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Fra 20 Anni Sentiremo I Radiohead

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Fra 20 anni sentiremo i Radiohead

ANDREA SCANZI

La longevità è la grande assente della musica contemporanea. A mancare non è tanto la genialità, quanto la capacità di invecchiare. I Bruce Springsteen non nascono più: al massimo, ed è già molto, spunta ogni tanto un Damien Rice. La supernova generata dagli irripetibili anni 60-70 ha fatto sì che, ancora oggi, band più decrepite che storiche riempiano gli stadi. Se in politica il ricambio generazionale è negato dall'attaccamento alle poltrone degli immarcescibili primattori, nella musica il cambio d'epoca è negato dal fiato corto dei giovani. Oggi non è infrequente l'exploit dell'ennesima next big thing che fa gridare al miracolo. I talenti, a cercarli, ci sono. Solo che si spengono subito. Neanche tre dischi e il loro suono non è che uno stanco reiterarsi di se stessi. E' il caso dei Coldplay: adorabili all'esordio, ispirati nell'opera seconda, pleonastici al terzo disco. E la tanto sbandierata elettronica, «la nuova frontiera», non è che fila di meteore stese al sole (Chemical Brothers, Moby, Fat Boy Slim).

Difficile immaginare band contemporanee che ascolteremo tra 20 anni. A maturare meglio sono coloro che, alla facile auto-clonazione, preferiscono la rivoluzione. Lo stravolgimento. Il rischio. A inizio 90, Jeff Tweedy aveva titillato il bilico della critica d'essai inventando il cosiddetto «alternative country» con il suo gruppo, gli Uncle Tupelo. Un bel giorno ha mollato tutto e fondato un'altra band, i Wilco. Era il 1995 e sono ancora lì, tra echi del folk di Woody Guthrie, rock sporco alla Neil Young e un'idea chiara di musica nuova .

Troppo di nicchia? Un altro nome possibile, senza dimenticare il rock longevo dei Pearl Jam, sono i Radiohead, capaci dal 1993 a oggi di gestire la sperimentazione, svecchiandosi con sonorità a volte estreme ma comunque proprie, dinamiche. Come per i Wilco, più che un gruppo i Radiohead sono una microgalassia che vive di luce riflessa. Il faro dei Radiohead, Thom Yorke, è un Leopardi del rock con l'occhio sbilenco e il grugno triste, lineamenti alieni e idee artistiche in grado di durare (sempre che un giorno non soggiaccia definitivamente alla follia cara ai diamanti pazzi). Kurt Cobain preferì il fuoco indimenticabile di un giorno alla labile fiammella che a poco poco si spegne. Il guaio è che gran parte dei suoi epigoni non sono né fuoco, né fiammella.

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