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«mozart, Un Povero Grand’uomo». Firmato Leopardi

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DIVENTA UN TESTO TEATRALE LA VITA DI «WOLFANGO» RACCONTATA DA PAOLINA, LA SORELLA LETTERATA DEL POETA

«Mozart, un povero grand'uomo». Firmato Leopardi

4/9/2006

di Sandro Cappelletto

JESI. «La Femina non la voglio letterata», aveva deciso il padre Monaldo. Ma Paolina Leopardi lo deluse e, segretamente, tenacemente, per tutta la vita, scrisse, tradusse, immaginò attraverso la scrittura quegli orizzonti che le erano preclusi dal «soggiorno abominevole ed odiosissimo» di Recanati. La affascinò anche la vita di Mozart: «Lessi la vita di Mozart in francese, una volta, e la ridussi in italiano; poi ad una signora che mi chiedeva qualche cosa da fare un libretto in occasione di nozze, diedi quella, poi la censura di costì ne tolse i più piccanti pezzi e mi fece gran rabbia». Così, in una lettera di poco successiva alla morte nel 1837 del fratello Giacomo e inviata, come tante altre, all'amica Marianna Brighenti, bolognese, soprano di una qualche notorietà, Paolina rivela il proprio lavoro e l'ammirazione «per l'immensità del suo talento e la grandezza del di lui carattere».

Il manoscritto non è mai stato ritrovato, ma l'attribuzione a Paolina appare certa, come testimonia anche la pubblicazione della biografia avvenuta, nel 1997, nella rivista Studi Leopardiani. Quel testo diventa ora la base di partenza per uno spettacolo, Mozart a Recanati, in cartellone sabato al teatro Pergolesi per il Festival di Jesi. Il racconto di Paolina viene accompagnato da commenti di Mozart «immaginati» da Vincenzo De Vivo, mentre la parte musicale è divisa tra Mozart e Lorenzo Ferrero.

Paolina, che amava il teatro e la musica quanto il fratello, al quale sopravvisse oltre trent'anni, non intende esprimere giudizi su Mozart, piuttosto raccontare. Le sue fonti sono certamente La vie de Mozart scritta da Stendhal nel 1814, a sua volta desunta dal Necrologio di Schlichtegroll apparso in tedesco a Praga nel 1793 e qualche anno dopo tradotto in francese. Chissà se ha avuto accesso anche ai Cenni biografici di Pietro Lichtenthal, pubblicati a Milano nel 1816 e rimasti per molti anni l'unica fonte disponibile nella nostra lingua. In ogni caso, la verità le importa poco; lei, che aveva tradotto il Viaggio intorno alla mia camera di Xavier de Mastre, conosce bene l'arte dell'evasione attraverso l'invenzione letteraria. E così confonde Praga con Vienna e Salisburgo, il Danubio con la Salzach, un'opera e una data con un'altra; le interessano di più certi abiti indossati da Wolfango: anche lei, come tutti gli italiani, toglie la «g» di Wolfgang, addolcendo la pronuncia. Le piace molto la sua indocilità nel rispettare gli obblighi «dell'etichetta», lo «vede» mentre ai suoi concerti arriva tanta gente quanta ne va «alla fiera di San Lorenzo». È a conoscenza anche dei «documenti curiosi i quali non si possono leggere senza fare malinconiche riflessioni sul destino di quel povero grand'uomo»: si tratta delle lettere pubblicate, dopo accorta scelta e censura, dalla vedova di Mozart, Constanze Weber. Dunque, Paolina continua a informarsi e riflettere su Mozart in un periodo - gli anni Trenta dell'Ottocento - in cui la sua fortuna nel nostro Paese comincia a conoscere un lungo periodo di appannamento.

Grazie alle lettere fatte circolare da Constanze, Paolina scopre la figura del padre di Mozart, Leopold, che, come scrive Alessandro Taverna in un acuto saggio, «sovrappone implacabilmente a Monaldo». Avari e tirannici tutti e due: «Senza l'avarizia e lo sfrenato amor del guadagno che si palesano ad ogni parola della sua corrispondenza, si proverebbe un vivo interesse per quel padre di famiglia», che con coraggio percorreva l'Europa con quel «fanciullo mostrato ovunque come un fenomeno e suonando il piano-forte presso i grandi signori per una piccolissima retribuzione». Già: a differenza di Monaldo, Leopold almeno amava viaggiare, conoscere, frequentare. Sono questi i passaggi del suo testo che «la censura di costì» giudicò sconvenienti? E quanta solidarietà verso il giovane genio: «Mentre già gli ardeva la fronte per le idee sublimi che gli fermentavano in capo, batté inutilmente ad ogni porta, invano cercando un protettore generoso». Parlando di lui, Paolina racconta di sé, dei propri ardori, delle privazioni, di quel «gran coraggio» sempre necessario a un artista per affermare se stesso. Lo avevano avuto entrambi, Wolfango e Giacomo, capace di lasciare Recanati. Lei no, però aveva trovato il modo di rimediare, anche scrivendo di Mozart e dimostrando di conoscere bene la tecnica dell'intrigo biografico-letterario. Chi è mai quella «nipote di Mozart che trovatasi in Bologna» vuole una copia del suo scritto e la riceve, per portarsela poi in Germania, dalle mani di Giacomo? Evidentemente, non giudicava indegna del nome Leopardi la fatica della sorella?

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