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Intervista A Ludovico Einaudi

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INTERVISTA A LUDOVICO EINAUDI

"Un destino cambiato con la forza del pop"

ALBERTO SINIGAGLIA TORINO

Esaurito il Teatro Regio questa sera per Divenire, odierna Forza del destino di Ludovico Einaudi. Al pianoforte l'autore, due violini, due viole, un violoncello, un contrabbasso, due maghi del suono elettronico. Già esauriti i duemila posti del Barbican Center di Londra, dove ritorneranno il 30 marzo.

La tournée che parte da Torino toccherà Berlino, Londra, Amburgo, Ancona, Venezia, Bergamo. Maggio in Spagna e in Germania. L'album Divenire è prossimo alle 40 mila copie vendute, al «Disco d'oro». Superò le 100 mila copie un cd di Einaudi in Inghilterra. Ma le cifre non dicono l'inusitata varietà del pubblico: di giovanissimi e maturi, di appassionati del rock e della musica classica e contemporanea, che seguono Einaudi alla Scala, al Maggio fiorentino, all'Ircam di Parigi, o se lo portano dietro nell'iPod.

Torinese di Milano (abita a Brera), 51 anni, occhi verdi, bianchi i pochi capelli su un volto di ragazzo, il compositore-solista è nipote del Presidente della Repubblica Luigi Einaudi, figlio dell'editore Giulio Einaudi, allievo di Azio Corghi e Luciano Berio, genero dell'architetto Giancarlo De Carlo, cognato dello scrittore Andrea De Carlo, amico di Nanni Moretti per il quale ha scritto la colonna sonora di «Aprile». Ma parla con la dolcezza e la semplicità con le quali ha sempre vissuto e che sono l'ingrediente risolutivo della sua arte.

Ludovico Einaudi, Divenire racconta in musica «le tappe di un viaggio». Verso dove?

«Direi piuttosto attraverso. L'origine nascosta, Andare, Oltremare, Primavera, Ritornare, Svanire sono le stazioni di un viaggio in cui l'umano e la titanica forza del destino s'intrecciano nel suono, nelle sue evoluzioni e mutazioni: da semplici melodie sgorga il canto strumentale, tra microvariazioni, improvvisazioni».

Radici classiche qui si fondono con la musica popolare.

«Le prime sono fondamentali nel mio percorso. Attingo poi alla musica etnica, al folklore, al pop».

Armonia e rock.

«E sentimento. Quel sentimento che c'è anche nella musica rock, magari con una sonorità forte, violenta, comunque dietro grandi melodie e armonie».

Sulla via aperta dal suo maestro Berio, che attinse i "Folk songs" alla musica popolare americana e trascrisse i Beatles?

«Mentre altri compositori di quel periodo erano molto radicali, chiusi alla musica del resto del mondo, mi affascinava quanto Berio considerasse importante il rapporto con la musica popolare e il folcklore, imparare, arricchirsi di quei tesori».

Un rapporto con tutta la musica, senza preconcetti?

«Sicuramente l'ho imparato da Berio. Ma era cosa che avrei coltivata, reinterpretata a modo mio. D'altra parte la musica popolare era stata importante nei grandi del passato. Mozart scriveva canzoni, Il flauto magico nacque per una compagnia di ambulanti. Stravinskij attingeva alla musica popolare russa, come tanti altri compositori russi prima di lui. Un modo di vivere la storia».

La sua popolarità cresce da 11 anni: pochi, rispetto a quanto aveva fatto prima. È cambiato il pubblico o è cambiato lei?

«Nella musica contemporanea avevo una piccola storia tracciata come discepolo di Berio: potevo continuare. A un certo punto, però, ho sentito l'esigenza di qualcosa che mi rappresentasse profondamente, di un mio linguaggio. Sono stato subito guardato un po' con sospetto. Nessuno mi ha incoraggiato. Le cose sono cambiate quando ho cominciato a eseguire la mia musica al pianoforte dal vivo, in teatro. Sentivo di potere, di dovere comunicare direttamente con il pubblico: raccontare così alla gente la mia esperienza interiore. Fatte le debite proporzioni, come Bob Dylan che si scrive le canzoni e se le canta imbracciando la propria chitarra. Non pensavo al mercato, al successo. Non me l'aspettavo».

Che cosa la sorprende del suo pubblico?

«Che quotidianamente riempia di messaggi il mio sito web ludovicoeinaudi.com, il forum su guestbook, e myspace. Mi scrivono di tutto: richieste d'informazioni, dichiarazioni d'amore».

Fa musica con i suoi figli, Jessica e Leo?

«Jessica, ventiquattro anni, scrive canzoni, canta musica pop. Leo fa il liceo scientifico, suona la chitarra in un gruppo di sedicenni. Ogni tanto vado a dare una mano. Mi diverto a suonare con loro. Li ascolto, li consiglio. La musica è scambio tra le persone, tra diverse età, aiuta a comunicare in momenti difficili. Non è questo uno dei suoi doni più belli?».

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