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Dr. Jekyll

Google Ora è Un Verbo

4 messaggi in questa discussione

Londra - L'ultima edizione dell'Oxford English Dictionary, prestigiosa autorità linguistica per quanto riguarda l'Inglese, Google è diventato talmente popolare da meritare d'essere incluso nell'ultima edizione del dizionario.

Il verbo to Google, traducibile in Italiano con il cacofonico inglesismo "Googlare", è diventata l'espressione che indica l'uso del celebre motore di ricerca.

Il verbo ha valore transitivo, to Google something, nel senso di "usare Google per cercare qualcosa su Internet", oppure intransitivo, inteso come "effettuare ricerche d'informazioni su Internet grazie a Google". Fino a questo momento il verbo che si rifà al nome della creatura di Brin e Page ha avuto un uso legato quasi esclusivamente alla realtà dei blog e degli addetti ai lavori.

Le generazioni di utenti più giovani, nel Regno Unito così come negli USA, utilizzano già da molti anni to Google. Il passaggio da espressione gergale ad espressione accettata dall'Oxford English Dictionary è un segno di grandioso successo per l'azienda californiana: se il termine "Google" è entrato ufficialmente a far parte della lingua più parlata al mondo, soprattutto in ambito tecnologico, aziendale ed accademico, è segno che il numero di utenti familiari col brand di Mountain View sono davvero un numero impressionante.

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io googlo

tu googli

egli googla

noi googlamo

voi googlate

essi googlano

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Google diventa verbo. Ufficialmente...

Finora faceva parte solo della lingua parlata, per gli anglofoni. Da adesso, invece, è anche nei dizionari. Il prestigioso Merriam-Webster's Collegiate Dictionary lo include tra i verbi, e il rischio adesso è quello di perdere l'identità come brand.

di Antonio Dini

( 10-07-2006 )

C'è un paradosso odioso nel successo, soprattutto in quest'epoca in cui se fosse possibile le grandi aziende registrerebbero anche l'aria che respirano i suoi manager (per non farla copiare agli altri). Quella di diventare talmente popolari da essere accettati come un termine in uso nella lingua, e come tale diventare meno tutelabili da parte della concorrenza.

Avete presente Ferodo, oppure Xerox, persino Walkman? Certo, sono tutte parole di uso comune (anche iPod, con mille grafie spesso sbagliate), ma dietro c'è di più. Sono anche parole entrate nel lessico comune, registrate negli autorevoli dizionari, quelli che da noi passano attraverso la fiorentina Accademia della Crusca, incaricata come gli omologhi in altri paesi - più o meno ufficialmente - di vigilare sul corpus vivente di una lingua.

E quando il vergo "To google", cercare sulla rete, diventa effettivamente di uso comune, si aprono strade oscure per le aziende che ne detengono i diritti. Come contrappasso del troppo successo, infatti, si rischia che nascano siti intitolati all'azione, non al sostantivo e nome proprio. Quindi, siti che ti fanno "googlare" e che non possono essere perseguiti da nessuno, perché utilizzano il verbo registrato nell'autorevole dizionario della lingua. E un sito simile distoglie i navigatori, li attrae su altre piste, abbassa il valore digitale, fa diminuire gli introiti: insomma, ci siamo capiti, alle aziende non piace

Lo spauracchio adesso agita i sonni multimiliardari di Sergey Brin e Larry Page, visto che la loro creatura con costoso quartier generale a Mountain View adesso è diventato ufficialmente un verbo in uso nella lingua inglese. E dopo questo, chissà cos'altro potrà succedere. Il troppo stroppia, e l'inflazione del successo può portare a pericolosi paradossi. In un secolo in cui l'immagine conta tanto quanto la sostanza, il nome registrato sul dizionario è pericoloso. La rosa avrebbe lo stesso profumo se si chiamasse in altro modo, certo, ma nessuno può pensare di brevettarne il nome comune però. E qui, cominciano i problemi per i latini e anche per Shakespeare...

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Google contro il verbo "to google"

14/8/2006

di Luca Castelli

To google or not to google, questo è il problema. O per lo meno, rischia di diventarlo per le media company inglesi e americane, che negli ultimi giorni hanno ricevuto una lettera legale dal popolare motore di ricerca, nella quale si ricorda che "Google" è un marchio registrato e non può essere usato come un semplice verbo comune.

La storia è paradossale, nonché paradigmatica della confusione che regna oggi attorno ai concetti di marchio, copyright e proprietà intellettuale. Google è da tempo il motore di ricerca più diffuso su Internet. La sua leadership è tale che ormai sempre più spesso lo si usa come sinonimo di ricerca online, un po' come in passato Kleenex è diventato sinonimo di fazzoletto di carta, Walkman di mangianastri portatile e iPod lo sta diventando di lettore MP3.

Nei paesi anglosassoni è nato anche un verbo, "to google", che viene usato per indicare vari tipi di ricerca online: da quella un po' vanesia relativa al proprio nome, per vedere se la Rete parla di noi, a quella un po' marpiona per sapere qualcosa di più su un potenziale nuovo partner. E che l'uso della parola come verbo sia diventato davvero comune lo ha certificato lo scorso mese il Merriam-Webster, il punto di riferimento per l'inglese parlato negli Stati Uniti, che ha inserito "to google" nel suo vocabolario.

Per molti sarebbe un punto d'onore, evidentemente non per i responsabili di Google. Nelle lettere legali recapitate ai principali giornali si ricorda la natura di trademark del termine e si invita a farne un uso consono, proponendo anche alcuni esempi. "Ho cercato su Google qualche informazione su quel ragazzo incontrato alla festa" va bene, "ho googlato quel figo" assolutamente no.

Secondo qualche commentatore, in realtà le lettere rappresentano un modo scherzoso per mettere le mani avanti in vista di possibili future cause legali. Ma non tutti l'hanno presa bene. In un pezzo abbastanza acido, il quotidiano britannico "The Independent" ha sottolineato l'improvvisa mancanza di humour di un'azienda che per anni ha giocato molto su un'immagine di giovanile anticonformismo e ha ricordato come Google dovrebbe fare molta attenzione quando parla di rispetto della proprietà intellettuale, viste le controversie tuttora legate ad alcuni suoi servizi (Google News e Google Print) che fanno un uso piuttosto disinvolto di materiale protetto dal copyright.

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