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[ARCHEOLOGIA]Cantami O Diva...

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ARCHEOLOGIA

Cantami o diva...

"Musa pensosa. L'immagine dell'intellettuale nell'antichità" è il titolo dell'esposizione allestita al Colosseo curata da Angelo Bottini, che continua la tradizione delle mostre di archeologia

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Roma - Sempre chiamate, invocate, prima di ogni impresa artistica o anche scientifica, le Muse finalmente compaiono e si materializzano nella prima mostra a loro dedicata. In quel Colosseo che è scena ineguagliabile di ogni mostra di archeologia. Anche se le urla di incitamento degli spettatori, le grida di rabbia, dolore e morte di chi si batte all'ultimo sangue sulla sabbia dell'arena per la gloria, la ricchezza o la vita, sembrano celebrare solo una delle nove figlie di Giove e Mnemosyne, quella Melpomene che canta la tragedia. Ma qui ci sono tutte perché sono state riunite in nome dell'intellettuale nella società antica. L'immagine e l'aspetto degli intellettuali che variano a seconda della società in cui vivono. Anche se - come ci ricorda Paul Zanker nel catalogo - né greci né romani conoscevano gli "intellettuali" come un gruppo sociale definito. "Ciò non impedì che i veggenti, i poeti, i filosofi, gli oratori occupassero una posizione particolare".

"Musa pensosa. L'immagine dell'intellettuale nell'antichità" è il titolo della mostra (dal 19 febbraio al 20 agosto) curata da Angelo Bottini, soprintendente archeologo di Roma, che continua la tradizione delle mostre di archeologia al Colosseo inaugurata da Adriano La Regina sui temi portanti della civiltà antica. Questa volta non un tema di grande coinvolgimento popolare come gladiatori e combattenti, sportivi trionfanti sulle piste e nei circhi, ma di meditata riflessione sul rapporto Musa-intellettuale che si è modificato nei secoli, "da una dipendenza diretta del poeta dal sostegno della Musa ispiratrice, in quanto figura di mediazione della parola divina" ad una autonomia sempre più vasta, di un'opera frutto delle proprie capacità e sforzi. Una autonomia che dovrebbe coincidere con una libertà assoluta anche nei confronti di ogni potere, economico e politico, il contrario di quello che abbiamo sperimentato in tempi moderni. Anche le dimensioni della mostra sono in linea con il carattere di meditazione: una cinquantina di pezzi, molti conosciuti, alcuni straordinari, provenienti dai musei italiani (Capitolini, Nazionale romano, Nazionale archeologico di Napoli, di Firenze, Ancona, Ferrara, i Vaticani). Fa eccezione un cratere attico a figure rosse (Apollo, Tersicore e Clio), il capolavoro del Pittore di Clio, ateniese del V secolo avanti Cristo, che arriva da Berlino.

Al primo piano del Colosseo, nell'ambulacro interno sono presentate le statue (a grandezza naturale o maggiore) delle Muse, di solito copie romane di famosi originali ellenistici, in maggioranza integre, ma grazie a restauri, potenti o sottili. Apre Polimnia (forse il pezzo più bello della mostra, sconosciuto ai più perché proveniente da un museo romano "fuori mano"), il cui nome in greco significa la "ricca di inni", Musa degli inni e della poesia religiosa. Poi Calliope, la "dotata di bella voce", per la poesia epica. Euterpe, la "rallegratrice", per il canto lirico, la cui statua in mostra ha probabilmente una testa antica rilavorata, forse di imperatrice. Urania, la "celeste", trasformata radicalmente per rappresentare la Musa dell'astronomia (moderni sono la testa, il busto sotto i seni, braccia e mani che reggono stilo e globo). Clio, l'"annunciatrice", per la storia, l'unica priva di testa e alta appena 91 centimetri. Melpomene, la "cantatrice", per la tragedia, priva delle braccia, ma dalla bellissima e mossa tunica, con mantello sulla chioma.

Non statue, ma presentate su di un sarcofago a contorno di Apollo musagete, la divinità di riferimento, sono Talia, la "fiorente", per la poesia gaia e rustica e quindi la commedia e la poesia pastorale; Erato, la "gioconda", per la poesia amorosa e la musica; Tersicore, "colei che si diletta dei cori", per la danza. Il sarcofago, della metà del II secolo dopo Cristo, da Civita Castellana, sembra opera di un artigiano frettoloso che ha curato poco l'anatomia.

este_20181709_50350.jpg Con le Muse ispiratrici sono affreschi e mosaici da Pompei e rilievi in marmo da Ostia che raffigurano riunioni di filosofi. L'affresco, ancora da Pompei, dell'attore con maschera della tragedia. Rilievi o lastre in marmo con il colloquio fra Musa e poeta, o una conversazione filosofica fra marito e moglie (in viaggio simbolico verso un mondo spirituale). Il grande gruppo scultoreo in terracotta del frontone del Tempio Grande di Luni (ricomposto con cinque frammenti) con due Muse che fiancheggiano Diana, Apollo e un personaggio divino di discussa interpretazione che spicca per una cornucopia piena di grappoli.

