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Penone, Il Signore Dell’arte Povera

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Ancora Penone! Sembrerebbe che il mondo dell'arte, appena «scoperto» il protagonista dell'arte povera, abbia deciso di non mollare la presa. A pochi mesi dalla consacrazione al padiglione italiano della 52° Biennale di Venezia, dopo che il suo spettacolare intervento ha trasformato il parco della Venaria Reale in una dimora di «sculture fluide», oggi Giuseppe Penone è il protagonista di una mostra a Villa Medici in cui sono raccolte una trentina di opere realizzate nel corso della sua lunga carriera di scultore (a cura di Richard Peduzzi, catalogo Hazan a cura di Daniela Lancioni, aperta da oggi e fino al 25 marzo). Ed è subito un caso. «Sono quarant'anni che lavoro - dice sorridendo - non mi è mai successo di dover rispondere a tante domande, incontrare tutte queste persone, far fronte ad un interesse così grande. Troppa attenzione mi fa sospettare che c'è qualcosa di cui preoccuparsi, qualcosa che non funzioni nel lavoro…».

Si muove tra le sale e i giardini di questo meraviglioso spazio che ospita le sue creazioni con l'aria di chi è diventato un personaggio suo malgrado; niente che faccia pensare a qualcosa di costruito, che rimandi al «fisico del ruolo» dell'artista. Abito semplice, giaccone blu sulle spalle, faccia franca. Spegne persino il cellulare. E parla. Cerca di spiegare il senso del suo lavoro che nasce dal tatto, dalla superficie, dal respiro della materia. «Io posso raccontare com'è nato un lavoro, cosa mi ha spinto a farlo, poi ognuno è libero di ricevere le proprie suggestioni dall'opera. Ma una cosa è sicura: le mie sculture sono fatte per durare. Io utilizzo da sempre i materiali canonici della scultura: il bronzo, il marmo, il legno. Trovo ridicolo credere che la modernità di un intervento sia legata alla novità del mezzo. Se un'idea è convenzionale non sarà certo il fatto che sia stata realizzata in plastica a renderla nuova».

Quindi lei crede ancora nell'eternità dell'opera? «Certo, la sua durata è fondamentale, non si deve “consumare” come tutto il resto, deve sopravviverci». Ma allora, cos'è che dà la patente di modernità? «Cogliere lo spirito che ci circonda. Io mi sono trasferito nel 1966 a Torino da Garessio, il paese in provincia di Cuneo dove sono nato nel 1947. Erano anni in cui si rifiutava l'idea dell'oggetto artistico come merce. Da qui è nata l'arte povera, da una concezione dell'opera che non fosse retorica mica dal prezzo basso di ciò che si usa per realizzarla!»

Chiediamo: come si fa a eliminare la convenzionalità, la retorica? «Io seguo la logica dei materiali. Li ascolto. È il solo modo per fare scultura. Solo una visione antropomorfa dell'azione dell'artista può pensare di imporre il suo punto di vista su quello della materia che ha scelto. Io mi muovo nella natura, ma io stesso sono natura».

Insomma, tutto fa parte del medesimo mondo, dello stesso destino: l'uomo, l'albero, le cose. Le foglie, ma anche il marmo, hanno delle venature che somigliano a quelle della pelle, alle nostre arterie. La serie dedicata alla «Natura delle foglie» crea un dialogo tra la superficie delle piante e le ossa del cranio: Penone le ha sporcate entrambe con della polvere; poi l'ha strappata via con del nastro adesivo e da questo singolare «frottage» sono nate piccole conversazioni tra pelli differenti, che pure si somigliano. La scultura si fa toccando, lasciando la propria impronta, una traccia, una parte di noi sull'oggetto. L'artista vi trasferisce il suo calore, la sua vitalità. Che a volte, come in Anatomia, è simboleggiata dall'acqua, altre volte, come nella lunga processione di opere intitolate Pelle di foglie, dall'emanazione dello sguardo, nella materializzazione di un respiro. Queste sono grandi sculture in cui rami e fronde di alberi si traducono per sempre nel bronzo.

Allestite, per la prima volta tutte insieme, nello scalone della Villa sembrano venirti incontro, come un pacifico, piccolo esercito di elementi naturali. Alcuni guardano, altri sospirano. «L'aria che immetto nello spazio compiendo un atto involontario come respirare, crea un volume nuovo che è già una scultura», spiega l'artista. E tutto si propaga, mentre l'impronta lasciata dal tocco dello scultore si allarga come un cerchio sull'acqua (succede nel disegno a matita del 2002 che anticipa il pulsare dell'acqua della fontana di Venaria), o si allunga come nel fascio di luce di Proiezione. Nei giardini c'è un albero che sostiene delle pietre: è appena arrivato ma sembra nato qui. «Non ho mai esposto a Roma, è la prima volta. La verità è che tutto il gran rumore che si fa intorno al mio lavoro è perché in Italia fino a poco tempo fa nessuno lo conosceva. È più noto in Germania, o in Francia». Ma tutto questo parlare avrà anche fatto aumentare le quotazioni delle sue opere? «E chi lo sa? Speriamo».

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