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Tiziano Ritrattista

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GRANDI MAESTRI

Tiziano ritrattista

A Napoli al museo di Capodimonte una mostra ricostruisce la storia del ritratto di corte attraverso opere di Raffaelli, Carracci e soprattutto Tiziano di cui vengono esposti 35 dipinti

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Napoli - Soggetto richiestissimo in pittura da potenti e da borghesi perché rappresentazione di sé e delle funzioni ufficiali, della carriera, delle imprese, del posto nella società, al punto da costituire un genere consolidato. All'apparenza facile, di diretta comprensione (ma pieno di significati coperti, simbolici), il ritratto è tema popolarissimo. Perché sollecita l'artista a far emergere sentimenti, stati d'animo, filosofia di vita, insomma l'anima di una persona e di una carica, al di là delle caratteristiche fisiche e formali: con la complicità o meno del committente. Perché al pubblico piace scoprire debolezze, difetti fisici e morali dei potenti. Figuriamoci quando scendono in campo gli specialisti del ritratto del Cinquecento come accade a Napoli, al Museo di Capodimonte, dove dal 25 marzo al 4 giugno, Nicola Spinosa soprintendente del Polo museale, ha messo in scena "Tiziano e il ritratto di corte da Raffaello ai Carracci", una mostra di eccezionale qualità (catalogo Electa Napoli). Una mostra sul ritratto italiano, sia pure limitato al XVI secolo, che mancava da moltissimo tempo.

Sono 90 opere (tutti dipinti ad eccezione di 14 sculture) con un protagonista assoluto, Tiziano che fu protagonista assoluto in Europa (35 dipinti da Capodimonte e dai principali musei mondiali) e decine di altri protagonisti. Raffaello per il quale, indaffaratissimo in mille imprese complesse, il ritratto è stata una concessione a chi non poteva dire di no. Andrea del Sarto (il copista di Raffaello che non fu scoperto). Sebastiano del Piombo. Parmigianino. I Carracci (tutti e tre). Tintoretto e Veronese. Moretto e Giovanni Battista Moroni che lo stesso Tiziano consigliava a chi a Venezia gli chiedeva ritratti, perché a Bergamo Moroni "li fa al naturale". Lorenzo Lotto. Pontormo. Correggio. El Greco. Paris Bordone e Palma il Vecchio. I busti di Guglielmo della Porta, Giambologna e Alessandro Vittoria.

Di Raffaello c'è il ritratto che "vale il viaggio", il "Baldassarre Castiglione" dagli occhi azzurri, l'autore del "Cortegiano", rientrato in Italia per la prima volta dal XVII secolo, imprestato eccezionalmente dal Louvre (che per la trasferta ha chiesto un premio di assicurazione corrispondente a 200 milioni di euro). Il Louvre riceverà da Capodimonte un ritratto, ancora da scegliere, opera di Elizabeth Vigée-Lebrune, la pittrice ufficiale di Maria Antonietta.

Doveva esserci un altro Raffaello celeberrimo, la "Fornarina", che è infatti in catalogo, ma all'ultimo è rimasta a Palazzo Barberini. Forse perché riservata, dal 18 maggio, alla mostra su Raffaello alla Borghese (che però è puntata sugli anni di trasformazione, dalla produzione umbro-toscana a quella romana dei Palazzi Vaticani). Altra presenza solo in catalogo è quella di un dipinto tuttora attribuito a Giorgione perché gli storici dell'arte non si mettono d'accordo, "Doppio ritratto", in cattivo stato di conservazione con vernice fortemente ossidata, che il Polo museale di Roma ha sottoposto da metà 2004 ad intervento e una completa serie di indagini scientifiche. Così di Giorgione (ma solo attribuito e assegnato a "Ignoto veneto" fra 1502 e 1504), in mostra è una tavolettina, ritrattino di giovane che se è di Giorgione è di quello "sperimentale, inventivo e innovativo di testa", ma "incerto e spaurito di mano".

