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Topi, Cavoli E Beat

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Topi, cavoli e beat

In un libro il magico 1957 di Kerouac & C.: uscì quell'anno "Sulla strada",mentre la censura si abbatteva su "Urlo" (decretandone il successo) e il gruppo teneva banco in un sordido alberguccio di Parigi

MIRELLA SERRI

Quando Jack Kerouac approdò a Parigi, nell'estate del 1957, proveniva da un lungo tour che lo aveva lasciato alquanto scontento. Cosa non gli era piaciuto di Città del Messico e della soffocante Tangeri? I servizi igienici, che considerava «primitivi », e soprattutto il costo delle prostitute che non poteva permettersi (3 dollari in Marocco). Non sapeva però che di lì a pochissimo tempo tutto sarebbe cambiato, che fan e adoratori lo avrebbero osannato, celebrato, portato alle stelle come l'unico vero profeta del nostro tempo. Che sarebbe diventato facoltoso senza però abbandonare mai quella pericolosa passione per la bottiglia che lo condusse alla tomba. Il 5 settembre dello stesso anno, infatti, vedeva la luce il romanzo che ha cambiato il mondo, On the road, scritto di getto, in soli tre mesi, nel 1951 e edito sei anni dopo.

Il libro di cui ricorrono i 50 anni dalla pubblicazione, grazie a una entusiastica recensione del New York Times dette fama mondiale all'alcolista Jack. Il nuovo Buddha - come l'aveva ribattezzato Allen Ginsberg - fino a quel momento non aveva fatto altro che lamentarsi per essere noto solamente come «il tipo a cui è dedicato Urlo di Ginsberg ». Ma con Sulla strada aveva dato anima e corpo alla Bibbia della Beat generation. Quanto ad anniversari, però, ancora non basta. Quest'anno ricorrono i dieci anni dalla scomparsa di Ginsberg (il 5 aprile 1997) e di William Burroughs (il 2 agosto). E ora esce una straordinaria testimonianza proprio sul magico 1957, anno d'oro della Beat generation: è Barry Miles a raccontare, in un libro che uscirà il 29 marzo da Guanda, Il Beat Hotel, i meravigliosi anni parigini di Ginsberg, di Peter Orlovsky (la «ragazza» di Allen) e di Gregory Corso, raggiunti poi nella capitale francese da Burroughs. Sempre nel mitico '57, su Urlo si era abbattuta la mannaia della censura. A causa di versi che non erano musica per le orecchie dei benpensanti, ma erano rivolti a quelli che «si lasciarono sc****e nel c**o da santi motociclisti, e strillarono di gioia». Andarono al macero 520 copie del poema. Fu così decretato il suo grandioso successo. Magico, veramente, il 1957.

A ritmo da Urlo, incalzante e sincopato come un brano jazz, iniziava la notorietà planetaria del gruppo di cantori dell'eroina, dei paradisi artificiali, delle orge e del sesso libero a go-go. Tutto, o comunque molto, avvenne tra le pareti della stanza 25 di uno dei più sordidi albergucci della Ville Lumière. Il Beat Hotel, come sarebbe stato chiamato in seguito, si trovava sulla Rive Gauche, al numero 9 di una stretta stradina medievale nel Quartiere Latino. Qui Ginsberg, Orlovsky, Corso e Burroughs approdarono desiderosi di farsi catturare dai tanti misteri di Parigi. L'albergo era di infima classe con le sue stanze buie, un unico bagno alla turca nel corridoio, i topi che entravano e uscivano e un odore persistente di cavolo bollito poiché tutti cucinavano nelle loro stanze su minuscoli fornellini. Sulle scale un gran via vai di prostitute. Il primo beatnik che arrivò in questo hotel non proprio accogliente era un pittore svizzero che tutti chiamavano Gesù Cristo, calzava sandali anche d'inverno ed era sempre vestito di bianco.

La camera 25 fu l'epicentro del movimento beat e vi passarono in tanti, dall'ereditiera Peggy Guggenheim all'aristocratica britannica Felicity Mason, imparentata con la Regina Madre; alle bellissime e sprovvedute che, come Joy, si innamoravano dell'irraggiungibile Allen; ai giovanottelli arabi che spesso provvedevano a spogliare i loro ospiti non solo dei vestiti ma anche dei quattrini. Qui Ginsberg scriveva lunghe lettere a Kerouac; qui si dedicò a Kaddish, mitica elegia scritta sotto l'effetto delle anfetamine e dedicata a sua madre afflitta da schizofrenia acuta; qui concepì Europa! Europa!, inno alla gioia e all'autodistruzione nella capitale francese dove l'eroina era «così pura che la sniffiamo, sniffiamo, niente schifo d'aghi» e dove i ragazzi e le ragazze erano assai appetibili («Allen& Gregory», scriveva Orlovsky nel resoconto a Kerouac di una notte brava, «hanno le erezioni puntate contro 2 ragazze francesi tutti e 4 a rimbalzare sul letto di ferro, Gregory esce a caccia di ero...»).

L'era dei fatti e dei misfatti parigini fu veloce, feroce e travolgente e durò fino all'inizio degli anni Sessanta, quando il gruppo si sciolse per seguire strade diverse. Allen, accompagnato dal fido Orlovsky, decise di tornare in America dopo aver trascorso due anni in India da cui rientrò con turbante bianco e lunghissimi capelli, mutato in guru del pacifismo e della rivolta hippie. Corso, prima di abbandonare il Beat Hotel, vi scrisse molte delle sue poesie e Burroughs quando lasciò l'albergo vi aveva composto ben cinque libri. Quelle sudice pareti furono per un breve periodo di tempo la più intensa fucina di quel movimento che diventerà un mito del Novecento, lasciando una lunga indelebile impronta che va da Bob Dylan a Patty Smith, da Francesco Guccini a Charles Bukowski a tanta letteratura del secolo passato.

E Kerouac? Gli amici lo ritroveranno in America, ma morirà prima di tutti, per un'emorragia interna provocata dalla cirrosi epatica, a soli 47 anni, nel 1969. Ma era stato lui il vero Buddha della Beat generation. In On the road aveva scolpito l'icona del movimento: «Dobbiamo andare e non fermarci finché non siamo arrivati». «Dove andiamo?» . «Non lo so. Ma dobbiamo andare ».

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