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[ARTE]Il Duello

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REMBRANDT E CARAVAGGIO

Il duello

Ad Amsterdam celebra il quarto centenario della nascita di Rembrandt con una grande mostra che mette a confronto il maestro olandese e Caravaggio. Uno scontro spettacolare

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Amsterdam - Rembrandt 2006. Anche lui celebrato quest'anno con mostre che vogliono essere memorabili. Mozart 250 anni della nascita. Raffaello 500 anni (anticipati) della "Deposizione" della Borghese. Mantegna 500 anni della morte. Rembrandt 400 anni della nascita. Con qualche mese di anticipo sulla data esatta (15 luglio 1606), Amsterdam apre le celebrazioni del suo pittore più glorioso (e più rivoluzionario) del secolo d'oro olandese, e lo fa scegliendo un altro artista rivoluzionario che lo ha preceduto, il Caravaggio. Semplicemente mettendoli a confronto ed è la prima volta (in queste dimensioni) nonostante che già nel 1762, Francesco Algarotti nel "Saggio sopra la pittura" abbia definito Caravaggio "il Rembrante dell'Italia", e nel 1782, lo storico dell'arte Luigi Lanzi abbia scritto "Rembrant, detto da alcuni il Caravaggio degli Oltremontani". Caravaggio con una mostra mancava dall'Olanda dal 1952.

Poiché la mostra è organizzata da due dei musei con più alto potere di contrattazione al mondo, il Rijksmuseum e il Van Gogh Museum, la mostra "Rembrandt-Caravaggio" si presenta con una altissima concentrazione di capolavori per due soli artisti. Da una parte 20 Rembrandt (con un apporto esterno in grande maggioranza, nonostante che il Rijksmuseum sia il museo storico del pittore olandese), e dall'altra 15 Caravaggio che è un numero spropositato per un artista così prezioso e che tutti i musei vogliono avere in mostra. Ben otto provengono dall'Italia: Galleria Borghese (che si è privata di una delle sue copertine, "Giovane con canestro di frutta"), Uffizi, Palazzo Barberini (la potente "Giuditta e Oloferne"), Palazzo Pitti, Capodimonte (uno degli ultimi quadri dipinti da Caravaggio, "Il martirio di Sant'Orsola"), Galleria Doria Pamphilj. E quanto è accaduto alla "Madonna dei pellegrini" prestata ad una mostra milanese, anche se di nessuna rilevanza artistica, ma di grande impatto mediatico ("un micro sollevamento della pellicola pittorica" sul tallone di uno dei pellegrini, non pittura del Caravaggio, ma "una vecchia stuccatura degli anni Cinquanta", per il quale basteranno "piccole infiltrazioni di colla"), non aiuterà a tenere i nervi saldi nell'ennesima polemica sui viaggi dei capolavori.

Ma intanto godiamoci "Rembrandt-Caravaggio", a cura di Duncan Bull, dal 24 febbraio al 18 giugno nello spazio delle mostre del Museo Van Gogh, nell'edificio progettato da Kisho Kurosawa. I dipinti sono presentati su di uno sfondo grigio forte antracite, che vuole valorizzare i colori ora dorati ora squillanti. Le didascalie sono su policarbonato rosa fluorescente. Le sale sono introdotte da una composizione murale, coloratissima, con tanti ingrandimenti di particolari di quadri e testi, seminati di tocchi anche loro di rosa fluorescente.

Il Museo Van Gogh non offre soltanto spazio perché, nelle stesse date, si svolge la mostra "Rembrandt-Van Gogh". Con circa 25 fra dipinti, disegni e lettere fa scoprire l'interesse e l'ammirazione per l'antico maestro da parte di Van Gogh. Visitando il Rijksmusem, esprimeva una grandissima ammirazione per "La sposa ebrea". A Rembrandt riconosceva la capacità di evocare e dire cose "per le quali non esistono parole in nessun linguaggio". Per Van Gogh, Rembrandt aveva capito che la natura deve essere sempre il punto di partenza, mentre la sua integrità gli permetteva di ritrarre il soprannaturale come qualcosa di naturale. Van Gogh fu folgorato da una famosa acquaforte di Rembrandt del 1632, "La resurrezione di Lazzaro", a cui si ispirerà per un quadro dello stesso titolo (in mostra) dipinto significativamente nel 1890, l'anno della morte drammatica.

