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«live Aid» Nella Città Devastata Dall'uragano

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L'EVENTO - Due weekend tra spettacolo e solidarietà, da venerdì oltre 600 artisti si alterneranno su 12 palchi

«Live Aid» nella città devastata dall'uragano

DAL NOSTRO INVIATO

NEW ORLEANS — «We shall overcome», «Noi trionferemo», ruggirà fra poche ore il Boss. Proprio quelle, le note di cent'anni fa, il gospel intonato nel 1900 dal figlio della schiava, Charles Tindley, e poi trasformato in bandiera da Martin Luther King. «Noi trionferemo», cioè: «non ci siamo arresi». Poi impazziranno i banjos e le fisarmoniche cajun, fra migliaia di barbecue trafitti di granchi azzurri, nel profumo del gin e delle magnolie, e salirà al cielo il grande blues della città annegata ma non sconfitta. «We shall overcome», ruggirà e sussurrerà Bruce Springsteen: dimenticare l'uragano Katrina, sull'onda della musica e non più del fango. Sarà difficile, ma è venuto il momento di provarci.

Questa, almeno, è la scommessa di New Orleans, e del suo Jazz and Heritage Festival; che torna in questo fine-settimana, da venerdì e poi ancora nel primo weekend di maggio, con il Boss e altri 600 musicisti, su 12 palchi e ogni sera in tutte quelle strade che 8 mesi fa erano piene di melma e di cadaveri: canteranno i più grandi di oggi, le band più famose, cuori neri e bianchi del Sud e di tutta l'America, rock e pop e blues e country e salsa, e jazz freddo e caldo e di ogni possibile temperatura cromatica, da Springsteen a George Coleman a Bob Dylan e a Fats Domino, da Paul Simon a Lionel Richie, a Herbie Hancock e Jimmy Buffett, ai Little Feat e alla Dave Matthews Band, dall'africana Angelique Kidjo ai mostri sacri della Preservation Hall Jazz Band (come dire la Bibbia del jazz tradizionale o i suoi Globetrotter in marsina, con la tazza fumante di «gumbo» e il bicchierino ispiratore di «Southern Confort» ai piedi del contrabbasso). Sponsor miliardari hanno investito in tutto questo milioni di dollari, e molti in Louisiana come a Washington si giocano qui la faccia: perché il festival ritorna ogni anno, ma quest'anno sarà diverso da tutti gli altri, e non c'è nessuno che possa nasconderlo. Sarà -o cercherà di essere- musica pura ma anche solidarietà, un «Live Aid» e soprattutto uno scossone psicologico a gente che si dichiara, e si sente, abbandonata.

New Orleans, «Big Easy», il luogo dove la vita sembrava così facile, è ancora una città malata. Il vecchio motto «laissez les bons temps rouler», «fate largo al divertimento», sembra dimenticato per sempre. Otto mesi fa, al tramonto del 23 agosto, pochi fiocchi di vapore diventarono rapidamente un bastione di acqua, di vento e di tuono sull'orizzonte delle Bahamas. Il bastione avanzò. Una settimana dopo, in un tracollo di inefficienza e di panico, l'America — e George W.Bush — facevano i conti con il peggior disastro della storia nazionale: 1604 morti, 705 uomini e donne tuttora dispersi, l'80 per cento degli abitanti — 1,3 milioni di persone — evacuati in altre città anche a mille chilometri di distanza, saccheggi e danni per oltre 75 miliardi di dollari; un mito umiliato, una poesia calpestata, un sogno divenuto incubo, e un sospetto mai morto: che nella terra fradicia dai molti poveri, e dai molti neri, dal molto folklore e dalle poche garanzie sociali, lo zio Sam si fosse voltato dall'altra parte.

Un terzo delle periferie di New Orleans non ha ancora la luce elettrica, i senza lavoro e i profughi nelle motor-home sono ancora decine di migliaia. Basterà la musica a far dimenticare tutto questo? Forse no, ma lo sforzo sarà grande.

