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Il Manager Degli U2 Sugli Internet Provider

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Il manager degli U2: 'Gli Internet provider ci devono proteggere e pagare'

Paul McGuinness è un uomo dai modi spicci, abituato a parlar chiaro. E il messaggio che manda dal Midem di Cannes, dove è intervenuto ieri (28 gennaio) a un convegno tra addetti ai lavori, è altrettanto esplicito e diretto: l’industria musicale si salverà solo se Internet provider, operatori di telefonia mobile e costruttori di hardware musicale si decideranno a proteggerne i contenuti e a spartire i loro ingenti profitti con gli artisti, gli autori di canzoni e le case discografiche che ne alimentano il giro d’affari. Volontariamente o, se necessario, con la forza (e cioè per intervento dei governi, delle leggi ed eventualmente dei tribunali).

Nel suo circostanziato e appassionato intervento, il manager degli U2 affronta la situazione nel suo complesso: incolpa le case discografiche di non aver saputo prevedere il futuro e di non avere pianificato le loro mosse, stigmatizza certi comportamenti di Steve Jobs (con cui, pure, è entrato direttamente in affari nel 2004 per la vendita dell’iPod firmato da Bono e compagni, vedi News) e soprattutto la sua insistenza nel voler controllare i prezzi di mercato, condanna l’attuale povera qualità della musica in formato mp3, si interroga sulla effettiva efficacia di esperimenti come quello tentato dai Radiohead e dei servizi di download pagati dalla pubblicità (“Il fatto è che le case discografiche devono guadagnarsi la nostra fiducia, sul fatto che si spartiranno equamente i guadagni con noi. Storicamente non è che si siano distinte per la loro trasparenza: ricordate il grande imbroglio degli anni ’80, quando cercarono di dimezzarci le royalty sui cd sostenendo che avevano bisogno di un margine extra per sviluppare le nuove tecnologie?”), ma poi si dice convinto che l’industria possa recuperare i suoi guadagni senza mettere il naso in settori contigui come la musica dal vivo: “I cosiddetti contratti a 360 gradi”, sostiene McGuinness, “sono immorali e impraticabili. Come mi ha detto recentemente Allen Grubman, un noto avvocato newyorkese, Dio non voglia che abbiano successo, altrimenti i manager verranno subito licenziati e i legali citati in giudizio per mala gestione”. Poi passa al punto che gli sta più a cuore: “I gestori delle reti di comunicazione, in particolare, hanno lucrato a sbafo per troppo tempo sulla musica, cioè sui contenuti che appartengono ai nostri clienti. E’ ora che si prendano le loro responsabilità e che si cominci a lavorare come partner invece che come avversari, anche perché, oggi che gente come Jobs controlla di fatto lo studio Walt Disney e la tv ABC, i nostri interessi coincidono sempre di più”. I nuovi guru della tecnologia e di Internet, ricorda McGuinness, sono gente “cresciuta principalmente sulla West Coast americana con valori hippy e imprenditoriali brillanti, alla cui base però sembra esserci un disprezzo per il reale valore della musica”, gente che pensa a se stessa come “liberal in politica e socialmente consapevole”, ma che è ben cosciente del fatto che “i ragazzi non pagano 25 dollari al mese di connessione broadband solo per condividere foto, fare i compiti e scambiarsi e-mail con gli amici”, e che la vera “killer application su cui sono fondate le loro imprese è la musica registrata dai nostri clienti”. “Mi rivolgo a loro, oggi, per cominciare a fare due cose”, continua il manager irlandese. “Primo, assumersi la responsabilità di proteggere la musica che distribuiscono; secondo, cominciare a spartire gli enormi profitti che realizzano, ma anche la loro ingegnosità e competenza, con chi crea e possiede i contenuti…E se non collaboreranno volontariamente, ci sarà bisogno di una legislazione che, come in Francia, gli richieda di farlo: le ricerche provano che gli Internet provider hanno il potere di cambiare la situazione da un giorno all’altro, se chi infrange la legge è messo di fronte all’alternativa di perdere la sua connessione a Internet. E hanno già dimostrato che, quando gli conviene farlo, sono in grado di eliminare rapidamente i contenuti che gli danno fastidio”. “Per me”, chiude McGuinness, “il modello di business del futuro è quello in cui la musica è inclusa in un servizio Internet in abbonamento o in un prodotto i cui proventi vengono condivisi tra distributore e proprietario dei contenuti: è il modo più semplice e pratico di operare anche per i consumatori (McGuinness cita l’esempio dell’accordo tra U2 e Apple sull’iPod e quelli che la loro casa discografica, Universal, ha chiuso con la Microsoft per Zune e con Nokia per il servizio “Comes with music”). “Suggerisco di spostare la pressione dal singolo ladro di file p2p alle imprese multimiliardarie che beneficiano di questi innumerevoli, piccoli crimini: i service provider, le telco, i costruttori di apparecchi. Mi appello alle menti brillanti della Stanford University e della Silicon Valley, ad Apple, Google, Nokia, HP, China Mobile, Vodafone, Comcast, Intel, Ericsson, Facebook, iLike, Oracle, Microsoft, AOL, Yahoo, Tiscali ecc ecc, e ai banchieri, ingegneri, fondi finanziari e venture capitalist che li appoggiano e finanziano affinché usino il loro genio per cooperare con noi al salvataggio dell’industria musicale”.

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