Rembrandt-Caravaggio rivoluzionari in pittura secondo gli storici dell'arte, ma per la gente c'è il fascino irresistibile di una esistenza fuori delle regole per tutti e due, e di essere grandissimi contro i colpi bassi del destino (società costituita, autorità costituita) e della capacità di autodistruzione. Insomma, di quanto le loro esistenze facciano parte della loro arte, il che è una caratteristica tremendamente moderna.

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Una esistenza da gaglioffo o semplicemente da prepotente come dovevano essere i signorotti nel Seicento e Michelangelo Merisi da Caravaggio era e si sentiva signore. Per lui ci sono a Roma le amicizie di cardinaloni e banchieri, le risse, il colpo di spada mortale che gli attira la condanna capitale del papa, il girovagare, dipingendo capolavori contesi, fra Napoli, Malta (dove corona il sogno di diventare cavaliere e dove distrugge ancora il sogno), la Sicilia, di nuovo Napoli. Per morire sulla soglia di Roma e del perdono del papa che i potenti amici (interessati ai suoi quadri) gli stanno procurando.

Per Rembrandt l'esistenza di chi si vuol godere la vita senza preoccupazioni pratiche, neppure quelle di una casa (ad Amsterdam, sul fiume Amstel, dal costo enorme che non pagherà mai del tutto) e di una famiglia. Circondato dalle cose che gli piacciono, belle o strane o eccezionali, come un principe italiano del Rinascimento. Tanti oggetti e opere d'arte, antiche e moderne, e ne compra sempre di più, da collezionare, usare nei quadri, farne commercio. E questo forte della sua arte, dei ritratti che fa pagare quanto vuole, dei disegni e acqueforti che non sono da meno dei dipinti (realizzate con una tecnica che non è stata tuttora del tutto chiarita), mentre con la sua arte aspira ad uscire dalle file di origine e a diventare un personaggio accettato dalla classe borghese dominante (lui che aveva studiato latino per andare all'università, ma era figlio di un mugnaio di Leida, benestante, sempre mugnaio).

In ogni caso una esistenza piena di morti e di drammi familiari, di tre figli che vivono poche settimane o mesi. Di un quarto, Titus, che muore a 27 anni e la cui nascita è una delle cause della morte, a 30 anni, della amatissima (e ricca) moglie Saskia che ritroviamo in molti ritratti. La cara Saskia gli lascia l'usufrutto del patrimonio a patto che non si risposi e questo complica la vita di Rembrandt. Il pittore non ha mecenati, ma fa il mercato. La considerazione di cui gode e i successi sono strepitosi e Rembrandt non ha alcun dubbio sul proprio valore. Diversi dipinti a soggetto storico del 1625-26 sono firmati con la sigla "Rf" (Rembrandt fece) o "RH" (Rembrandt Harmenszoon) e un'acquaforte col suo nome. Ma dal 1633 firma per lo più soltanto col nome di battesimo (Rembrandt) a somiglianza dei grandi maestri italiani. A 35 anni ha la prima biografia stampata.

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Ma le speculazioni, il commercio di oggetti d'arte finiti male anche per il blocco navale con cui l'Inghilterra chiude i porti olandesi e blocca i capitali, la vendita della tomba di Saskia per fare qualche fiorino, le spese che galoppano, i sotterfugi per nascondersi ai creditori. L'inevitabile "cessio bonorum" nel 1656 , il fallimento, la vendita all'asta in una locanda di Amsterdam della grande collezione (e nello stesso tempo altri debiti). Il pittore viene estromesso dagli affari che, costituzionalmente, non sa condurre: il commercio d'arte viene trasferito a nome di Titus e di Hendrickje Stoffel, il secondo grande amore di Rembrandt che morirà a 38 anni, nel 1663, probabilmente di peste. Non si sa come in queste condizioni, o meglio lo si intuisce dalle importanti commissioni che Rembrandt continua a ricevere, ma negli ultimi anni il pittore riesce a rifarsi una collezione. Ancora a fine dicembre 1667, i principi si interessano a lui, come il granduca di Toscana Cosimo dè Medici che va a visitarlo.

