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"il Mio Sogno? Progettare Le Nuvole"

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"Il mio sogno? Progettare le nuvole"

Il Maxxi mette in vetrina i lavori di Fuksas e della sua compagna

FIORELLA MINERVINO

Lo studio è un palazzetto nel cuore di Roma, 70 giovani lavorano frenetici ma con allegria. Fra computer, modellini, disegni si muove Massimiliano Fuksas, architetto italiano tra i più famosi nel panorama internazionale, autore fra l'altro del Polo Fiera Pero-Rho Milano, nonché del Centro Ferrari a Maranello. Il Maxxi, (il Museo Nazionale del XXI secolo) dedica un omaggio speciale, una mostra che lui stesso ha ideato come un'opera, dal titolo «M Fuksas D un sessantesimodisecondo»: una parete di 60 metri con i lavori costruiti nella carriera sua e della moglie Doriana. Infatti nel titolo la M di Massimiliano è accostata alla D di Doriana O. Mandrelli, la compagna di vita e lavoro. Fuksas è nato a Roma nel 1944 da famiglia di origine lituana, è stato fra i protagonisti del '68 a Roma e ha poi trovato all'estero la fama prima di essere reclamato in patria.

Architetto, Lei è uomo del '68, che effetto le fa essere una star internazionale?

«La popolarità di oggi è inaspettata, molto più di quello che potevo immaginare. Nutro repulsione per il potere, prediligo il momento della crisi, il più produttivo, ma vivo la contraddizione. Non credo nella coerenza, ma in ciò che si ritiene giusto senza compromessi, allora si fa una buona architettura. Sono stato fortunato, non ho avuto mai il senso del denaro, non c'è un oggetto che vorrei, possiedo due case al mare e una in campagna. Si è liberi se non si è soggetti al consumismo. Viviamo in un mondo di conflitti, ma nessuno per me è un nemico nella vita. Gli amici del '68 li vedo con affetto, mi resta il ricordo di quando eravamo giovani. Nel 1960 mentre il nostro professore Asor Rosa spiegava che il Manzoni era il grande scrittore popolare, noi leggevamo On the road di Kerouac, Ferlinghetti, Ginsberg. La Beat Generation conosciuta grazie a Fernanda Pivano ci ha cambiato il modo di vedere le cose a 16 anni. Il centro pulsante non era Sartre, ma quell'America. Che era anche i romanzi di Faulkner o i concerti di Miles Davis ascoltare nei viaggi verso la Svezia».

Lei ha costruito poco in Italia e molto all'estero. Quali i motivi?

«In Italia ci vogliono 10 anni, dopo aver vinto un concorso, per realizzare un progetto pubblico. Ora speriamo nel Palazzo dei Congressi a Roma, nato sotto Rutelli. A Strasburgo per costruire un teatro da 10 mila posti ci sono voluti sei mesi. Con i privati è diverso, il Centro Ferrari, le Bolle per la Nardini a Bassano, la Fiera di Milano sono strutture private: lì lavorare è più semplice. Il "pubblico" ha il problema delle infrastrutture, hai di fronte un burocrazia senza Stato, autoreferenziale, che non ha capacità di decisione».

Per quale città preferisce lavorare?

«Roma: mi piace fare progetti e pensare a Roma. È la mia casa. In Francia ho costruito 42 edifici, progetti importanti che si facevano con rapidità, dal concorso al costruito, ma pure lì sta cambiando, come lo Stato. Sto lavorando per l'Università Panafricana per la Mandela Foundation in Nigeria, ad Abuja, progetto che mi appassiona, così come i due grattacieli ideati per Vienna sulle colline, o il water front per Marsiglia, 2 alberghi a Las Vegas. Mi piace anche lavorare a Torino, con Chiamparino stiamo ultimando il progetto di Porta Palazzo, con la Bresso spero si riesca a portare a termine il progetto della Torre per gli Uffici Regionali: 151 metri, sarà più alta di quella che doveva nascere in Borgo San Paolo, sarà costruita nell'area della Fiat Avio. Si sta terminando il master plane, poi ci sarà il progetto definitivo, gli appalti dovrebbero cominciare nel 2007»

Si parla di megalopoli, in tutto il mondo si abbandonano le campagne e crescono le città: è un processo irreversibile?

«Il 60 per certo della popolazione mondiale vive oggi in aree urbane, certo ci sono delle ragioni, e il processo non è reversibile. Nei prossimi anni come architetti dobbiamo fare i conti con questo: importante è conservare però il senso della serenità, ho cercato di farlo nei miei progetti a Milano e e Maranello».

Quali sono i suoi maestri prediletti?

«Louis Kahn che abbiamo sottovalutato per Wright. In Italia Giò Ponti che creava oggetti e grattacieli, poi Nervi. Oggi mi interessano gli artisti o amici come Gehry e Richard Rogers».

Lei ha curato la Biennale del 2000, come giudica le altre?

«Vanno ripensate integralmente, sono antologiche come libri, o solo libri. Oggi la Biennale deve essere irriverente, esplodere, offrire qualcosa che stupisca, dia emozione».

Quale è la sua città ideale?

«Vorrei vivere su un aereo: sono i momenti in cui mi sento tranquillo, vedo le nuvole dall'alto con il tramonto che gli altri non vedono. Vorrei essere come il vento, spostare le nuvole e configurarle come voglio, disegnare nel cielo, spingere la sabbia nel deserto, muovere le onde del mare. Vorrei che l'architettura fosse così».

È soddisfatto dell'omaggio che il Maxxi le dedica?

«Certo, perchè non è postumo, di solito si celebrano le persone dopo la morte, questo è il governo della Repubblica che lo vuole. Qui si celebrano due persone che sono un insieme, mia moglie e io. Voglio continuare quest'avventura rendendola pubblica, lavoriamo insieme da 26 anni. La mostra è una dichiarazione d'amore che ci facciamo, va oltre l'architettura».

FONTE

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