Signorini "con la massima cautela" e in forma interlocutoria, l'attribuisce come opera o progetto a Mantegna. L'ha portata in mostra con la speranza che sia occasione di ulteriori ricerche, discussioni e che possa mantenere "viva la speranza degli storici di poter annoverare un giorno, con certezza, Mantegna almeno fra i plasticatori, se non fra gli scultori della Mantova della seconda metà del XV secolo".

Goffredo Silvestri

Notizie utili - "A casa di Andrea Mantegna. Cultura artistica a Mantova nel Quattrocento". Dal 26 febbraio al 4 giugno. Mantova. Casa del Mantegna, via Acerbi 47. A cura di Rodolfo Signorini con la collaborazione di Daniela Sogliano e Gianfranco Ferlisi. Organizzata dalla Provincia di Mantova in collaborazione con il Comitato nazionale per il V centenario della morte del Mantegna, la soprintendenza, il Comune e il Centro internazionale di arte e cultura di Palazzo Te. Catalogo Silvana Editoriale.

Orari: da martedì a domenica, 10-18 (ultimo ingresso 17,30). Lunedì chiuso.

Biglietti: intero 5 euro, ridotto 3. Biglietto speciale 3 euro (con il biglietto di ingresso a Palazzo Ducale). Informazioni call center 0376-432432. Prenotazioni call center 199 112 112

(20 marzo 2006)

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