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enomis86

Un Giudice Di Roma Assolve I P2p

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Un giudice di Roma assolve i p2p

I vari siti e software per lo scambio di files, denominati peer to peer (abbreviato p2p), non commetterebbero una violazione del diritto d’autore, in quanto, i server farebbero solamente da intermediari per lo scambio dei files tra gli utenti.

“Mancando una legislazione ad hoc …. non appare possibile in questa sede dare rilevanza ad un fenomeno assai diffuso che non può essere messo sotto accusa ed avente accertamenti quasi impossibili da fare”

Questo è quanto affermato dalla sentenza, rilasciata oggi a Roma dal gip Carla Santese, che ha accolto la richiesta di archiviazione per un caso di una società che lamentava la violazione del diritto d’autore.

Bearshare, Emule e Btorrent, questi i siti accusati, non sarebbero responsabili di tale violazione, che andrebbe attribuita solamente all’uso improprio, da parte degli utenti, di tali piattaforme per lo scambio personale di files. Infine, sarebbe praticamente impossibile controllare la legittimità di ogni singolo file scambiato attraverso tali servizi, è anche per questo motivo che la richiesta di archiviazione è stata accolta.

Una sentenza che farà sicuramente discutere le etichette discografiche e le case di produzione cinematografiche: che questo possa rappresentare realmente l’inizio del libero utilizzo dei file sharing peer to peer e bit torrent? Ormai tutto converge in tal direzione, ma resta comunque un reato, da parte degli utenti, scambiare materiale protetto da copyright.

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GIP di Roma ed il P2P

E’ stata rilanciata da agenzie stampa una notizia errata con riferimento allo scambio di musica in rete.

Il GIP di Roma si è semplicemente riferito a singoli siti che offrono informazioni relative a programmi per fare p2p e non all’attività di singoli utenti che invece resta reato, così come previsto dalle legge italiana.

La normativa sul diritto d´autore agli art. 171 a bis e 171 ter a bis, infatti, prevede sanzioni penali a carico di tutti coloro che immettono abusivamente fonogrammi tutelati in un sistema di reti telematiche; nello specifico una multa di 2.000 euro per coloro che condividono senza scopo di lucro e una multa fino a 15.000 euro con possibile pena detentiva fino a 4 anni per coloro che invece condividono a scopo di lucro.

In entrambi i casi vengono applicate pesanti sanzioni amministrative che possono arrivare anche a svariate centinaia di migliaia di euro.

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Tenere musica scaricata sul proprio computer in sè non costituisce reato. Lo dicono da tempo in molti ma ora a sostenerlo è un giudice che in una causa (tra le tante in cui la Recording Industry Association of America ha citato un privato scaricatore) ha deciso che va provato che quella musica è stata ridistribuita.

La questione, si sa, è molto complessa e ogni causa fa storia a sè, nel senso che benchè ci siano i "precedenti" ogni giudice interpreta a modo suo una normativa che non è chiarissima in materia. Accade così che nella causa che vede Chris Brennan contro la RIAA il giudice non abbia voluto procedere alla condanna d'ufficio contro l'imputato che non si era presentato.

Per un disguido, infatti, Brennan, citato un anno fa dalla RIAA, non ha ricevuto correttamente la missiva che lo avvertiva di presentarsi per difendersi dall'accusa di possesso illegale di 2.017 canzoni ottenute attraverso KaZaa. Quando in aula non si sono presentati nè imputato nè difesa, l'accusa ha chiesto la pena default ma il giudice non l'ha accordata perchè il reato come era stato denunciato dalla RIAA non prevedeva alcuna pena standard.

L'associazione che riunisce le etichette musicali infatti aveva denunciato il ragazzo per detenzione di materiale piratato ma non aveva alcuna prova che poi i brani in questione fossero stati ridistribuiti da Brennan, cosa che secondo la corte è il vero reato.

Molto della decisione del giudice è stata proprio dovuta all'incertezza della materia e al fatto che in altre cause simili si è giunti a verdetti spesso divergenti, confermando come non sia possibile applicare una pena d'ufficio e i metodi di indagine della RIAA non sarebbero sufficienti.

Proprio i metodi basati sul tracciamento degli indirizzi IP sono stati al centro di un forte dibattito negli ultimi giorni per la loro legittimità. Ma la RIAA non si ferma e ha già inviato 401 lettere di accusa a 12 università solo nell'ultima settimana. Si tratta di avvisi di citazione tesi a spaventare e indurre al rapido patteggiamento un target (gli studenti) dotato di poco tempo e pochi soldi per sostenere una causa legale contro l'importante associazione dei discografici.

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