A cominciare dalla zampata del Boss: «We shall overcome: The Seeger session» è il titolo scelto da Springsteen per il suo ventunesimo assalto al cielo, cui partecipa una band gospel-blue-folk di 17 membri. E' un omaggio al glorioso Pete Seeger, 87 anni, ugola e cuore della musica di protesta. Note di fame, di rabbia e d'amore, dalla Pasqua di sangue di Dublino agli altoforni di Pittsburgh. Canzoni, come ha scritto Springsteen, «da angolo della strada, da salotto, da taverna, da distese desolate,dacirco,da chiesa, da fogne».

Il tour sbarcherà presto in Europa, con 10 concerti (il 12 maggio a Milano, al Datchforum). Ma non è certo un caso che parta proprio qui e ora, dalla città stanca delle magnolie. «I'm gonna cry for Luisiana…», «Piangerò per la Louisiana, piangerò per New Orleans…», canta Joe Grushecky, il grande amico del Boss. «Dicono che l'acqua stia salendo... Aggrappati ad un tetto, preghiamo che qualcuno venga a salvarci, che qualcuno ci dica la verità». La verità di New Orleans, forse, la saprà dire la musica, per una volta ancora.

Luigi Offeddu

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New Orleans sogna cantando con Dylan Un coro di oltre 100 mila persone per la città devastata da Katrina

NEW ORLEANS — Odor di alligatore fritto, un coltello piantato fra le corde della chitarra a stirarmeglio le note, un'asse da stiro che fa da marimba, tre scatole di sigari trasformati in banjos e violini, e lì accanto il nonno Robert Zimmerman—più noto come Dylan — che miagola: «Crash on the leeve, mama…», «spacca l'argine, mamma, l'acqua traboccherà e la palude salirà», ma se non te ne andrai dal vecchio Mississippi «everything is gonna be all right», tutto andrà bene. Bisogna sperare ancora, come 150 anni fa sperarono gli antenati schiavi e le sirenette creole di Prytania Street, nei bordelli dove il ragazzino Dylan sognò un giorno di fare il pianista, e poi nel 1964 compose «Mr.Tambourine Man», e lui lo ricorda anche adesso, mordendo l'armonica.

LACRIME AGLI OCCHI—Bisogna sperare ancora, cantano in centomila, e molti hanno le lacrime agli occhi, ricordando chi è stato portato via dalla palude: come lo zio Joe che qui friggeva ogni anno i pomodori verdi e le polpette di alligatore con jalapenos e cipolle, cantando «Another half a pint», dammi un'altra pinta, con la stessa vocetta da rospo nostalgico di Sonny Boy Williamson; Joe non c'è più, è uno fra i mille «missing», scomparsi nel fango. Eppure «all right», anche nel loro ricordo, perché questo è ancora una volta il Jazz and Heritage Festival, 600 zingari del pentagramma tutti insieme, inno alla città dove «una cronica melanconia gronda dagli alberi », come dice sempre Dylan; e questa è ancora New Orleans, otto mesi dopo il disastro. E la sua grande musica è ancora qui, non è stata spazzata dall'acqua come altre certezze. «All right», andrà bene, anche se «che gran mi****ta sei stata, Katrina », strimpellano i menestrelli dello swamp-rock— il rock delle paludi — e dell'antico spasm-jazz, Katrina femmina malfidata come tutti i brutti uragani battezzati dai meteorologi. Andrà tutto bene, anche se fra un mese, il 1˚ giugno, ricomincia la stagione degli uragani e le autorità confessano «siamo molto preoccupati»; anche se a centometri da qui si vedono montagne di rifiuti e migliaia di auto e case abbandonate, le botteghe di gamberi e «jambalaya» sprangate come tombe e i padroni che ancora vagano intorno, insieme ai topi; «all right», anche se poche ore fa George W. Bush è passato di corsa e quasi in segreto: e anche se da Washington il Senato ha appena deciso: la Fema, l'agenzia federale della protezione civile che lasciò agonizzare «Crescent City», la città magica della mezzaluna, va cancellata per sempre, inutile rianimarla.

