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Police, I Vecchi Ragazzi Giocano Ancora

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Police, i vecchi ragazzi giocano ancora

Sting pare rivitalizzato, la voce è ancora più duttile, il fisico integro. Partono con "Message in a bottle", rinfrescato da un buon restyling

MARINELLA VENEGONI

INVIATA A VANCOUVER

Aveva appena finito il tour di Labyrinth, musiche del 500. «Guardavo il mio liuto appoggiato all'angolo della stanza, e mi sono chiesto: E ora, che faccio? Un altro disco di liuto? Ma dove? Un altro disco di Sting? No, sarebbe la solita storia. Che cosa sorprenderebbe la gente? Che cosa sorprenderebbe me?». Così - per noia, per ansia - è nata l'anno scorso l'idea della riunione dei Police, come confessa l'eternamente bel tenebroso bassista. Si capisce bene che ora è galvanizzato, sul palco della GM Place, davanti a 20 mila canadesi e viaggiatori da tutto il mondo, età dai venti ai sessanta, entusiasmo a mille. Lui sempre così chic si è vestito da tamarro, maglietta senza maniche, braghe strette negli scarponcini, capelli cortissimi e sì, tinti. Riuniti qui a Vancouver per il debutto, la prima volta dal 1986, sembrano tornati biondi tutti e tre, i Police. Come per il famoso spot del chewing gum che li fece conoscere. Infilano e ridisegnano 21 successi, in due ore senza tregua: e chiudono con la furia di Next To You, che fu il primo singolo giusto 30 anni fa, nel maggio 1977, quando usarono il punk come cavallo di tr**a per entrare nel musicbusiness. C'è aria fresca di revival, ma i tre sono tutt'altro che bolliti. Ordine di vitalità: primo, Sting. In fondo, questo è il suo concerto: lui i suoi pezzi ha continuato a cantarli, e ora la voce sembra ancora più duttile e sicura, il fiato c'è, il fisico è integro, la presenza magnetica. Sembra rivitalizzato. Certo, gli altri due aggiungono alle canzoni una sincerità e una profondità che la band di Sting solista non poteva possedere.

Secondo è Copeland, macchina da ritmo alla batteria; la banda nera sotto la frangetta tiene fermi pure gli occhiali, e anche lui ha una luce di divertimento negli occhi, erompe spesso in grida selvagge, ridà solida vita al ritmo reggae che era diventato un retaggio della memoria. Terzo, Summers. Talvolta sembra voglia strafare, con quella chitarra pomposa e un po' barocca, addomesticata poi dal rigore che assume la parte centrale dello show, dove si raggiunge un più efficace equilibrio stilistico e sonoro fra reggae, rock, spruzzate jazzy, improvvisazioni varie in pezzi di fattura sofisticata come Wrapped Around Your Fingers, The Bed's Too Big Without You e Murder By Numbers: qui c'è un richiamo all'attualità; il brano era ispirato alle guerre di religione in Irlanda, e parlava del cinismo dei politici che trasformano il loro cuore in pietra, e i morti in numeri. Sting al microfono: «Nel 1983 il reverendo Jimmy Swaggart decise che questo pezzo era stato scritto dal diavolo in persona»; ma le guerre evolvono, e ora sui maxischermi scorrono immagini dei conflitti mediorientali in corso.

Il concerto era partito con la voce del nume tutelare del reggae, Bob Marley, che cantava Get Up Stand Up...Don't Give Up the Fight. Citazione doverosa per una band che fece successo in levare, e che ora recupera quel ritmo ormai consumato con iniezioni di nuova freschezza, nelle contaminazioni che sono una specialità di Sting e di tutta la ditta Police. Nell'attesa incandescente della folla, spezzata da un colpo di gong, i tre hanno sparato per prima Message in a Bottle, il marchio più riconoscibile. Ma è parso subito chiaro che erano stati fatti lavori di restyling: suoni crudi per Synchronicity II che dura sei minuti, un rock più deciso in Every Breath You Take, reggae d'assalto in Spirits in the Material World e in Don't Stand So Close to Me dove Sting fa il buffone, si spruzza menta in bocca e si annusa poi un'ascella per mostrare cosa succede a stare troppo vicini.

C'è una bella energia, insomma, venata di umorismo. Come di tre ragazzini di 54 (Copeland), 55 (Sting) e 64 anni (Summers) che si sono ritrovati e riescono nuovamente a giocare insieme, divertendosi, guardandosi in faccia, avvicinandosi spesso l'uno all'altro: in fondo, sono fra i pochi dinosauri del rock a non essersi mai fatti reciprocamente causa. A chiudere prima dei bis è Roxanne, un altro monumento, rifatta in chiave tribale dalla ritmica di Copeland; Sting ci dà dentro suonando un basso che ha l'aria di essere quello consumato dei buoni tempi antichi. Si intuisce nei bis che il concerto potrebbe ridecollare ora, nella complessità della riscrittura di pezzi come King of Pain o So Lonely. Invece il tempo scade, e i tre abbandonano finalmente la loro elegante arena ovale, nera e metallica, talvolta delimitata da un maxischermo trasparente, che ospita il tour nelle arene coperte. Baci e abbracci. Urla di Copeland e del pubblico. Davvero, una gran festa è appena cominciata.

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