Virgilio chiama le Muse dolci. Sono certo ispiratrici di alta e grande poesia, di pensieri eletti e forti, abitano in luoghi ameni come grotte e boschetti, con sorgenti e laghetti, ma sono anche permalose e vendicatrici come sperimentò Thamyri, celebre cantore, che ebbe la brutta idea di mettersi a gareggiare con loro. Lo accecarono e lo privarono del canto.

Alle nove tradizionali Muse i romani ne hanno aggiunta una decima. Molto particolare, perché se le Muse "sono le divinità della comunicazione poetica", invitate a cantare o a raccontare, quella di Roma è una Musa muta anzi una "Musa che - invece di sostenere la voce dell'uomo - la zittisce". Il suo nome è infatti Tacita. Maurizio Bettini spiega in catalogo che il culto di Tacita è "molto romano " perché nell'Urbe "il riserbo e la scarsa loquacità erano tenuti in grande considerazione" e quindi il silenzio e la riservatezza. Delle Muse, diciamo normali, conosciamo praticamente tutto mentre "della Musa muta, purtroppo, non sappiamo quasi nulla, né possediamo immagini o raffigurazioni" per cui in mostra Tacita non appare.

este_20181710_51540.jpg Stando al racconto di Ovidio la storia di Tacita è particolarmente lacrimevole perché all'origine ci sarebbe una storia di pruriti e di chiacchiere e una vendetta di Giove. Tacita sarebbe stata una ninfa di nome Lara che andò a spifferare a chi di dovere le mire di Giove su un'altra ninfa. Il padre degli dei decise di strapparle la lingua "dato che non ha saputo farne buon uso", e ordinò a Mercurio di accompagnare Lara diventata muta, alla palude infera di cui sarebbe diventata la ninfa protettrice. In più la sua festa sarebbe stata celebrata nel giorno dei morti.

Polimnia "è una delle immagini che ha esercitato maggiori suggestioni nell'antichità (non per nulla è la copertina della mostra). Della delicata figura di fanciulla che con aria sognante contempla un remoto orizzonte" si conoscono più di venti repliche. Una grande fortuna, dall'età tardoellenistica (l'età del prototipo creato da Falisco di Rodi) a quella imperiale romana. Una delle più efficaci è la "Polimnia" in mostra, alta un metro e 56 centimetri, "anche se si tratta di una delle più tarde interpretazioni romane" databili all'ultimo quarto del II secolo dopo Cristo, anche se il volto è mutilato di tutto il naso. Forse è il fascino della "pelle" originaria della statua, la politura perfettamente conservata del marmo dell'isola di Pario, "l'effetto splendente del marmo ottenuto attraverso la lucidatura delle superfici" che non sono state rovinate. Un marmo a grana grossa "che permette alla luce di penetrare all'interno della materia e di creare un gioco di chiaroscuri" sulla figura esaltando "il delicato incarnato del viso e le trasparenze dei tessuti".

Emilia Talamo ricostruisce la scoperta della scultura, nel 1928, nell'area di Villa Fiorelli, verso il limite orientale del Celio, subito fuori delle Mura Aureliane. In una galleria franata, poi usata come cava di tufo, nella quale la statua venne nascosta già in età antica come dimostrano nuovi dati di archivio trovati dalla stessa Talamo. Ed è stato questo particolare che ci ha fatto arrivare "Polimnia" con la patina dei suoi tempi. Al contrario di Melpomene scavata negli stessi anni, nella stessa zona e che per decenni è stata alla pioggia nei giardini del Museo nazionale romano di piazza dei Cinquecento. Le dimensioni, la vicinanza, i dati stilistici fanno pensare all'appartenenza delle due statue (ed anche di altre figure di Musa) ad uno stesso ciclo decorativo di notevole livello artistico, in una residenza di assoluto rilievo, forse imperiale.

"Polimnia" è assorta in meditazione, attratta da un infinito che lei sola vede, appoggiata ad un pilastrino di roccia. Si protegge, e protegge quel momento, avvolgendosi tutta stretta con un mantello che segue come stoffa la sagoma del braccio destro e della mano di fronte al volto. Emerge la mano sinistra che doveva impugnare un papiro di versi, simbolo dell'arte da lei protetta. Un piccolo peso in un lembo del mantello lo fa ricadere verticalmente. Le pupille sono rese ad incisione aggiungendo "maggiore espressività".

Pensiero irrefrenabile, anche se non rispettoso: che Charles M. Schulz abbia avuto in Polimnia (e nel suo mantello avvolgente) la Musa ispiratrice della "coperta" di Linus. Anche lei rifugio e rassicurazione.

La "Polimnia" in mostra è dei Musei Capitolini, ma viene dal Museo della centrale Montemartini sulla via Ostiense, sala della Caldaie, nella quale sono esposti molti pezzi straordinari dei Capitolini che hanno bisogno di spazio. La Centrale, unione di archeologia industriale monumentale e di monumenti antichi, è uno dei musei più affascinanti in assoluto.

