Accedi per seguire   
Seguaci 0
Min3rva

«lascia Perdere, Johnny!», Una Storia-favola

1 messaggio in questa discussione

«Lascia perdere, Johnny!», una storia-favola fonte

Debutto alla regia di Fabrizio Bentivoglio che interpreta un musicista sul viale del tramonto

Le ragioni che spingono un attore a passare dietro la macchina da presa per fare il regista possono essere dettate dall'ambizione (controllare il processo creativo e non essere controllato) o più spesso da una forma tutta particolare di «egoismo artistico» (nessuno sarebbe capace di dirigersi meglio di se stesso). Ma quella che ha convinto Bentivoglio a misurarsi con la regia di un lungometraggio sembra un'altra ragione ancora: l'incontro con una storia che finisce per assumere una valenza più profonda, capace di illuminare le scelte «fondanti» della propria esistenza. Nel caso specifico, il fascino della professione musicale, il rapporto con i maestri (di vita e di arte) e la voglia di farsi guidare dalla passione e non dal calcolo.

Ambientato nella seconda metà degli anni Settanta,Lascia perdere, Johnny! affida al diciottenne Faustino Ciaramella (l'esordiente Antimo Merolillo) «figlio unico di madre vedova » (che poi è Lina Sastri) il compito di raccontare quei tre temi. Chitarrista in una piccola orchestrina del Casertano, ingenuamente fiducioso sia nell'onestà dell'impresario (Ernesto Mahieux), sempre in procinto di fargli il contratto che gli permetterebbe di evitare il servizio militare, sia nella sincerità del bidello/direttore d'orchestra (Toni Servillo), troppo schiavo del bicchiere per non fare una brutta fine, Faustino incarna quella passione senza dubbi che solo la musica spesso è in grado di innescare e che lo porta ad accettare soprusi e delusioni. Almeno fino al giorno in cui arriva a Caserta da Milano Augusto Riverberi (Fabrizio Bentivoglio), maestro sul viale del tramonto finito non si capisce bene come nella rete dell'impresario locale. Così, un po' per merito delle forme della parrucchiera Annamaria (Valeria Golino), molto di più per il fascino e la cucina della madre di Faustino, anche il «celebre maestro Riverberi» finisce per accettare di esibirsi in improbabili concerti locali, dove un cantante miope e pelato (Peppe Servillo) diventa un crooner alla moda e Faustino - soprannominato Johnny dal maestro - passa da addetto alle amplificazioni a esibirsi in scena, finalmente con la sua chitarra.

All'origine di questa parte del film ci sono i racconti a volte folcloristici a volte favolistici sulle origini professionali degli Avion Travel, di cui Peppe Servillo è uno dei leader e con cui Bentivoglio è stato anche in tournée (con La guerra vista dalla luna) e ha inciso due dischi. Filtrati attraverso la sceneggiatura di Umberto Contarello, Filippo Gravino, Guido Iuculiano e Valia Santella (oltre che dello stesso Bentivoglio), quelle disavventure raccontano - con un tocco tra il divertito e il malinconico - la vita grama dei musicisti di provincia, chiamati a suonare nelle feste di paese o a fare da involontario «supporto» all'esibizione del raccomandato di turno (nel film, il nipote ballerino del boss di una televisione locale: una scena impagabile).

Si fermasse qui, fino all'inevitabile sparizione del produttore con la cassa (un momento obbligato nella mitologia, e nella realtà, degli artisti di provincia), il film sarebbe il ritratto partecipe e convincente di un fallimento perseguito con tenacia, traguardo quasi obbligato di una vita guidata dalla passione musicale tanto quanto dalla fiducia mal riposta nell'onestà delle persone. Ma la promessa fatta da Riverberi di chiamare Faustino a Milano per aprirgli le porte della vera musica, portando lo speranzoso giovane tra le nebbie del Nord, cambia tono e atmosfere al film. E innesca un'ultima struggente variazione sul tema del rapporto con i maestri (di vita o di musica fa poca differenza): quanto ben riposto, lo scoprirà lo spettatore. A questo punto il film prende una strada più intimista, quasi fantastica, stemperando le trovate umoristiche (bella la confusione sul Duomo che Faustino deve raggiungere) in un'atmosfera trasognata e irreale, che fa venire in mente film d'altri tempi (il Lattuada del Cappotto, il Fellini dei Vitelloni e Luci del varietà che firmarono insieme) offrendo la misura delle ambizioni ma anche delle possibilità registiche di Bentivoglio. Che riesce a chiudere il film senza uccidere il mito della passione musicale ma anche senza edulcorare il senso di una sconfitta che è esistenziale ben più che professionale.

Condividi questo messaggio


Link di questo messaggio
Condividi su altri siti

Crea un account o accedi per lasciare un commento

Devi essere un utente registrato per partecipare

Crea un account

Iscriviti per un nuovo account nella nostra community. È facile!


Registra un nuovo account

Accedi

Sei già registrato? Accedi qui.


Accedi Ora
Accedi per seguire   
Seguaci 0