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enomis86

Il Cantante Dei Baustelle: Il Nostro Amen Per Vermicino

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Il cantante dei Baustelle "Il nostro Amen per Vermicino"

Il quarto disco dei Baustelle, Amen, vanta già parecchi record: la più lunga parata di artisti maledetti in una canzone (Baudelaire), la più alta concentrazione di medicinali in un singolo (Charlie fa surf), un’esplicita menzione del sesso orale (Il liberalismo ha i giorni contati). E il primo brano dedicato alla tragedia di Vermicino: «È un ricordo tenuto nascosto per anni - dice Francesco Bianconi, cantante della band toscana - avevo la stessa età di Alfredino Rampi e pensavo che tutto in tv avesse un lieto fine: poi all’improvviso è arrivata la morte in diretta».

Ma Alfredo rievoca anche un momento storico, gli inizi degli Anni 80...

«Ci sono Pertini e Fanfani, c’è il ritratto di un’Italia non troppo distante da quella di oggi, con la P2 e gli intrighi di potere, un Paese che è cambiato, dove però la malapolitica è rimasta immutata».

A un passato più remoto è dedicata invece L’uomo del secolo, che sembra rimandare ai Csi. Un caso?

«Le canzoni non nascono mai con l’idea di imitare qualcuno, ma credo anch’io che delle similitudini ci siano. Il testo racconta di un vecchio, mio nonno, che attraversa un secolo: questo è il suo addio a una società che non capisce più. È il tema di tutto l’album, perché anch’io non riesco a capire il mondo in cui vivo, e come tanti mi trovo a disagio».

Il suicidio è un tema ricorrente nelle canzoni dei Baustelle e se ne parla anche in Baudelaire. È forse questa la via d’uscita?

«Al contrario, il brano è un inno al non suicidio. Per un non credente interrogarsi sul senso della vita è normale, tutti cercano la felicità, la fede, che sono armi per sopravvivere. Gli artisti presenti nel brano vengono ricordati per il loro slancio verso l’assoluto: non bisogna scrivere tutti poesie, ma vivere la propria vita come fosse una poesia». Charlie fa surf parla di un quindicenne che si droga, scarica video porno e suona la chitarra. Sono davvero così i ragazzini? «La canzone si ispira a un’opera di Maurizio Cattelan al Museo di Rivoli, dove c’è un ragazzino seduto di spalle, le mani inchiodate al banco con delle matite. Io cerco di immaginare cosa ci sia nel suo cuore, per questo il linguaggio è sboccato, come quello degli adolescenti, un esercito di piccoli ribelli inquadrati in un anticonformismo di massa. Abiti, comportamenti, droghe: tutto già previsto».

Si potrebbe dire lo stesso dei Baustelle, no?

«Certo, non c’è contrapposizione tra me e Charlie, semmai immedesimazione, aiuti chimici compresi. E comunque, non sono i ragazzini sotto accusa, ma una società che crea masse di zombi».

È suo il brano più ascoltato della scorsa estate, Bruci la città di Irene Grandi. Poteva essere una canzone dei Baustelle?

«Per noi il suo successo è stata una bella promozione. Ma lei l’ha interpretata così bene che ormai è una canzone sua, anche se forse la riproporremo dal vivo nel prossimo tour».

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