Per una curiosa coincidenza un'altra Polimnia è in mostra a Roma, a Palazzo Venezia, ancora per pochi giorni, fino al 26 febbraio, presentata in tutt'altro contesto, il "Settecento a Roma". Si tratta infatti della straordinaria "Polimnia" di arte romana per la metà inferiore mentre la metà superiore è stata scolpita con grande successo (tanto da guadagnarsi una gratifica di 40 scudi) da Agostino Penna nel 1780. Lo scultore restauratore riprende in modo raffinato il movimentatissimo panneggio che avvolge tutta la figura. Anche qui la musa si appoggia meditabonda ad un pilastrino di roccia. Uno dei tanti capolavori antichi (o antichi integrati) che uscirono dalla Galleria Borghese nel 1808 forzatamente venduti a Napoleone che ne riempì il Louvre e che neppure Canova riuscì a far restituire all'Italia.

Sempre al primo piano del Colosseo, nell'ambulacro esterno, è stato riunito il "gotha" della poesia, filosofia, scienza, drammaturgia, storiografia, oratoria, eccetera, eccetera greca e romana. Insomma il buon lavoro delle Muse. Sono busti ritratti, teste, erme di grande bellezza e assoluta personificazione, identificazione col personaggio. Omero, Aristofane-Esiodo, Virgilio; Pindaro (dai capelli scolpiti come la barba su due piani e che termina con un ricciolo annodato che potrebbe fare "tendenza"); Pitagora con il turbante; Socrate di cui l'archetipo sarebbe di Lisippo (peccato che non ci sia il Socrate con la maschera da Sileno che secondo Paul Zanker deve aver irritato i concittadini del filosofo ancora più delle sue domande); Epicuro dal volto scarno e allungato, l'espressione particolarmente accigliata; il serio Antistene, discepolo di Socrate, dalla barba, capelli, rughe estremamente curate; Posidonio, l'unico busto esistente dello storico e giudicato di qualità eccezionale; Cicerone, il notissimo busto dei Capitolini che non risparmia al grand'uomo il doppio mento (la testa è originale, il busto di restauro); Erodoto e Tucidite uniti dalla doppia erma; Eschilo, Euripide. Di Saffo c'è il celebre tondo dipinto a Pompei e a lei attribuito, una giovane donna distinta, con i capelli in una reticella d'oro. Il pittore ha saputo dare "un'impronta personale a un soggetto di repertorio", con lo stilo appoggiato alle labbra quasi in attesa dell'ispirazione da prendere al volo e da trasferire sul dittico aperto in mano.

Del divino Omero c'è il celebre busto in marmo bianco, l'"Omero cieco" dei Musei Capitolini, sala dei Filosofi, copia romana da un originale ellenistico del II secolo avanti Cristo scuola di Rodi (naso e busto di restauro). Con la barba, traforata in molti punti, baffi folti, capelli resi con fitte incisioni e divisi da una benda che scende fino al collo, la muscolatura del viso mossa. E gli occhi spenti della leggendaria cecità fisica a cui corrisponde il dono della "profonda sensibilità e coscienza dell'anima e del destino dell'uomo" come è notato nella nuova guida Electa dei Musei Capitolini. L'idea della cecità di Omero è antica, "derivante forse in origine da Demodoco, il cantore cieco dell'Odissea. In un ritratto del V secolo avanti Cristo essa era stata solo accennata dagli occhi chiusi". Noi vediamo sempre Omero cieco, ma questa è una delle tante ipotesi di raffigurare il poeta.

Fin qui la mostra, come osserva il soprintendente Bottini il quale vuole che i visitatori sappiano una cosa non irrilevante. Il "piccolo sovrapprezzo" richiesto per le mostre del Colosseo (anche se non sappiamo se i visitatori del Colosseo sono anche i visitatori della mostra) sono un contributo, "una parte di quelle ingenti risorse economiche che è indispensabile devolvere" alla cura del Colosseo, del Palatino, della Domus Aurea, eccetera, eccetera, la cui conservazione rappresenta un "drammatico problema". Per credere, dopo la mostra visitare Colosseo e Palatino che sono compresi nei 12 euro del biglietto.

Goffredo Silvestri

Notizie utili - "Musa pensosa. L'immagine dell'intellettuale nell'antichità". Dal

19 febbraio al 20 agosto. Roma. Colosseo. Promossa dal ministero per i Beni e attività culturali, soprintendenza archeologica di Roma. A cura di Angelo Bottini. Catalogo Electa. Produzione Mondatori Electa.

Orari: tutti i giorni; 8,30 - 17 dal 19 febbraio al 15 marzo; 8,30 - 17,30 dal 16 al 25 marzo; 8,30 - 19,15 dal 26 marzo al 20 agosto. La biglietteria chiude un'ora prima.

Biglietti: intero 12 euro, ridotto 6,5. Il biglietto comprende la visita al Colosseo e Palatino. Informazioni, prenotazioni e visite guidate. Pierreci 06-39967700. Gruppi 100 euro, scuole 70, singoli 4, famiglie 3.

(20 febbraio 2006)

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