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Sean Penn, "into The Wild" Grande Viaggio Nella Natura

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Erano quasi dieci anni che Sean Penn inseguiva questo film, da quando aveva letto il libro che Jon Krakauer ha scritto nel 1996 sull'avventura di Christopher McCandless (in Italia lo ha pubblicato Il Corbaccio col titolo «Nelle terre estreme»). Non è un periodo lunghissimo per Hollywood, ma è pur sempre un tempo ragguardevole. E allora viene da chiedersi perché mai un regista «saltuario» come l'attore Sean Penn (quattro film e un episodio diretti in sedici anni) sia rimasto affascinato dalla storia di un ventiduenne che molla tutto per girare l'America a piedi.

La risposta si può trovare nella possibilità che offre quella storia di superare di slancio i limiti dell'aneddoto per aprirsi su una riflessione capace di abbracciare i miti fondanti della cultura (e della storia) americana: la frontiera, la wilderness, il confronto con l'altro, il distacco dalla famiglia, il rifiuto del consumismo, la scommessa dell'autosufficienza, il nomadismo, il mistero di Dio... E in un cinema che troppo spesso sembra tagliar fuori il confronto con la Natura o ridurlo a una pura immagine di sfondo, la vita breve di Chris McCandless dev'essere sembrata un'occasione troppo ghiotta a un autore che nei suoi film ha sempre cercato di interrogarsi sui temi che hanno costruito l'identità americana.

Perché McCandless, che nel film ha il volto indimenticabile di Emile Hirsch, scandalosamente dimenticato nelle nomination per l'Oscar, nel 1990 non decide solo di rompere con una famiglia borghese e con un mondo che non condivide. Quando, dopo l'università, taglia i ponti anche con l'uso dei soldi (regala i suoi risparmi a un'ente caritatevole), della sicurezza sociale (distrugge la tessera che ogni americano possiede) e perfino della propria identità (si «ribattezza» Alex Supertramp, il supercamminatore) e si tiene stretti solo pochi libro — Tolstoj, Thoreau, London — Chris più o meno inconsciamente decide di mettere alla prova le due grandi linee di forza che hanno attraversato duecento anni di cultura statunitense: il mito della Natura come vera (e autosufficiente) fonte di vita e quello del darwinismo e della sua struggle for life. Una conferma di questa interpretazione viene dalla struttura del film che Sean Penn, autore anche della sceneggiatura, non ha costruito seguendo lo sviluppo cronologico della «fuga » di McCandless ma spezzettando (e mescolando) la linearità narrativa per mettere in evidenza alcuni momenti fondanti. Così noi scopriamo subito che Chris riuscirà ad arrivare in Alaska, la tappa finale di un viaggio dove spera di potersi finalmente confrontare con la Natura allo stato puro. Ma abbiamo anche il tempo per approfondire alcuni momenti e alcuni incontri più o meno importanti del viaggio, a cui il film affida il compito di vere e proprie «divagazioni filosofiche» sui singoli aspetti della mitologia e della cultura americane.

Ecco allora l'esperienza della distanza attraverso gli spostamenti e i viaggi — in autostop, in treno, soprattutto a piedi — dove misurarsi con la Natura come estensione, come terreno di gioco. Oppure le pause di lavoro (Chris deve pensare a mantenersi, a pagarsi l'equipaggiamento per l'Alaska), dove il film ci mostra un'altra America, agricola ma soprattutto cameratesca, scanzonata, lontanissimo dal perbenismo borghese della famiglia McCandless. O l'incontro con Jan e Rainey (Catherine Keener e Brian Dierker), hippies un po' fuori tempo massimo che offrono al protagonista il calore di un affetto totalmente gratuito, senza autoritarismi o «ricatti sentimentali». O ancora la componente più selvaggia e inquietante della Natura, come le rapide del Gran Canyon, i fiumi in piena dell'Alaska, la mancanza di cibo. O la «parentesi» con un vecchio (Hal Holbrook) che gli fa vedere l'armonia divina che esiste nella Natura e nelle cose...

Penn intreccia questi elementi, e questi episodi, seguendo l'urgenza di un discorso ma non la linearità di un racconto. Modifica continuamente lo stile della sua regia per cercare di adeguarsi alla varietà dei temi affrontati, ora sottolineando la bellezza selvaggia della Natura, altre volte spezzando l'inquadratura per far dialogare tra di loro immagini diverse, altre volte ancora puntando tutto sui primi piani e la forza espressiva degli attori. E in questo modo finisce per far dimenticare che la storia di Chris McCandless ha avuto un epilogo che la cronaca ha già incasellato e che colpisce lo spettatore come un colpo basso, toccando nella parte finale di un film di 148 minuti (ma per niente lungo) punte di autentica drammaticità. Che Penn sembra accettare in silenzio, quasi con rassegnazione, dopo aver mostrato le tante facce di un viaggio dentro la Natura che è un viaggio dentro se stessi. Confronto impossibile Emile Hirsch (a sinistra) in una scena del film in cui si confronta con la selvaggia natura americana.t

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