Per Caravaggio la morte, solo, nell'ospedaletto di una congregazione caritatevole, il 18 luglio 1610 a Porto Ercole, a 39 anni. Per Rembrandt Harmensz van Rijn, anzi per Rembrandt, la morte, solo, ad Amsterdam, il 4 ottobre 1669, a 63 anni. Verrà sepolto in una tomba anonima d'affitto nella Westerkerk di Amsterdam, la Chiesa Occidentale.

In altri confronti Rembrandt e Caravaggio non sempre possono essere accostati. Tutti e due non avevano bisogno di disegni preparatori. Il Caravaggio usava incisioni di solito schematiche. Del Caravaggio non si conoscono disegni. Rembrandt è stato un formidabile e prolifico disegnatore (forse più di 1.500 disegni), e incisore (oltre 300 che sono un capitolo della storia dell'arte). Ma pochi sono i disegni in funzione di dipinti realizzati. Caravaggio non ha avuto una bottega né allievi, ma Roma e l'Europa sono piene di pittori che hanno seguito, si sono ispirati in tutto o in parte, hanno modificato più o meno lo stile, le idee del Caravaggio e c'è stato anche chi (Bartolomeo Manfredi) ha "brevettato" un metodo per apparire più Caravaggio del Caravaggio per "venire incontro" alla spasmodica richiesta di dipinti del Merisi. In ogni caso i dipinti genuini del Caravaggio sono nell'ordine del centinaio anche se ripetutamente ci sono scoperte che resistono poco.

A Leida Rembrandt cominciò ad avere una propria bottega a 19 anni, nel 1625, e subito si fece un "gran parlare di un artista, figlio di un mugnaio". Trasferitosi ad Amsterdam, man mano che la fama cresceva aumentava il numero degli allievi (fino a 40 e ciascuno gli pagava 50 fiorini a semestre) che venivano da lui già formati, per impadronirsi dello stile di Rembrandt. Questo ha creato e crea tuttora grossi problemi di autografia tanto che la foresta dei 600 dipinti (e disegni e incisioni) attribuiti negli anni Trenta a Rembrandt è stata potentemente disboscata da un organismo appositamente creato nel 1968, il "Rembrandt Research Project". Nel 1991 l'allora direttore del Rijksmuseun, Henk van Os, giudicava che i Rembrandt-Rembrandt non fossero più di 250. Ma già nel 1995 il Metropolitan organizzava una mostra con i "Rembrandt non Rembrandt". E adesso, coraggiosamente, lo stesso Rijksmuseum per la prima volta fa le pulci alle proprie collezioni con la mostra "Veramente Rembrandt?", dal 9 marzo al 24 maggio nella Philips Wing. Sono 13 quadri che il museo ha comprato come Rembrandt, ma sui quali si sono accumulati i dubbi.

Caravaggio ha fatto rari ritratti e in mostra c'è quello del supposto Fra Antonio Martelli (o "Il cavaliere di Malta") e rari autoritratti in cui si presentava come reprobo pentito o si infilava in scene più complesse come "La cattura di Cristo" e "Il martirio di Sant'Orsola". Rembrandt è stato uno degli autori che ha dipinto più ritratti in assoluto anche perché questo era il genere richiesto universalmente dalla società olandese che contava, per la valenza iconografica. Una moda che si autoalimentava sempre più per le eccezionali qualità pittoriche e di resa psicologica di Rembrandt. Anche se il pittore interpretava i ritratti secondo i propri intendimenti di artista e chi protestava per dipinti poco somiglianti veniva messo alla porta. Ancora, Rembrandt è stato l'artista che più si è autoritratto. Si dice un centinaio di volte. Nel 1999 la National Gallery riuscì ad esporre 60 autoritratti. Un film ha costruito un'unica sequenza con gli autoritratti dall'età giovanile alla vecchiaia. Come altri pittori hanno seguito di ora in ora il variare della luce sui palazzi e le piazze di Venezia, o sulle facciate delle cattedrali, Rembrandt ha reso i cambiamenti del suo volto secondo gli anni e gli accadimenti della vita.

