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L’europa A Grillo: "spiegaci L'italia"

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L'Europa a Grillo: "Spiegaci l'Italia"

E' nell'occhio della Digos, non fa più ridere, ma il pubblico lo adora

ANDREA SCANZI

MILANO

Quando entra, il pubblico gli tributa una standing ovation a prescindere. Lui, puntualmente, prima scherza sul tempo passato, sui capelli grigi e sulla pancia pingue, poi quasi si commuove. E' un applauso totalizzante, al passato. Ai trent'anni di carriera di Beppe Grillo. C'è un pubblico che ne ha capito la svolta divulgativo-arrabbiata e segue il suo blog (il 15° al mondo per accessi) con devozione messianica. Ma c'è anche, ed è forse la maggioranza, una parte di paganti che applaude il ricordo: quello di Te lo do io il Brasile, quello di Sanremo. Quello che non c'è più. Ogni sera, da più di un decennio, Grillo riempie i Palasport. In tv non lo vogliono, le interviste non le concede perché «i giornali sono superati». E' un Grillo altro, sorta di Don Chisciotte spigoloso e sentenziante, ma lo spettatore comune è affezionato alle cristallizzazioni. Accadeva anche a Giorgio Gaber: c'era chi capiva la svolta teatrale e chi andava a vederlo aspettandosi ancora Non arrossire.

Gli spettacoli di Grillo sono arringhe informate e incazzose, fiumi di bile e notizie inedite che sforano le tre ore. L'apoteosi iniziale diventa, minuto dopo minuto, applauso misurato. Gli apprezzamenti più convinti coincidono con le chiose cerchiobottiste: la politica che «son tutti uguali», i giornalisti «che son tutti servi». Quando però Grillo affonda, mostrando il censuratissimo (solo in Italia) documentario Bbc sulla pedofilia nella Chiesa Cattolica, la platea si divide. Per una delle molte stranezze italiane, è accaduto che gli unici comici di professione siano ormai quelli che non fanno ridere quasi mai. Roberto Benigni, le battute, le fa quasi per dovere, troppo preso da Petrarca e Nicoletta Braschi. Daniele Luttazzi, comprensibilmente, deve smaltire l'ostracismo dell'ukase bulgaro. E Grillo le trovate migliori le ripete con mestiere, sperando che il pubblico non sia così fedele da ricordare che Berlusconi era «lo Psiconano» e Fassino «Globulo» già negli show di dieci anni fa.

Il Grillo di oggi è un savonaroliano deliberatamente apocalittico, braccato dalla Digos, querelatissimo, munito di epigoni (nuovi Crozza crescono), insuperabile nell'arte di arringare ed encomiabile nella volontà di smascherare i troppi sfaceli della società contemporanea: i banchieri «nuovi usurai», i finti buoni, gli industriali pagati per distruggere le aziende, l'informazione che non informa e una politica rimasta alle guerre puniche. Geronzi, Tronchetti Provera, Moratti, D'Alema, Mastella, Prodi, Berlusconi, Rutelli, la Consob: sono solo alcuni dei suoi nemici, di fronte ai quali l'unica salvezza è «resettare» il cervello (Reset è il titolo dello spettacolo) e affidarsi ai poteri taumaturgici di Internet e dei Meetup, sorta di nuclei avanguardisti sparsi in ogni città col compito di concretizzare a livello locale le battaglie di Grillo.

Ogni suo spettacolo fa più pensare che ridere. Fa pensare alla censura, alla sinistra italiana che perde per strada i «cantori» di un tempo. Fa pensare che i satirici si sono reinventati tribuni e nel migliore dei casi hanno scoperchiato i crack della Parmalat. E' certo divertente sapere che Bertinotti e Sgarbi non sappiano come si scrive «www» o «chiocciola». Meno ilarità genera scoprire come la Comunità Europea abbia invitato Beppe Grillo (a luglio) per scoprire come davvero funziona l'Italia. La transustanziazione di Grillo da comico a predicatore cassandrico è forse sintomatica di una confusione fatale. Di una rabbia che sfocia nella paura, nell'invettiva, nel qualunquismo. Nella lotta non contro ma a favore dei mulini a vento, intesi come fonte eolica.

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