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Cunicoli, Vasche E Quella Fontana Così Si Portava L'acqua Sul Pinc

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Roma, mostra sull'evoluzione dei sistemi di approvvigionamento realizzati nei secoli per una delle colline più celebri della capitale

Cunicoli, vasche e quella fontana

Così si portava l'acqua sul Pincio

Lombardi, il curatore: "Una lettura parallela della storia: il filo conduttore è il lavoro costante e ingegnoso dell'uomo per disporre del prezioso liquido"

di GINA PAVONE

ROMA - Acqua vitale e necessaria. Per vivere, irrigare, coltivare. Ma anche acqua ludica e scenografica, cioè strumento di gioco, potenza e ricchezza. L'elemento alla base della vita è anche simbolo del lavoro costante e ingegnoso dell'uomo per approvvigionarsi del bene di prima necessità per eccellenza. Questo è il tema della mostra "Il Pincio e l'acqua", che si apre venerdì 11 maggio a Roma a Villa Medici, e promossa dall'Accademia di Francia. Fino al 15 luglio, in viale Trinità dei Monti 1, una serie di pannelli e foto ricostruiscono l'evolversi delle soluzioni applicate per portare l'acqua sul Pincio, uno dei colli più celebri di Roma. "Una lettura parallela della storia del Pincio" la definisce Leonardo Lombardi, idrogeologo esperto di idraulica antica e curatore della mostra, "Il filo conduttore è la continua battaglia per risolvere il problema dell'approvvigionamento dell'acqua su una collina a più di 50 metri di altezza".

Dal Neolitico in poi, l'uomo ha elaborato sistemi sempre più sofisticati per avere l'acqua dove ne ha bisogno. Dalle conserve di acqua piovana, ai pozzi che raggiungono le circolazioni idriche sotterranee, agli acquedotti, ha in continuazione migliorato le condizioni di rifornimento realizzando opere idrauliche sempre più complesse. Questa mostra espone i risultati di uno studio basato su indagini sul campo, ricerche storiche e di archivio finalizzate alla comprensione dei sistemi messi in atto sulla collina del Pincio per supplire alla carenza d'acqua e averne a disposizione per vivere e coltivare, ma anche per dimostrare il potere e la ricchezza di importanti famiglie rinascimentali.

Emblema dell'uso dell'acqua, per millenni la città di Roma si rifornisce dal fiume, dai torrenti e delle sorgenti esistenti ai piedi dei rilievi collinari. Chi abita sulle colline usa raccogliere acqua piovana e scavare pozzi. "Il Pincio, come tutte le colline dell'area romana - spiega Lombardi - in quel periodo soffre una costante carenza d'acqua, alleviata solo durante il fulgore di Roma e, dopo molti secoli, nel tardo Rinascimento, con l'arrivo dell'acqua portata dall'acquedotto Felice". Nel frattempo la situazione idrica del colle vive alterne vicende. "Le prime comunità si servono di acqua piovana immagazzinata in cunicoli cisterna scavati in tutto il Pincio a cui si attingeva tramite pozzi - continua Lombardi - Tra il I secolo a. c. e il I d. c. la situazione migliora nettamente con la costruzione dei primi acquedotti alti in quota. La tappa successiva è la crisi dell'impero e le invasioni barbariche: il Pincio si trova in prima linea. Belisario, generale bizantino, si arrocca sul colle dove costruisce un grande serbatoio per avere a disposizione acqua sufficiente per resistere all'assedio. E' proprio in questo serbatoio, la cisterna pilastrata, che si tiene la mostra".

Ma la fine degli acquedotti e il parallelo spopolamento della città rendono di nuovo il colle area di campagna. Nel XVI secolo si ha una ripresa di interesse, le colline attraggono nuovi inquilini. Il cardinale Ricci acquista l'area e costruisce un palazzo "ma il problema dell'acqua è sempre presente e pressante - sottolinea il curatore della mostra - Il prezioso liquido arrivava con l'acquedotto Vergine, l'unico tra gli acquedotti antichi ancora in funzione, a 30 metri sotto il piano del giardino, cui si attinge a fatica. Allora si realizza una rampa, una lunga scala che raggiunge l'acquedotto Vergine per carreggiare acqua con animali da soma. Ma la situazione è sempre di scarsità. Un tecnico incaricato da Ricci, Pier Quarta, nel 1574 crea un congegno meccanico per sollevare l'acqua dal Vergine fino ad una fontana nel giardino. Il meccanismo è costruito da una lunga diga sull'acquedotto che alza il livello dell'acqua del canale e ne devia una parte su una ruota idraulica che fornisce energia sufficiente ad azionare una pompa, che a sua volta solleva l'acqua per i 30 metri di dislivello del giardino".

Nel 1576 la proprietà della villa passa a Ferdinando dei Medici, che dà incarico a un altro tecnico, Camillo Agrippa, di realizzare un nuovo sollevamento d'acqua per alimentare una fontana su una collina artificiale nel giardino, il monte Parnaso, di venti metri, che si aggiungono ai 50 di altezza del Pincio. Con lo stesso metodo di Pier Quarta, Camillo Agrippa realizza l'opera: è un grande successo. Ma subito dopo Ferdinando lascia la villa per diventare Granduca di Toscana, villa e giardini decadono fino al 1803, anno in cui l'Accademia di Francia entra in possesso della proprietà.

Ancora una volta, si ripresenta il problema della carenza d'acqua. Solo la scarsa acqua dell'acquedotto Felice e il pozzo del giardino consentono la sopravvivenza. Si mette in opera una pompa a mano che pesca dall'acquedotto Vergine. "E' l'ultimo atto di una lunga storia di lotte e invenzioni per avere a disposizione acqua per bere, coltivare, per il giardino per apparire a manifestare la propria potenza", conclude Lombardi.

Oggi, in occidente, il facile accesso all'oro blu ha provocato l'assenza di qualsiasi riflessione su questo bene essenziale, prezioso e quasi non rinnovabile, il cui consumo è notevolmente aumentato negli ultimi due secoli per la produzione industriale e di energia. Ripercorrere alcune vicende del procacciamento idrico, forse, può aiutare a riflettere.

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