Le assenze di opere all'ultimo momento sono state criticate da Spinosa nella presentazione e non solo perché un curatore di mostra è incontentabile. Spinosa ne ha per tutti. Per quei musei italiani dipendenti dallo stesso ministero o da enti locali che hanno fatto difficoltà, rispetto alla disponibilità dei più importanti musei stranieri. Per il milanese "Corriere della Sera" che nelle guide dei musei ha inserito la milanese Brera (museo "'malandato', mal gestito e poco frequentato") e non Capodimonte (riconosciuto di "uno standard elevatissimo"). Per Giorgio Bocca, per il suo ultimo libro su Napoli, e per il quale "le nostre mostre o altre iniziative condotte in campo culturale" sono "spesso servite solo per mascherare inefficienze e 'malaffari'" della classe politica e amministrativa. D'altra parte Spinosa è un soprintendente di musei e fare mostre (spesso molto belle, come questa) fa parte del mestiere.

este_29160539_47480.jpg La mostra è costata due milioni e mezzo di euro (con vari contributi della Regione e altri enti, ma soprattutto della Compagnia San Paolo). Sono ancora scoperti 400 mila euro che si prevede di ottenere dai biglietti dei visitatori (220 mila circa, come per Caravaggio; 20 mila le prenotazioni all'apertura della mostra). Come per Caravaggio, parte della mostra andrà in trasferta all'estero. Una conferma della qualità. Questa volta a Parigi, Musée du Luxembourg, a fine settembre. Gli impegni dei prestiti escludono quasi del tutto che ci sia una proroga della mostra di Capodimonte.

Tre aspetti non marginali per il visitatore. L'allestimento è molto semplice, naturale, con pannelli di stoffa damascata verdina. Le didascalie non sono lapidarie, poche parole con autore e titolo. Ci sono poche righe in cui viene spiegato chi è il raffigurato, importanza o dubbi sul soggetto, particolari sull'opera. Significati, simboli. Nelle sale (tranne quella molto piccola con il "Baldassarre Castiglione"), i visitatori si possono mettere e a sedere. Sono le panche spartane del museo, ma evviva.

Ritratti "di Stato", ufficiali, di funzione, di prestigio, celebrativi o autocelebrativi. Di imprese. Di abiti e di volti. Di virtù domestiche e familiari. Di belle e bellissime donne non di famiglia. Ritratti identici, riconoscibili o non riconoscibili, veri e idealizzati per mascherare legami censurabili ricorrendo ai sotterfugi della mitologia. Si comincia con il volto del potere per il potere in mille forme o come servizio (re e imperatori, pontefici e cardinali, vicerè, comandanti in campo, eccetera, eccetera). Il potere del sapere. I legami e affetti familiari. Si termina con il potere della bellezza, scoperta o scopertissima.

Non cercate poveracci. I più bassi rappresentanti della scala sociale sono gli artigiani, sarto, liutaio. I sarti sono in maggior numero forse per l'importanza dell'abbigliamento in una società di apparenze. Nell'"Autoritratto con i parenti" Annibale Carracci raffigura il passaggio fondamentale del sapere, le forbici dal padre sarto al figlio più giovane mentre Annibale, con tavolozza in mano, fissa l'osservatore a ricordargli che lui è un'altra cosa. In un dipinto di Ludovico Carracci c'è un falegname, ma è un ritratto di famiglia (ed è il marito della sorella del pittore).

Ci sono personaggi strani, come i nani o le persone ricche di peli, o i matti, per l'attenzione agli aspetti considerati eccezionali della natura e che poi entravano a far parte delle "Stanze delle meraviglie". Un dipinto di Agostino Carracci raffigura, fra cani, scimmiette e un pappagallo ingordo, l'Arrigo Peloso originario delle Isole Canarie (affetto da ipertricosi), il nano bolognese detto Rodomonte, Pietro Matto calabrese: tutti personaggi della corte dei Farnese.

Inizio d'obbligo della mostra è con i ritratti di Tiziano per i Farnese. La concentrazione a Napoli negli anni Trenta del Settecento delle collezioni della casata famosa in Italia e in Europa a metà Cinquecento, aveva dato vita a Capodimonte.