Infine Caravaggio e Rembrandt sono stati uniti dall'onta del rifiuto. Per Caravaggio anche questo è un aspetto problematico. Si è quasi certi che alcuni rifiuti siano stati una congegnata operazione di mercato perché l'opera era stata richiesta da un altro compratore. Il vero rifiuto è per la "La morte della Vergine" che mandava all'aria l'impostazione teologica della verginità di Maria. Forse per "La madonna dei Palafrenieri", ma c'è il forte sospetto che sia stato organizzato dal cardinale Borghese. Per Rembrandt il rifiuto è arrivato nel 1661, ha interessato l'ultima grande commissione pubblica e - secondo il curatore Duncan Bull - può essere visto come il simbolo del declino per l'età e la bancarotta. Una enorme tela di oltre sei metri di lato raffigurante "Il giuramento di Claudius Civilis", il capo batavo che guidò la rivolta contro l'impero romano proiezione moderna della Spagna dominante e della Chiesa cattolica. Installata nel nuovo Municipio di Amsterdam la tela vi rimase per circa un anno e quindi, per ragioni che non sono state del tutto chiarite, restituita a Rembrandt che per renderla commerciabile la tagliò, la ridusse di molto nelle dimensioni. Attualmente è a Stoccolma, Galleria nazionale.

Quando Caravaggio muore nel 1610 Rembrandt ha quattro anni. Ma uno dei suoi maestri ad Amsterdam, probabilmente fra 1625 e '26, è stato il pittore di quadri storici Pieter Lastman che era stato a Roma dal 1603 al 1607, allievo di Elsheimer, ed era quindi al corrente delle novità. Rembrandt non è mai stato in Italia: mancanza che spesso gli veniva rimproverata per un pittore del suo livello e alla quale lui, troppo indaffarato a fare fiorini con i ritratti e a spenderli accumulando collezioni di ogni tipo, rispondeva che le migliori opere dei maestri italiani erano fuori d'Italia.

Secondo Duncan Bull sono scarse le possibilità che Rembrandt abbia visto opere di Caravaggio. Viceversa per Mina Gregori ebbe l'opportunità di vedere "La Madonna del Rosario" e la "Giuditta e Oloferne", entrambe ad Amsterdam, almeno la prima fino al 1625. Ma soprattutto conobbe i caravaggisti olandesi che erano rientrati ad Utrech a diffondere il nuovo credo artistico. Hendrick Terbruggen a Roma dal 1604 al '14. Dirck van Baburen, probabilmente già nel 1612 e fino al 1620-21. E più o meno negli stessi anni, Gerrit van Hontorst che si era guadagnato sul campo il significativo nome italiano di Gherardo delle Notti. E infatti questi tre artisti, ciascuno con un'opera del Rijksmuseum, sono gli unici invitati a "Rembrandt-Caravaggio".

Mina Gregori sintetizza gli elementi costitutivi del metodo rivoluzionario del Caravaggio (dietro al quale ad ogni modo c'è tutta l'esperienza teorica e pratica della pittura lombarda e di Leonardo). La visione naturalistica: la natura come sola maestra (non gli antichi, non i pittori della "maniera moderna"). La ripresa dal modello vero e i modelli sono "i poveri e gli umili nello spirito evangelico". La prospettiva. La luce, ecco il "veicolo e valore dominante della visione naturalistica" del Caravaggio, studiata anche con l'uso di specchi. Ma, attenzione, mette in guardia ancora Mina Gregori, in Caravaggio non esiste una chiave esclusivamente realistica, ma una presenza (e non accessoria) di significati simbolici, una "compresenza di naturalismo e di simbolismo". La luce è anche "illuminazione interiore".