CONTAMINAZIONI — Il festival è tornato come antidoto, e ribellione, a tutto ciò. Ed è il festival di sempre: musica e cultura di tutte le anime, aperta a tutte le contaminazioni, distillato delle leggende, paure e speranze di quello che è stato definito come il luogo più spirituale di tutta l'America. Nella prima giornata, in Congo Square e in ogni angolo dello stadio FairGrounds, sotto il sole tropicale, si è già visto e ascoltato di tutto: file di chilometri ai cancelli, gente di tutti i colori e tutte le età; e nell' aria calda unmiscuglio di incanti voodoo, serenate cajun, sospiri del blues classico, rurale, urbano, cavalcate martellanti sulle 12 battute delle tastiere boogie, goliardate dell'hip- hop, meditazioni del jazz arcaico o sperimentale, ubriacature di salsa e merengue.

VOODOO E FUNK — Dylan, certo, con il dipanarsi roco e sornione dei suoi ricordi: oh baby, torno a New Orleans «cercando di entrare in paradiso prima che chiudano le porte». Ma anche poeti al confine acrobatico fra voodoo, funk e rithm and blues, come Dr.John — all'anagrafeMalcolm Rebennack — pianista bianco ma dal nerissimo Dna musicale, venerando hippy che nei Mardi Gras di mezzo secolo ha saputo infilzare incredibili spiedini fatti di acid-rock californiano emistica hare-krishna, di nenie libanesi e dance-music, il tutto condito dal pepe dolce del rithm and blues; o David Egan, pianista amato da JoeCocker, Etta Jones e John Mayall, che ha appena firmato tre canzoni per «After the rain» di IrmaThomas e insieme ha sconfitto il suo uragano personale, un terribile cancro con qualche anno di lontananza dai palchi; o ancora il principe (e premio Grammy) della mistica cajun, Michael Doucet con i suoi BeauSoleil; o Ani DiFranco, icona rock femminista, un graffio da pelle d'oca nel cielo; e il funk latino-newyorchese degli YerbaBuena; e il gospel sornione, felino, di Cynthia Liggins-Thomas; o il matrimonio fra salsa e jazz latino-caribico di Vivaz. Tutti in campo — s'è visto anche The Edge (U2)—contro la memoria nera di Katrina. Perché, come dice un celebre ritornello di NewOrleans, «meet ya…», «ci incontreremo laggiù a mezzogiorno e io sarò quello con un pappagallo sulla testa e una birra in mano».

Luigi Offeddu

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Musica, Toussaint-Costello: una collaborazione nata da Katrina martedì, 2 maggio 2006 10.05

NEW ORLEANS (Reuters) - E' una collaborazione che è cresciuta dall'uragano Katrina, quella tra Elvis Costello e la leggenda di New Orleans Allen Toussaint, che ora hanno cementato il loro rapporto con canzoni che hanno conquistato il cuore della città.

Si sono esibiti insieme domenica davanti a decine di migliaia di fan riuniti per applaudire Toussaint, conosciuto per una serie di successi rhythm and blues degli anni 60 e 70, e il suo nuovo partner musicale, Costello.

Toussaint, pianista e cantate che ha scritto classici come "Working in a Coal Mine" e "Fortune Teller", registrata dai Rolling Stones, è molto attivo nel fornire aiuti ai sopravvissuti della sua città, devastata dall'uragano lo scorso 29 agosto.

Il disastro ha sparpagliato gli artisti locali in tutti gli Stati Uniti e ha lasciato molti con la preoccupazione che il ricco patrimonio musicale di New Orleans potesse essersi danneggiato irreparabilmente.

Il produttore del Jazz Fest Quint Davis ha descritto il festival di quest'anno come un atto di sfida per New Orleans e i fan della sua musica.

"THE BOSS" RENDE OMAGGIO

Il festival è iniziato nel fine settimana.

I fan sono andati in delirio domenica per Bruce Springsteen e la sua Seegar Sessions band. "The Boss" ha reso omaggio all'eredità musicale di New Orleans, definendola "la grande città madre della musica americana".

Toussaint ha giocato un grosso ruolo in tutto ciò. Come per molti suoi concittadini, la sua casa è stata distrutta dalle inondazioni causate da Katrina e la sta ricostruendo. Ma la sua produzione musicale non ha rallentato, come dimostra il suo lavoro con Costello.

E' andato a New York dopo l'uragano e si è esibito in alcuni concerti di beneficenza per le vittime di Katrina con Costello, che ora sta pensando di registrare un cd con le canzoni di Allen Toussaint e di presentarsi regolarmente al Joe's Pub di New York, dove Toussaint si esibisce per i brunch domenicali.