Con Nicola Spinosa cominciamo a scoprire lo schieramento dei "ritratti di Stato" di Filippo II, tagliati in verticale, quasi due metri di altezza. Uno con la mezza armatura da pompa, la mano sull'elmo, l'altro in abiti regali "alla spagnola" con al collo l'ordine del Toson d'oro. Del primo, Filippo non fu soddisfatto per la fretta imposta a Tiziano e avrebbe voluto farglielo rifare mentre oggi il quadro viene considerato magnifico e con una particolare cura dei dettagli. Tutti e due sono stati restaurati per l'occasione e sul Filippo II "in civile" l'intervento ha eliminato le forti ridipinture che appiattivano lo sfondo recuperando "a pieno la potenza dell'immagine che si staglia con imponenza davvero regale". Sono modelli di rappresentazione aulica, esaltazione della dignità regale in cui Tiziano interviene idealizzando i modelli "senza appariscenza". Da questi dipinti non si ricava certo che Filippo II era il "robusto individuo di media statura". Fra i due quadri la prima delle straordinarie sculture, i busti sparsi per la mostra: questo Filippo II in armatura (forse di Pompeo Leoni) è scolpito in un unico blocco di alabastro.

Sulla parete opposta si guardano in cagnesco i grandi avversari, Spagna e Francia, che hanno dominato e messo a ferro e fuoco l'Europa. Carlo V quasi dimesso nel ritratto a mezzo busto, ma che la pulitura (sempre per la mostra) ha liberato di pesanti ridipinture facendo rivivere molti particolari come lo straordinario riflesso di un tramonto infuocato. E le indagini scientifiche hanno rivelato il lungo lavorio sul volto. Accanto, Francesco I in un costume sontuoso. Nonostante la resa naturalistica, il modello fu una medaglia di Benvenuto Cellini, di profilo. Tiziano aggiunse una leggera torsione che "emana dinamismo, fierezza e magnificenza". Il ritratto (dal Louvre) diventerà il punto di riferimento per i successivi ritratti da parte degli altri artisti.

In fondo alla grande sala, il famosissimo dipinto di Paolo III Farnese con i due nipoti. Per la mostra è stato restaurato, ma l'impressione sgradevole è di colori sbiaditi. E allora bisogna ricordarsi che il quadro è un "non finito" nel senso brutale del termine. Non un "non finito" secondo la volontà dell'artista, ma un non finito perché l'artista è stato fermato dal committente al quale non andava il quadro come lo stava dipingendo Tiziano. A fermarlo fu il cardinale Alessandro che nel dipinto fa la figura dell'uomo forte, destinato a grandi traguardi con quella mano saldamente sullo scranno del papa. Probabilmente ha avuto timore delle reazioni del papa ritratto da Tiziano come un uomo più che vecchio (aveva d'altra parte 77 anni), debole e nello stesso tempo attaccato al potere con quella mano afferrata al seggio, e delle ire del fratello Ottavio, ripreso con colori che ora risultano quasi lividi e quel ginocchio che si flette in atto di sottomissione. Sia pure al papa zio, ma non sono aspetti che si rappresentano in un dipinto di puro potere, il potere che sta passando e il potere futuro. Il fatto che non sia finito aggiunge qualche problema alla pellicola pittorica.

L'intrinseca debolezza del papa viene esaltata dai due busti in marmo lunense e alabastro orientale, ai lati del dipinto, in cui Paolo III appare come affossato dal piviale pontificio arricchito da figure, pesante come una armatura su quel corpo fragile. Sono tutti e due di Guglielmo Della Porta.

Dopo le prime rappresentazioni di potenti, ecco l'autoritratto di colui che rappresentava i potenti e che "i potenti teneva a bada" - osserva Spinosa - ricordando che fu Carlo V a chinarsi per raccogliergli il pennello caduto. Ecco Tiziano "fiero e altero", con l'elegante abito appena accennato con i colori, come le collane d'oro, che guarda fuori campo. Non ha segni distintivi della professione perché i pittori non sono più artigiani, ma svolgono un ruolo sociale da intellettuali. L'autoritratto viene dai musei statali di Berlino ed è uno dei quattro dipinti della mostra rientrati per la prima volta in Italia dopo tempo immemorabile.

Dalla terza saletta all'ultima (la 15), è una sfilata diritta, un incedere fra grandi e grandissimi personaggi, come in una lunghissima galleria-quadreria di un castello. Ad una estremità papa Leone X Medici che aguzzando la vista potrà bearsi della Danae nuda all'altra estremità. Tiziano l'ha ripresa nel momento in cui Giove scende per unirsi a lei sotto forma di pioggia d'oro. Solo un peccato in più di quel papa gaudente e dissipatore di sostanze, mecenate e bibliomane, che deve farsi perdonare anche di aver portato all'eccesso la vendita delle indulgenze, aspetto non irrilevante (e di altissima presa popolare) per la riforma protestante.

