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Jim Carrey Fa Lo Yes Man

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LOS ANGELES — Che cosa accade quando un uomo in crisi decide di dire sì, per un intero anno, a ogni richiesta altrui o interrogativo personale? Lo racconterà il film Yes Man che ha riportato Jim Carrey alle note brillanti e amarognole della sua interessante carriera. «Può succedere di tutto — dice lui — quando ci si apre alla vita rispondendo in ogni occasione "sì". Il potere dell’affermazione, però, è a doppio taglio. Comunque, in tempi in cui tutti parlano troppo, a volte un monosillabo vale più di tanti discorsi e tante ambigue posizioni».

A Pasadena, il più antico distretto di Los Angeles ai piedi delle innevate montagne di San Gabriel, Jim Carrey è in bilico sull’altissimo e antico Colorado Street Bridge detto «il ponte dei suicidi» da quando, durante la Grande Depressione, un’anima inquieta lo scelse come ultimo trampolino. E da allora si sono gettati in un centinaio.

Con il suo volto da elfo, legato a una grossa corda, Jim guarda nel vuoto e dice: «Non si sa mai quando si rischia cosa accadrà, ma, mettiamola così, sto cercando di fare concorrenza a Britney Spears e di conquistare qualche copertina di rotocalco. I ragazzi di oggi non sanno bene cos’è il valore della vita e patteggiano pericolosamente con essa. Il mio Carl Allen conosce valori e depressioni del nostro tempo, ma la sua strada verso le certezze è lunga e inizia proprio quando lui decide, per uscire dal suo carattere introverso, di frequentare uno dei tanti "self-help program" della pazza California».

Jim dice no agli stuntmen e si butta nel vuoto per restare appeso come un ragno alla tela dell’esistenza di Carl, determinato a vivere in modo migliore con i suggerimenti dell’infingardo Terence Stamp, il leader del «self-program», uno delle migliaia di individui che con corsi di ogni tipo, new age, yoga, spiritualisti, cercano di aiutare gli americani a campare rilassati, tra competizioni e problemi di ogni sorta. Anche Terence, l’elegante attore inglese che dagli Anni ’60 e da Billy Budd percorre le strade del cinema, ha qualcosa da dire: «I ponti hanno un peso nella mia carriera, sin da quando Fellini mi scritturò per uno degli episodi di Tre passi nel delirio, il film della mia carriera al quale sono più legato, e dove il mio Toby Dammit, un giovane attore inquieto, si gettava con la sua rombante automobile rossa dal ponte di Ariccia, con qualche miraggio. Ho detto "sì" a questo film e non solo perché mi affascinava l’idea di insegnare agli altri come dirlo alla vita, ma perché ho letto il best seller del giovane scrittore inglese Danny Wallace, dal quale il film è tratto: nella mia sempre meno inamidata Gran Bretagna ha dato davvero uno scossone a tanti».

I produttori Darryl Zanuck jr (Driving Miss Daisy, Sweeney Todd) e David Heymen (film di Harry Potter) hanno acquistato i diritti del libro di Wallace che in un periodo della sua vita decise di smettere di dire no e rispondere sì, per poi tradurre in uno spassoso libro l’esperienza.

«L’azione — riprende Carrey — è spostata a Los Angeles, la città dei sogni e delle infinite, pericolose possibilità. Spero che la vicenda apparentemente surreale di Carl possa spingere tanti a chiedersi che differenza c’è tra il rispondere sì o no agli altri e a se stessi. C’è spiritualità, ma non quella folcloristica new o post age fatta di meditazioni in comunità. Carl rischia in prima persona. E il «sì» implica scommesse maggiori...».

Si gira, dunque, una delle scene finali di Yes, Man, a Natale sugli schermi con dialoghi ed effetti speciali, «soprattutto umani», puntualizza Jim che nel film si innamora dell’estrosa anima libera Allison (Zooey Deschanel, ora in Jesse James). Zoey non svela se sia lei a chiedere a Carl di gettarsi dal ponte, ma il oro legame è fatto di sfide, sotto l’occhio non proprio disinteressato del leader del corso.

Impegnato nella pre-produzione di A Christmas Carol di Zemeckis, tratto da Dickens, Carrey non si dice «pentito degli ultimi film scelti, come Il numero 23: non rimpiango, in genere, i miei sì: da quando ero un ragazzo, in Canada, con molte aspirazioni, mi hanno spronato ad andare avanti, di fronte ai no degli altri. Ritorno a un genere brillante e ame, secondo molti, confacente, ma non è per questo che l’ho accettato: credo che in tempi di incertezza e esibizionismi il film aiuterà a rilassarsi e trovare il tempo di dire "sì", che è arte di dare».

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