La luce, ma Caravaggio mette particolare attenzione anche all'ombra "come valore positivo" (al contrario di un radicato "stereotipo" che sprofonda nel Medio Evo), e la relazione luce-ombra diventa centrale nella pittura del Seicento.

Ancora per Mina Gregori, il Caravaggio "ha dato la formulazione più radicale e argomentata di aspirazioni nate in varie parti d'Europa. Il luminismo appare l'aspetto più vistoso e sintomatico del messaggio caravaggesco, ma l'idea investiva i fondamenti stessi dell'arte, il rapporto con la natura, l'interpretazione della storia, della realtà umana e del divino"

Rembrandt è uno dei "maggiori rappresentanti in Europa delle tendenze naturalistiche in linea con le innovazioni" del Caravaggio. "Come se Caravaggio avesse squarciato le cortine che non consentivano di andare oltre, con Rembrandt la luce potè raggiungere senza impedimenti la realtà fisica e la realtà spirituale. Travolte le categorie del bello e delle espressioni, la luce potè penetrare nelle profondità della psiche e come presenza interiore emanare dai volti e rivelare oltre l'aspetto fisico la realtà umana". Ed anche, "come nessun'altro" - si impegna Ernst van de Wetering - "la luce divina nei soggetti di cui più a lungo si occupò", le scene bibliche ed evangeliche.

Rembrandt continuò per tutta la vita le ricerche, sperimentazioni sulla luce (luci) e sull'ombra (ombre). "La negazione di San Pietro" (in mostra) è del 1660, quando Rembrandt aveva 54 anni. Qui siamo in uno spinto caravaggismo su tre piani. Il fuoco in basso, che non si vede ma arriva sull'armatura dell'armigero e, con riverbero più debole, sul volto dell'uomo pelato. La candela che la donna tiene in mano al centro della scena e che rende quasi trasparente una dito, illumina mezzo volto della donna, di Pietro e parte del mantello. Una luce sullo sfondo, fuori quadro, forse un altro braciere, che illumina appena un personaggio con turbante del gruppo, delle ombre che stanno portando via il Cristo.

Osserva ancora van de Wetering che Rembrandt "sperimentò nuove soluzioni per accrescere l'espressività della luce". Nei dipinti "cercò di rendere l'impressione della luce sospesa nello spazio, sfruttando l'illusione creata dalla superficie del colore nei punti più chiari, stesa con agili pennellate". Mentre per il resto i "tocchi" sono "ampi e generosi". L'"eccezionale capacità immaginativa" "lo obbligava ad usare tutti i mezzi possibili per tradurre le sue idee in pittura".

La mostra di Amsterdam mette in scena un prologo e soprattutto 12 confronti. Un prologo con i tre caravaggisti romano-olandesi, e quattro dipinti di Rembrandt, degli inizi. Dall'Australia, da Melbourne, National Gallery of Victoria, è arrivata (ed è stata prestata per la prima volta in assoluto) la piccola tavola del 1628 con un "Colloquio fra sapienti" in uno studio, meglio una disputa data la vivezza e decisione delle espressioni dei due personaggi. Un quadro decisamente caravaggesco, con una forzata (e pericolosa) fonte di illuminazione in basso, che si intuisce fra i piedi. Di Caravaggio c'è la "Crocifissione di Sant'Andrea" dall'insolita iconografia (la croce latina invece della tradizionale croce a X). Viene da Cleveland, Museum of art. Non è una crocifissione, ma il tentativo fallito di liberare il santo che agognava al martirio e che alla fine fu accontentato, avvolto da una luce abbagliante che è poi quella che domina al centro della scena, fra grandi porzioni di ombra e penombra da cui emergono visi, armature, piedi, orecchie.