Papa Leone inaugura la serie dei "volti del potere" con cardinali, sovrani, principi, nobili che vivono accanto ai troni. Leone X è con due cardinali, tipico esempio delle belle famiglie dei principi italiani che finivano tutte nelle materne braccia di Santa Romana Chiesa che così puntellava il potere temporale. Quello a sinistra, con l'aria più sveglia, è Giulio dè Medici (futuro papa Clemente VII), figlio illegittimo di Giuliano dè Medici, quello a destra è Luigi dè Rossi, figlio di una sorella naturale di Lorenzo il Magnifico.

Il grande quadro è opera di Andrea del Sarto ed è una copia del celebre quadro di Raffaello (e bottega) del 1518 di Palazzo Pitti. Una copia opera di un grande pittore e con dietro una bellissima storia con la quale Giorgio Vasari andò a nozze nelle sue "Vite". Il quadro di Raffaello venne richiesto ai Medici da Federico Gonzaga, signore di Mantova, che furbescamente passò attraverso Clemente VII. Il papa ordinò di eseguire il desiderio del Gonzaga a Ottaviano dè Medici il quale invece si pose il problema di non depauperare Firenze di un'opera di Raffaello. Andrea del Sarto, chiuso a palazzo, fu quindi incaricato di eseguire una copia segreta e identica nelle dimensioni e nei particolari. Non sappiamo se Andrea era a conoscenza della destinazione della copia e perché doveva essere veramente indistinguibile, ma certamente fu sollecitato da quel duello anomalo con Raffaello e diede il meglio di sé. Il dipinto fu riprodotto "insino alle macchie di succido" e partì per Mantova dove venne accolto come l'originale da Federico Gonzaga, e questo passi, ma anche dal pittore di corte Giulio Romano, che al quadro aveva lavorato nella bottega di Raffaello e che non poteva certo sbagliarsi perché affermava di poter riconoscere le proprie pennellate. Qualche anno più tardi, Vasari, altissimo "gazzettiere" di Firenze, non resistette alla tentazione di spifferare il tutto a Giulio Romano che, sportivamente (e deve essergli costato molto) espresse tutta l'ammirazione per Andrea del Sarto.

Il papa è ritratto con il volto flaccido, espressione del tenore di vita che gli accorciò l'esistenza e che fa rimpiangere il volto emaciato, spirituale, di Paolo III; i particolari dei rilievi del damasco color crema, le luci e le pieghe della mozzetta rosso cupo, del campanello d'argento; il pomello della seggiola che come uno specchio riflette quello che è attorno. I critici moderni trovano "una minore fluidità e naturalezza nella composizione e stesura dei colori".

D'angolo è il curioso ritratto di Clemente VII, un "non finito" per volere dell'artista, Sebastiano del Piombo, un abbozzo, con esecuzione sintetica di alcuni particolari. Il papa è con la testa "mozzata", con la barba che fu il suo non grande voto fino alla morte, in occasione del Sacco di Roma e del salvataggio in Castel Sant'Angelo.

Il nipote forte di Paolo III lo ritroviamo potente cardinale poco più che quarantenne nel dipinto di Raffaello in uno squillante ritratto tutto rosso che spicca ancora più per il fondo scuro con una finestra su di un paesaggio. Alessandro Farnese era allora (1510) il culmine della famiglia. Prima solo attribuito a Raffaello, il ritratto viene riconosciuto a Raffaello per la qualità molto alta di alcuni brani, "l'intensità e il rigore classico del volto, la bella invenzione spaziale della mano destra protesa" con la lettera, la "fattura raffinata del paesaggio". Non lasciatevi sfuggire il gioco di luci e ombre sulle dita e fra le dita della mano e sul dorso della lettera.

Un ritratto emozionante per il significato dell'iconografia molto rara è quello del cardinale Filippo Archinto, amico di Ignazio di Loyola e del futuro Pio V, arcivescovo di Milano, sede di cui non prese mai possesso per la delicata situazione politica e poi per la morte a 63 anni nel 1558. Tiziano ha fatto un "ritratto metafisico, modernissimo" osserva Spinosa, con quel velo che nasconde metà del volto del cardinale, a significare che in quel momento era morto. Il restauro al Museum of Art di Philadelphia, ha confermato che il velo è nato insieme al ritratto.