"Pensa che dovremo usare questo momento per lavorare insieme", spiega Toussaint.

Il risultato è un album, "The River in Reverse", che dovrebbe uscire a giugno e rappresenta la prima volta dagli anni 50 che Toussaint ha collaborato sulla composizione.

"Ho imparato che il cuore di Elvis è grandissimo. E' l'uomo più sincero sulla musica, l'arte, le persone e la nostra situazione qui", ha detto.

"Questo non è un solo un album su Katrina, va oltre Katrina".

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Il primo concerto del tour al Jazz and Heritage Festival

Springsteen canta la rinascita di New Orleans

Eseguite le canzoni del nuovo album «We Shall Overcome - The Seger Sessions» e un brano scritto durante la Grande Depressione

NEW ORLEANS - Dopo Bob Dylan, anche Bruce Springsteen rende omaggio a New Orleans e ai suoi abitanti. Nella città sconvolta dall'uragano Katrina, diventata per i critici dell'amministrazione Bush il simbolo del disinteresse e delle inefficenze della Casa Bianca, il Boss ha affrontato il primo concerto ufficiale (dopo alcune anteprime) del suo tour che segue l'uscita dell'album «We Shall Overcome - The Seeger Sessions». In Italia (dove il cd appena uscito ha raggiunto il primo posto in classifica) l'unica data del tour sarà a Milano il 12 maggio.

Per la sua prima, il Boss, accompagnato dai 18 elementi della band formata per l'occasione, ha scelto volutamente il palco del New Orleans Jazz and Heritage Festival, quest'anno meta di altri grandi del pop e del rock, come Dylan, appunto, o Dave Matthews, giunto nella capitale della Louisiana anche con un contributo sostanzioso in dollari per la ricostruzione. L'attesa per l'esibizione di Springsteen era grande, non soltanto da parte dei suoi storici fan. Le posizioni assunte da Springsteen durante l'ultima campagna elettorale e la stessa scelta di dedicare un album alla tradizione del folk sociale e politico , ne hanno fatto un interprete scomodo per l'amministrazione Usa e sempre più popolare (in tutti i sensi, anche per le scelte musicali) tra il pubblico. Lo spettacolo non ha tradito le attese.

CANZONI - Springsteen ha cominciato con la sua versione dello spiritual «O Mary Don't You Weep», ancora più «gospel» che nel cd. Il Boss ha eseguito tutti i brandi dell'album e due versioni di suoi brani: «Johnny 99» nello stile di una street parade di New Orleans, e una «My city of ruins» ovviamente molto sentita dal pubblico. In più, Springsteen ha introdotto per l'occasione nel set un brano che era stato preparato ma poi non inserito nel cd: «How Can a Poor Man Stand Such Times and Live». Si tratta di una canzone di Blind Alfred Reed, scritta nel 1929, all'inizio della Grande Depressione e già ripresa in passato anche da Ry Cooder. «Ricordo un tempo - dicono i primi versi della canzone - quando ogni cosa era abbordabile, ora i prezzi quasi stendono un uomo. Quando tiramo fuori il conto della drogheria, è come se facessimo testamento. Dimmi, come può un uomo affrontare questi tempi e sopravvivere?». Springsteen ha aggiunto dui suo due nuove strofe alla canzone.

How Can A Poor Man Stand Such Times And Live?

SPERANZE - Dal palco il Boss ha raccontato della sua impressione nel vedere i quartieri ancora distrutti di New Orleans. Ma le canzoni che ha presentato hanno un denominatore comune: la speranza, la voglia di riscatto. «We shall overcome» (noi trionferemo) ne è l'esempio più eclatante. Per questo, raccontano le cronache, quando durante l'esecuzione di «My Oklahoma Home» i nuvoloni neri che minacciavano tempesta si sono aperti e poi allontanati lasciando spazio al cielo sereno, più d'uno ha pensato che non fosse una coincidenza. «Così si conclude il primo weekend di risurrezione di New Orleans» ha detto lo speaker alla fine. Un'immagine mistica, forse, ma secondo chi c'era, molto vicina al sentire del pubblico del festival di Big Easy.

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