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"boris", La Fiction Che Sfotte La Fiction

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In onda su Fox dal 16 aprile una nuova serie satirica e irriverente che racconta il dietro le quinte del genere più seguito dal pubblico

"Boris", la fiction che sfotte la fiction

Vizi, capricci e disastri di un set tv

Nel cast fra gli altri Pietro Sermonti, Carolina Crescentini, Antonio Catania

La regia è di Luca Vendruscolo: "Smascheriamo la rassegnazione al brutto"

di ALESSANDRA VITALI

ROMA - Salva le Reti, fa incetta di ascolti e gradimento, batte la concorrenza, garantisce sopravvivenza a una compagnia di giro i cui membri si riciclano in poliziotti e infermieri, carabinieri e cuori infranti, dame dell'Ottocento o Marie Maddalene. La fiction, in tutte le sue declinazioni. Ma stavolta il Re è nudo. Ed è proprio una fiction a smascherare quel che popola, anima, agita la realizzazione di una delle serie acchiappapubblico. Tutto quello che avreste voluto sapere su come funziona un set tv, ma non avete mai avuto l'occasione di scoprire. Ecco Boris, quattordici episodi su Fox (canale 110 di Sky) dal 16 aprile alle 23, ritmi veloci e chiave satirica per raccontare la storia di una troupe intenta a girare la seconda stagione di "Gli occhi del cuore", lunga serialità e bassa categoria.

Prodotta da Wilder per Fox Channels Italy (per la prima volta un gruppo satellitare produce una fiction di lunga serialità), regia di Luca Vendruscolo, sigla di Elio e le Storie tese, Boris vanta un cast di rispetto con pezzi importanti della nuova generazione di attori italiani. "Il fenomeno che volevamo stigmatizzare - spiega il regista - è quello tipicamente italiano del lavorare senza amore, è una troupe di persone che ha smarrito il senso del lavoro e cerca di rimanere a galla accettando orribili compromessi".

Prima puntata, primo giorno di riprese, passerella di personaggi proprio così come uno se li immagina. Lopez (Antonio Catania) è il delegato di produzione cialtrone che chiarisce: la prima serie di "Gli occhi del cuore" è stata sospesa alla terza puntata "non perché andava male ma perché era collocata male nel palinsesto". Duccio (Ninni Bruschetta), è il direttore della fotografia al quale la Rete chiede un prodotto che sia più brutto di uno spot, sennò quando arriva la pubblicità la gente cambia canale. Biascica (Paolo Calabresi) è il capo elettricista che accetta solo collaboratori di provata fede giallorossa, Arianna (Caterina Guzzanti) è la burbera assistente alla regia, René (Francesco Pannofino) è il regista combattivo ma consapevole della (scarsa) qualità del suo prodotto. Infine, le "primedonne": Corinna (Carolina Crescentini), la starlette incapace, presuntuosa e raccomandata dai "piani alti", e Stanis (Pietro Sermonti), il giovane divo che ama se stesso e i riflettori. Il tutto "raccontato" dagli occhi di un giovane stagista, Alessandro (Alessandro Tiberi). Poi c'è Boris, il pesce rosso portafortuna del regista.

I cliché ci sono tutti. Anche l'ironia per raccontarli. E si ride, spesso e volentieri. Uno dei pregi di "Boris" sta nella dose di acidità e sarcasmo intelligente con cui si fotografano caratteri e situazioni, tic e tormentoni. Esplicite le citazioni e i rimandi ad altre fiction di successo, d'altronde quasi tutti gli attori della serie si sono davvero già misurati con il genere, e sono facce già viste in "Carabinieri" e "Distretto di polizia", "Un medico in famiglia" e "Giovanni Falcone", "L'avvocato Porta" e "Ris". Ed è proprio con i luoghi comuni della fiction che "Boris" si diverte a giocare, smascherandone i meccanismi con cattiveria e irriverenza. E con la partecipazione straordinaria, nel corso delle puntate, di alcune guest star, da Giorgio Tirabassi a Luisa Ranieri, da Margot Sikabony a Valerio Mastandrea.

D'altronde, osserva Vendruscolo, "non di rado le fiction peggiori sono proprio quelle che fanno i maggiori ascolti. E' una comune rassegnazione al brutto, e ciascuno ha il suo modo di adattarsi a questo". In quanto alla differenza di approccio fra una fiction per la tv generalista e questa, destinata alla satellitare, "abbiamo goduto di maggiore libertà - spiega ancora il regista - e questo è stato un bene perché senza libertà non c'è cattiveria, e senza cattiveria non c'è umorismo. Siamo partiti dal principio di non avere in mente una precisa tipologia di pubblico, ma di scrivere qualcosa che piacesse prima di tutto a noi. E' l'unica vera forma di rispetto del pubblico. Fare una fiction comporta una certa responsabilità. Se chi la fa, ha venduto la propria anima, anche l'anima di chi la guarda ne sarà impoverita".

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