Appoggiato con la destra ad un alto bastone, il petto coperto da due pesanti collane d'oro, cavaliere dell'Ordine di Santiago, Pedro de Toledo sta contemplando la Napoli che ha trasformato, una Napoli che non si vede, al di là del suo sguardo. Tiziano (intervento di seguaci) lo ha ritratto così, conscio e soddisfatto, deciso come dimostra la mano sull'elsa della spada. Sua via Toledo (ora via Roma), suo Castel Sant'Elmo. Spinosa ricorda che, vicerè per 31 anni, dal 1532 al 1553, de Toledo "ha trasformato l'assetto urbanistico della città facendola passare da borgo medievale a metropoli che in Europa aveva una popolazione inferiore solo a quella di Parigi i cui abitanti erano distribuiti in piano mentre quelli di Napoli erano sistemati in verticale. Qui si facevano i palazzi in tufo, qui sono nati i grattacieli". Il dipinto, della Pinacothek di Monaco, è stato restaurato per la mostra.

Personaggio dalla vita più che avventurosa, sguardo fiero, minaccioso (come indicano spada e lancia impugnate), con una punta di beffardo. Ecco i sentimenti che Tiziano coglie nel 1533 sul volto del cardinale Ippolito, figlio naturale di Giuliano dè Medici. Molto poco uomo di Chiesa, molto avvezzo a donne, vino e armi, con una sua corte. Si fa ritrarre in un costume "alla ungheresca" (e sotto l'armatura), di velluto color amaranto, poiché l'Ungheria era stata la scena di una sua impresa contro i turchi senza dimenticare quella più romantica e vittoriosa contro il corsaro Barbarossa sbarcato per rapire Giulia Gonzaga, contessa di Fondi, considerata una delle donne più belle (e sagge) del Cinquecento. L'"impresa" della contessa fissa la piuma del cappello nel dipinto di Tiziano a ricordo di una storia d' amore "breve e intensa". Fu fatto avvelenare da un cugino, duca di Firenze.

Se quelli di Filippo II sono "ritratti di Stato", a figura intera, in piedi, questo, sempre di Tiziano, del marchese d'Avalos è il vero ritratto "cesareo" secondo modelli romani antichi, ritornato per la prima volta in Italia dal Prado. Titolo "L'allocuzione del marchese del Vasto". Il marchese, mantello rosso cremisi sulla nera armatura, con a fianco il figlioletto che regge l'elmo, sta rivolgendosi alle truppe imperiali in odore di ribellione, fra picche, lance alzate e armati fino al confuso, rossastro, orizzonte. Uno degli armati in primo piano è stato identificato per Pietro Aretino. Napoletano di origine castigliana, Alfonso d'Avalos comandò gli imperiali di Carlo V nella battaglia di Pavia del 1525 in cui fu catturato Francesco I, conquistò Tunisi e nel 1538 divenne governatore di Milano. Commenta Nicola Spinosa: da questo colorismo sensazionale di Tiziano, punto di arrivo cosmopolita, ci accorgiamo quanto impararono Ribera, Luca Giordano, Velázquez, ed anche Caravaggio.

Dopo il volto del potere il volto del sapere (che comprende anche gli artigiani). Ecco uno "straordinario dipinto", "una delle prove più alte di Tiziano", dalla "pungente introspezione psicologica". Il personaggio è il fiorentino Benedetto Varchi, definito la più importante figura di letterato prima di Vasari. Le indagini hanno rivelato che la mano sinistra stringeva un guanto o un fazzoletto mentre ora è in un gesto di distacco e riposo.

Anche Tiziano ha dedicato un ritratto a Baldassarre Castiglione, aristocratico, poeta, diplomatico, uomo d'arme, soprattutto autore, nel 1528, di uno dei libri più famosi del Rinascimento, "Il libro del Cortegiano". Il ritratto, che viene dalla National Gallery di Dublino, non è ricordato come quello di Raffaello, ma è importante perché Baldassarre appare più giovanile ed è raffigurato di spalle, con il volto girato di tre quarti, una posa che Tiziano userà solo in un altro ritratto. Il paesaggio di sfondo è dipinto "in modo molto veloce e sommario" come Tiziano usa essenzialmente nel periodo tardo.

