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Il Pittore Romagnolo Cagnacci, Il '600 Messo A Nudo

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Da Londra il novantasettenne sir Denis Mahon, maestro e decano degli studi sul Seicento emiliano e romagnolo e membro del comitato scientifico della mostra dedicata da Daniele Benati e Antonio Paolucci a Guido Cagnacci da Santarcangelo di Romagna nella corona dei suoi pari grado, Caravaggio e Reni, Gentileschi e Ludovico Carracci, Guercino e Vouet, addita con valide ragioni la stessa mostra come un gioiello e un modello di quegli studi. Avendo come tappa intermedia la bella mostra riminese curata dallo stesso Benati nel 1993, qui arricchita con fondamentali pale sacre e nuove acquisizioni dal mercato artistico, questa è veramente il coronamento lussuoso di un processo di riscoperta avviato nella seconda metà del secolo scorso.

Esso si sviluppò prima in sede locale, con la mostra del '600 a Rimini del 1952 già frutto dei primi amori di Francesco Arcangeli e Cesare Gnudi, poi esplose nei suoi caratteri di sfrontatezza al di là sia della realtà caravaggesca che dell'ideale classico bolognese alla mostra del 1959 dei Maestri emiliani del '600 a Bologna. Questa offriva agli occhi del grande pubblico il clangore cromatico dei due sterminati quadroni della Pinacoteca di Forlì già nel Duomo neocorreggeschi e neoveronesiani con le Glorie dei santi Mercuriale e Valeriano, campiti in sottinsù contro un indicibile, cristallino cielo azzurro, che «aggiungono un inedito accento nella storia della pittura italiana» (Gnudi).

Assieme ad essi, la mostra bolognese offriva a occhi italiani, portandola giù dalle collezioni imperiali di Vienna, la dolce morbidissima pulsazione erotica delle patetiche nudità della Morte di Cleopatra per l'Arciduca Leopoldo Guglielmo d'Asburgo. Memorabile il commento di Arbasino alla variante donata a Brera un anno dopo proprio sulla scia della mostra di Bologna, sul «pittore talmente hanté di immagini di seni femminili turgidi e di seggiolini finto-Cinquecento di pelle rossa, con le loro borchie, che intorno a queste immagini fa il vuoto».

I due quadroni di Forlì, dipinti nel 1662-64, sono il fulcro e lo snodo centrale della mostra odierna, la Morte di Cleopatra, dipinta negli anni finali a Vienna dove Cagnacci morì nel 1663,è l'opera conclusiva. Nella povertà di accenni nella letteratura artistica coeva, solo la morte gli fruttava espliciti riconoscimenti in Venezia città nobilissima e singolare di Francesco Sansovino (a Venezia era approdato nel 1649, da Venezia era salito a Vienna): «occupa il primo luogo nel colorito...è generalmente proclamato per il primo pennello de nostri tempi». Venezia e Vienna sono le ultime tappe della vita errabonda e inquieta dello scapestrato romagnolo denunciato dal padre per aver tentato di rapire una gentildonna vedova riminese per impadronirsi della sua dote ereditaria: a Bologna a cavallo fra gli Anni 10 e 20, a Roma nel 1621 a casa del Guercino, a Rimini negli Anni 20 e 30 con i primi capolavori di arte sacra, a Forlì negli Anni 40. E certo, in mancanza di datazioni, è soprattutto a Venezia che una raggiunta fortuna premia la specializzazione «erotica» privata di pittura da cavalletto, con le sequenze sottilmente variate e mirabilmente, teatralmente mimate delle Cleopatre, delle Lucrezie, delle Giuditte, delle mezze figure allegoriche e, sull'opposto ma consonante versante, delle Maddalene penitenti. L'esasperazione emozionale degli «affetti» è tanto più coinvolgente in quanto oggettivata dalla densità tattile e luminosa, dall'illusionismo carnale di una pellicola pittorica che lungo i decenni permea sempre più a fondo di trasparenze nordiche degne di Vermeer il fotogramma caravaggesco di base, genialmente esemplato in mostra dalla Maddalena penitente Doria Pamphilj. L'ambiguità al di là di ogni limite fra fisicità ed estasi mistica, che trova i suoi culmini nella Maddalena penitente delle Benedettine di Urbania e nello stupendo confronto per la prima volta realizzato delle due repliche della Maddalena assunta di Palazzo Pitti e della Pinacoteca di Monaco, è però tutta cattolica controriformistica. Alla base, e senza ambiguità, è il primo e caravaggesco capolavoro sacro in mostra, l'Estasi di tre santi carmelitani da San Giovanni Battista di Rimini, degno di paragone con le Opere di misericordia di Caravaggio attorniato dalla concretezza fisica e dai ritmi quasi arcaizzanti delle altre opere riminesi degli Anni 20. È perfetta, e «mirata», la scelta delle opere di confronto: Orazio Gentileschi, Lanfranco, la stupenda Tentazione di san Francesco di Vouet, quasi incredibile nella romana San Lorenzo in Lucina, Borgianni, Guercino culminante nella Maddalena dei Musei Vaticani del 1622, l'anno in cui Cagnacci era presso di lui a Roma e nella Morte di Cleopatra di Palazzo Rosso a Genova. Perfetto anche il «box» di Guido Reni, con i prototipi «classici» dei temi di Cagnacci, la Maddalena, la Salomè con la testa del Battista, la Cleopatra, deposito di sir Mahon a Dublino.

La mostra dedicata a Guido Cagnacci sarà visibile ai Musei di San Domenico di Forlì fino al 22 giugno. Info www.guidocagnacci.com

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