I confronti Rembrandt-Caravaggio partono con "Sansone accecato dai filistei" (da Francoforte), l'agitata e truculenta scena che anche qui vive di un'unica, caravaggesca, fonte di illuminazione che condiziona tutto il resto. Niente a confronto con la urlante "Giuditta e Oloferne" in cui Giuditta sembra solo preoccupata di non sporcarsi con gli schizzi di sangue dalla vena iugulare tagliata. Questo della Galleria di Palazzo Barberini è il Caravaggio che viaggia di più grazie alle ottime condizioni di conservazione. Per il prestito (chiesto in tempi brevissimi), Palazzo Barberini dovrebbe ricevere per due mesi uno dei gioielli del Rijksmuseum, "La lettera d'amore" di Vermeer. Sarebbe ben strano che il Vermeer non arrivasse visti i fondamentali prestiti italiani per la mostra e alla luce della sana politica di collaborazione-reciprocità che il ministero dei Beni e attività culturali vuole instaurare con una particolare commissione.

La "Sacra Famiglia" nella falegnameria (dalla Alte Pinakothek di Monaco) e "La Sacra Famiglia con San Giovannino". Un Caravaggio "chiaro", con il gruppo in luce e solo San Giuseppe, al solito, in penombra. Viene dal Metropolitan dove è in deposito da parte di una collezione privata: è stata vista per la prima volta a Roma nel 2001, nella mostra sul "Genio di Roma".

"Flora", meglio Saskia, la moglie di Rembrandt (da Pietroburgo, Ermitage). Qui appare come una donnina sbiadita, di salute malferma ravvivata dalle labbra e gote spolverate di rosso. Soprattutto non a suo agio con in testa una "natura morta" e addobbata con un sontuoso costume orientaleggiante (uno delle collezioni del pittore?) dal quale Rembrandt tira fuori le preziosità a rilievo degli alamari, della sciarpa, dei ricami, della perla, e rende la consistenza materica della seta. A confronto la solidità di "Santa Caterina d'Alessandria" e della sua ruota (da Madrid, Museo Thyssen-Bornemisza), e la certezza della luminosa "Maddalena penitente" (Galleria Doria Pamphilj), sicura nell'abbandonare i segni della vanità sul pavimento, perle e profumi. Sono ancora due Caravaggio "chiari".

"La negazione di Pietro", appunto una esplosione di caravaggismo, e la "Cattura di Cristo" (da Dublino, Galleria nazionale dell'Irlanda), esplosione di luci-ombre nette, lampeggiamenti di armature, del Caravaggio che si è inserito nella scena con una lanterna, per fare luce.

Il ritratto di Johannes Wtenbogaert, pastore evangelico, anziano capo religioso. Un Rembrandt giovane fa sfoggio di eccezionali qualità pittoriche sul volto di questo importante ometto che sembra seccato dal dover perdere tempo a mettersi in posa, sul colletto a gorgiera e sulle vene delle mani. Dall'altra parte, la grande Croce di Malta, in primo piano, sul petto del presunto Fra Antonio Martelli che per ogni evenienza ha una mano sulla spada (da Palazzo Pitti, Galleria Palatina).

Il "Sacrificio di Isacco" (nella lista delle opere è presentato come "Il sacrificio di Abramo") di un Caravaggio quasi "tranquillo". Nel 1916 era ancora nei depositi degli Uffizi. E il "Sacrificio di Abramo", ma è di Isacco (dall'Ermitage), molto più drammatico per quel coltellaccio che cade a mezz'aria e la manona di Abramo che tappa la bocca del figlio.

Un'altra volta Flora (sempre Saskia) in costune arcadico con in mano un mazzo di fiori, dalla National Gallery di Londra. Confronto impari col gioiello della Borghese, il più bel canestro di frutta offerto nella maniera più sottilmente sensuale.

Uno dei capolavori più noti di Rembrandt (e del Rijksmuseum), ""La sposa ebrea". Il gesto di protezione dell'uomo, la mano sul petto della donna e la mano di lei che la sfiora. Rembrandt ha reso i volti e le mani dei coniugi con una pittura liscia e lucente mentre ha reso spessa, a rilievo, la manica rigonfia del costume dorato dell'uomo e il mantello. Di Caravaggio sono "La conversione di Maddalena" e "Il martirio di Sant'Orsola", di proprietà della Banca Intesa e in deposito a Capodimonte. Dipinto drammatico quest'ultimo perché, ripetiamo, è certamente uno degli ultimi di Caravaggio e in cui il pittore bandito si offre per fermare col proprio corpo la freccia partita contro la martire.