Un altro capolavoro rientrato in Italia dopo tempo immemorabile, dal Kunsthistorisches Museum di Vienna, è il ritratto di Jacopo Strada, opera di Tiziano del 1567-68. Lo studioso di straordinaria cultura, mercante e antiquario per la corte di Vienna, dagli occhi allungati, penetranti, abbigliato in modo sontuoso, è circondato da oggetti d'arte che sta mostrando a qualcuno fuori quadro. Viene sottolineata l'atmosfera e soprattutto la "sensazione di movimento" che dà al ritratto una "vitalità molto ammirata" fin dal Rinascimento. I raggi X hanno fatto scoprire che la tela è di seconda mano: sotto c'era una figura alata.

C'è anche un rarissimo ritratto del Correggio (se ne conosce solo un altro certo, all'Ermitage). Un giovane contornato da cappello e barba neri, concentrato ad occhi abbassati su di un libricino che potrebbe essere il cosiddetto "petrarchino", il libro per eccellenza dei poeti e degli innamorati nel Rinascimento.

In un "insolito formato orizzontale", il giovane El Greco ha ritratto il grande miniatore croato Giorgio Giulio Clovio (il nome Giulio da monaco benedettino era in omaggio a Giulio Romano), che indica una pagina del suo capolavoro, l'"Officium Virginis" posseduto dal cardinale Alessandro Farnese. Sguardo vivo, severità della posa: sono espressioni della "consapevolezza del ruolo intellettuale e morale dell'uomo". Protetto da una teca è il piccolissimo (23 per 16,5 centimetri) autoritratto di un anziano Simone Peterzano, il sempre invocato maestro lombardo del Caravaggio. Importante per la scritta con cui si definisce "allievo di Tiziano". Raro nonostante la fama di ritrattista del pittore.

A Raffaello-Baldassarre è riservata una piccola sala, come per indicare una quota più alta, la necessità di un momento di meditazione (ma senza sedile). La condivide con due Tiziano: il notissimo "Pietro Aretino" e il misteriossissimo "Giovane inglese" detto anche "Il giovane glauco" per gli occhi ancora più azzurri di quelli di Baldassarre, davvero affascinante e non è un caso che di lui si siano innamorate tutte le collaboratrici di Spinosa. Forse raffigura Guidobaldo della Rovere.

Sia pure sotto il vetro con cui il Louvre lo custodisce, nella delicata tavolozza di Raffaello (lo sfondo color marrone dorato; la pelliccia di castoro che nelle pieghe emana riflessi; la giubba nera interrotta dallo sbuffo luminoso della camicia; la barba leggermente rossiccia, piena, non esagerata; il cappello morbido, nero, interrotto col colpo di genio di un taglio che fa entrare il dorato dello sfondo), il volto di Baldassarre emana la tranquillità degli animi forti. Quelli che conoscono e dettano le regole, codificate nel celeberrimo trattato. Il "cortegiano" - ricorda Spinosa - è uomo di garbo, di cultura, sapienza, che sa di pittura, scultura, poesia, musica, e di tante altre arti o saperi, sempre ad esaltazione della figura del principe di cui è al servizio. Concentrato su questi obiettivi, Baldassarre sfugge gli sguardi dei comuni osservatori, e mentalmente sta sottoponendo ad esame il giovane inglese o il giovane duca di Urbino, dal piglio deciso, che la sorte della mostra ha posto alla sua sinistra.

Il ritratto dell'Aretino, il potente e temuto critico e scrittore che non risparmiava maldicenze, amico e protettore di Tiziano, fu inviato nel 1545 dallo stesso Aretino come dono a Cosimo I dè Medici, ma per la gelosia di chi soprintendeva al patrocinio artistico del granduca, il dipinto dopo nove mesi doveva ancora essergli presentato. Tiziano dimostra l'abilità di "dipingere in maniera sciolta, maniera che stava per diventare così popolare a Venezia", con "abbreviazioni e abbellimenti tipicamente veneti". Sarà l'Aretino a convincere Tiziano dell'importanza propagandistica dei ritratti. Per avere i due Tiziano di Palazzo Pitti, Spinosa ha detto che dovrà lasciare per sei mesi a Firenze il "Paolo III con i nipoti", secondo la "legge" di Antonio Paolucci.