Scontro di soggetti e di scelte di colori fra "Betsabea con la lettera di David" (dal Louvre) e "San Girolamo" il secondo gioiello prestato dalla Borghese. Una tavolozza dorata, soffusa, per rendere il corpo nudo di Betsabea seduta sul lettone disfatto, mentre l'ancella le asciuga un piede. La donna (per la quale ha fatto da modella Hendrickje, l'amore del pittore dopo la morte della moglie), ha il bel volto perso in una espressione di incertezza mentre rigira fra le mani la lettera del re.

Rossi, bianchi, sono i colori dominanti, incisi da Caravaggio per rendere il dottore della Chiesa, nudo, ma avvolto dal manto e immerso nella consultazione di un librone che deve interessargli in più punti perché un dito è infilato per "tenere" la pagina come indica quel microscopico sollevamento bianco. La scena, con il tavolo e la straordinaria illusione della "natura morta", il teschio sopra libroni chiusi e aperti,

il drappo bianco, è estratta dal fondo quasi completamente scuro. La penna d'oca impugnata da Gerolamo è stata dipinta con una sola pennellata. Eppure gli esperti hanno trovato tracce di "non finito", nella barba, nei contorni dei libri e del manto.

Ed ecco il confronto fra un bambinone della mitologia ed un provocatorio giovanetto della realtà romana. Il "Rapimento di Ganimede", il più bello dei mortali (dalla Galleria di Dresda). Giove, trasformato in aquila, lo trascina nell'Olimpo dove farà da coppiere agli dei. Lo ha sorpreso forse mentre stava arraffando delle ciliegie e con il becco ha sollevato tutta la veste. Ganimede dallo spavento semina di pipi il cielo. Rembrandt lo vede sgambettante con il culetto all'aria. E la tentazione forte è di prenderlo a sculacciate sulle natiche.

Nulla a confronto dello sfacciato, prorompente "Amore vincitore", vestito soltanto di un paio d'ali, con il piglio di un ragazzotto trasteverino per il quale avrebbe fatto da modello Cecco del Caravaggio (Francesco Boneri), sodale del Merisi e uno dei primi pittori caravaggeschi. Nonostante le apparenze, l'"Amore" trionfa sui piaceri terreni. Un ammasso in disordine perfetto: strumenti musicali, spartiti, armature nere, corone e scettri. Che potrebbero anche rappresentare i vasti interessi culturali del committente del quadro, il marchese Vincenzo Giustiniani, uno dei principali protettori di Caravaggio. Ora il dipinto è alla Gemäldegalerie di Berlino.

Il penultimo confronto è quanto mai stridente. Un ritratto che è un atto d'amore del padre, celeberrimo pittore, verso il figlioletto tanto atteso, Titus, mentre studia e segue i pensieri sui fogli di un compito da fare. Dall'altra parte un giovane dalle labbra carnose e le unghie nere, l'aria equivoca con quella rosa fra i capelli e la camicia scivolata dalla spalla, che Caravaggio mette fra zone di luce, ombra e penombra. E davanti una straordinaria "natura morta", ciliegie sparse e altri frutti e soprattutto una "boccia" d'acqua con fiori sulla quale si riflette una finestra aperta. E fra la "natura morta" la sorpresa di un racano, ramarro, che morde un dito del ragazzotto. Il dipinto è della fiorentina fondazione Longhi, una delle rare opere del Caravaggio (in questa mostra) di cui si discute l'autografia e che potrebbe aprire (insieme al dipinto di identico soggetto della National Gallery di Londra) il capitolo affascinante dei "doppi di Caravaggio".