Per gli affetti familiari, Spinosa sceglie il grande (due metri di altezza) "Guidobaldo della Rovere col figlio" ripresi in piedi, a tutta figura dal Tiziano, da anni pittore per i signori di Urbino che gli acquisteranno fra l'altro la celebre "Venere di Urbino" degli Uffizi. Il padre duca impettito (l'elmo piumato e i bastoni del comando su di un tavolo), fissa l'osservatore. Il figliolo bimbetto che è accanto all'armatura del padre per terra, è la parte migliore del quadro. Volge uno sguardo di protezione, quasi implorante verso il genitore di cui cerca la mano che invece continua a rimanere in posa.

Spinosa sceglie anche uno straordinario dipinto del bresciano Moretto, "Gentiluomo con cappello piumato" che raffigura forse il conte Martinengo, e realizzato nel 1535-1540. Fu il primo dipinto del Moretto (Alessandro Bonvicino) ad entrare nel 1858 alla National Gallery di Londra. Viene da affondare la mano nei due morbidi bordi della pelliccia di ermellino che dividono il dipinto. Una tavolozza delicata e viva fra oro, amaranto, rosa. Il giovane ha un volto sognante, uno sguardo perso. Sotto la tesa del cappello nero decorato con piuma di struzzo, un cartellino riproduce un motto in greco, "una specie di lamento amoroso". Le due monete antiche d'oro sul tavolo fanno pensare agli interessi antiquari del personaggi, ma potrebbero far pensare alle due ultime monete rimaste ad un personaggio dai troppi languori.

Non si può fare a meno di osservare le due tele di Bernardo Castello anche perché sono le più grandi della mostra, alte quasi tre mesi e strette ( 90 centimetri). Rappresentano due personaggi della famiglia De Franchi, in ginocchio, in pose imposte, ma soprattutto schiacciati dalle enormi figure di David e Mosè alle spalle. Non si discute la qualità di Bernardo Castello, esponente di punta della Genova di fine Cinquecento-inizio Seicento, ma l'artificiosità voltata al grottesco dalla mano di Mosè sul petto che, rivolto al David di cui è pendant, sembra dire "Lascia fare a me".

Due rappresentazioni sopra le righe, ma di stile, che ci fanno ricordare le immagini enormemente sopra le righe di Mike Myers, Simon Lebon, Tommy Lee, Naomi Campbell, Eminem, Marilyn Manson, ed altri "V. I. P", i ""Very Important Portraits" di David LaChapelle, fotografo "fra i dieci migliori del mondo", che sono ospitati a Capodimonte al piano sottostante la mostra di Tiziano & C.

Ora Spinosa ha fretta perché vuole arrivare in fondo, alle due ultime sale. Uno sguardo alla triste giovane Francesca Capponi che il Pontormo ha dipinto con colori acidi (e vari pentimenti sulla figura) come Maria Maddalena col turbante e poi quello che si può definire il trionfo delle donne. L'ultimo potere forte in mostra: donne particolari, molto diverse dalle duchesse, principesse, marchesi, mogli del potere che si sono ammirate nelle sale precedenti, strette in vestiti sontuosi dai bottoni d'oro, simbolo del loro stato e funzione, abiti coloratissimi, chiusi come armature, opere di Bronzino, Barocci, Lavinia Fontana, Scipione Pulzone, Savoldo, Bernardino Licinio. Qui è il trionfo della bellezza per la bellezza, accompagnata da sensualità o erotismo, con quei corpi aperti che si alzano da letti sfatti, stringendo, coprendosi-scoprendosi con coperte di damasco. I prototipi delle donne di inizio Cinquecento, bionde (di biondo miele), sode non grasse, camice discese al punto giusto, braccia nude (considerate altamente erotiche nella Venezia del Cinquecento, segno distintivo di attrazione come ricorda Spinosa), sguardi accoglienti.

La "Flora" di Tiziano (dagli Uffizi, copertina della mostra) presentata come "forse l'esempio supremo di un genere che si sviluppò a Venezia agli inizi del XVI secolo in cui si mostrano belle donne". Sì i grandi occhi scuri, i riccioli, la sottoveste sprofondata, la pelle luminosa, ma apprezzate la minuscola "Natura morta" stretta nella destra, con una rosellina, un paio di fiori, qualche foglia, un anellino con gemma. La "Giovane donna" di Paris Bordon dal prototipo del Tiziano, si inserisce nel filone spesso definito "ritratti di cortigiana" come la donna dai capelli biondi sciolti e i seni scoperti, di Palma il Vecchio per la quale però è stata proposta anche l'immagine della sposa che si presenta con i segni della castità, la camicia bianca, e i segni della seduzione al suo sposo.