L'ultimo confronto si fa a tavola. Quella preparata da Rembrandt è il famoso "Festino di Baltassar", re di Babilonia, interrotto da una mano che in cielo scrive tre parole misteriose che annunciano la fine della città e la morte del re, colpevole di aver profanato il vasellame sacro del tempio di Gerusalemme. Tre sono le zone di resa pittorica virtuosistica. La luce che scende dal cielo può essere veramente la luce di Dio per come l'ha resa Rembrandt. Il re: lo sbigottimento, l'occhio sbarrato sotto il turbante di seta bianca a più piani; la lunga collana che gli ballonzola sul petto, nello spazio profondo, e avanza verso lo spettatore con l'ombra che le va dietro; la fibbia preziosa, le decorazioni, i rilievi del manto, tutto a rilievo. Infine il velo del liquido che scivola dal boccale rovesciato e tinge la manica del vestito della dama.

La tavola preparata dal Caravaggio è "La cena in Emmaus" (quella della National Gallery di Londra, come il "Festino"). Riproduce l'incontro dei due discepoli che non riconoscono Cristo risorto fino al momento in cui, a cena nel piccolo villaggio di Emmaus, benedice il pane intero. Allora uno dei discepoli spalanca le braccia e l'altro si aggrappa al sedile con le due mani per la folgorazione. Sulla tavola un piccolo canestro che sporge dal tavolo, straordinaria natura morta con mele, uva, foglie. La luce proviene da sinistra e investe i tre e l'oste in piedi (tenuto in parte su di un tono di luce più basso). Caravaggio ha riprodotto alla perfezione le ombre dei pochi oggetti sulla tavola, il canestro spostato, le trasparenze della bottiglia d'acqua.

La mostra si chiude con l'"a solo" del genio di casa, quattro dipinti di Rembrandt di cui tre dall'estero. Due ritratti: ancora Titus, questa volta giovane monaco e Joris de Caullery in veste di capitano marittimo (dal Fine arts museum di San Francisco). Da Berlino, "Giacobbe e l'angelo" in cui Rembrandt riprende più che una lotta l'abbraccio dell'angelo sovrastante. Dal Prado un dipinto che esalta il senso della materia di Rembrandt, quel gioiello che fissa sul petto la sottile collana dalle molte pietre, reso tattile dagli strati di colore, la leggerezza delle grandi maniche rigonfie e la levità dei capelli. Quanto al personaggio raffigurato, al dubbio fra due regine tragiche Sofonisba-Arthemisia, la scelta dovrebbe essere per la seconda dato che il restauro ha estratto dallo sfondo nero i diafani tratti della serva che ha recato alla regina di Pergamo le ceneri del marito e che Artemisia sta per bere scolte in una bevanda. Un omaggio all'amore coniugale, la nuova vita che Rembrandt stava per cominciare (ma che non lo cambierà): il quadro è dipinto nel 1634, l'anno del matrimonio con Saskia.

di Goffredo Silvestri

Notizie utili - "Rembrandt-Caravaggio". Dal 24 febbraio al 18 giugno. Amsterdam. Van Gogh Museum (ingresso da Paulus Potterstraat 7). Promosso dal Rijksmuseum e dal Van Gogh Museum. A cura di Duncan Bull. Allestimento Jeam-Michel Wilmotte. Catalogo edito da Waanders Uitgevers Zwolle e dal Rijksmuseum.

Orari: tutti i giorni 10-18, venerdì 10-22 (orario continuato).

Biglietti: 20 euro (compresi l'"audio guida" e l'ingresso alla collezione permanente del Van Gogh Museum). Bambini fino ai 12 anni gratis. Da 13 a 17 anni 2,50 euro. Biglietto cumulativo (mostra, Rijksmuseum, Van Gogh Museum) 25 euro. Solo Rijksmuseum 10 euro. Solo Van Gogh Museum (collezione permanente) 10 euro.

Visite guidate: ogni lunedì e mercoledì, gratuite, in inglese alle ore 11,30. Sono permesse visite guidate per gruppi di massimo 15 persone. I gruppi non devono annunciarsi in anticipo e alle guide non è richiesto alcun tesserino.

(27 febbraio 2006)

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