Sposa senza dubbio è la "Giovane donna con cagnolino" dal Museo Thyssen-Bornemisza di Madrid. Uno dei rari ritratti femminili da cavalletto di Paolo Veronese (che, anziano, deve essersi fatto aiutare dal giovanissimo figlio Carletto). Vestita di tutto punto, dal collo ai piedi che non si vedono, di una eleganza austera, senza gioielli, a dominanti azzurri e bianchi, un cagnolino impaurito e spelacchiato accanto (simbolo di fedeltà) e un libricino in mano (segno di "attitudini virtuose"). Nel complesso un'aria di "raggelata mestizia".

Giovane misteriosa, elegante, raffinata (la perla posta sulla discriminatura dei capelli), con una martora sulla spalla dai minuscoli, precisissimi, denti affilati, tenuta a bada da una catenella infilata nel muso. Questa l'apparizione del Parmigianino in mostra. Il sottotitolo evoca "L'Antea", celebre cortigiana vissuta a Roma nella prima metà del Cinquecento e amante anche del cardinale Alessandro Farnese. Una identificazione che viene contestata, ma poiché nulla è codificato, Parmigianino avrebbe avuto ordine di rendere l'Antea non riconoscibile (immediatamente). E il pittore l'avrebbe idealizzata ingentilendo i tratti del volto.

La trasformazione sarebbe definitiva nel dipinto successivo col quale si chiude la mostra. L'Antea avrebbe fatto da modella anche alla "Danae", per la quale entra però in concorrenza la "Giovane donna" sempre del Tiziano ed esposta accanto. Un'altra cortigiana di nome Angela, ugualmente molto cara al cardinale.

La "Danae" è uno dei dipinti più famosi del Tiziano e del Rinascimento, gioiello di Capodimonte. E gioiello del cardinale Farnese che se la teneva nella "camera segreta" a Palazzo Farnese. Quando il nunzio papale a Venezia, Giovanni Della Casa, aggiornò il cardinale sul lavoro del Tiziano sulla "Danae" così scrisse: "Sta lavorando ad una nuda che faria venir il diavolo addosso al cardinale San Sylvestro" (il domenicano Tommaso Badia, uno dei principali censori della curia). E che la "Venere di Urbino" "è una teatina" (una suora) "appresso a questa".

Probabilmente la "Danae" che ammiriamo è stata resa ancora più mitologica rispetto al nudo che stava uscendo dalle mani di Tiziano, e questo su richiesta del cardinale per mettersi al riparo da eccessive critiche. Fatto sta che le indagini scientifiche hanno rivelato pentimenti e aggiunte come il drappo sulle gambe. E anche di Angela sarebbe stato ingentilito il volto per renderlo meno riconoscibile. Meno riconoscibile, non meno bello.

di Goffredo Silvestri

Notizie utili - "Tiziano e il ritratto di corte da Raffaello ai Carracci". Dal 25 marzo al 4 giugno. Napoli. Museo di Capodimonte. A cura di Nicola Spinosa. Progetto e realizzazione soprintendenza speciale per il polo museale napoletano. Promossa dal ministero per i Beni e attività culturali e dalla Regione Campania. Sponsor Compagnia di San Paolo. Catalogo Electa Napoli. Organizzazione Civita.

"David LaChapelle. V. I. P. Very Important Portraits". Dal 24 marzo al 5 giugno. Museo di Capodimonte. A cura di Adriana Rispoli, Eugenio Viola.

Orari: 8,30-19,30 (biglietteria chiude un'ora prima). Mercoledì chiuso.

Biglietti: intero 10 euro; ridotto 5 (il biglietto comprende la visita del museo e delle due mostre); ridotto gruppi mostra-museo 7 euro e 25 di prenotazione obbligatoria (minimo 20 persone, massimo 30). La mostra rientra nel circuito Campania Artecard.

Informazioni e prenotazioni: singoli e gruppi adulti 848 800 288 - + 39 06 39967050; scuole + 39 081 7410067

(29 marzo 2006)

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