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Canova Il Genio Torna A Casa

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MILANO

E’ un incanto addentrarsi nei saloni dove si aggirò Eugenio de Beauharnais, viceré d’Italia dal 1805 al ’14, figlio di Giuseppina prima moglie di Napoleone, e ammirare alcuni capolavori a essi legati. Sono i superbi marmi prestati dall’Ermitage di San Pietroburgo per la mostra «Canova alla corte degli zar», curata da Sergej Androsov e Fernando Mazzocca: capolavori scaturiti in genere dalle cave di Carrara che tornano a casa consentendo raffronti tra il genio di Canova e alcuni comprimari e seguaci.

Nella prima sala sono esposte opere che incarnano l’ideale di bellezza, anzi di «bello universale» predicato dal Winckelmann, accanto alla «nobile semplicità e quieta grandezza delle statue greche» che si impose quale vangelo estetico fornendo basi al Neoclassicismo. Canova seppe trasformare in parola viva e quasi in carne vera la perfezione e levigatezza del marmo, tanto da affermarsi come protagonista d’un movimento che toccò l’Europa intera. Si resta abbagliati davanti alla leggiadra Danzatrice con le mani sui fianchi (1812), commissionata da Giuseppina Beauharnais.

Prima fra le fanciulle danzanti del Canova, è issata sopra un piedestallo che gira lentamente e consente di ammirarla a 360°. L’Amorino alato è un delizioso giovanetto nudo con bastone a forma di serpente, come le insidie dell’amore. Fra le mirabili teste e busti, accanto allo splendido Ideale di Elena (1819), ecco di nuovo, per la bella Giuseppina, Paride, ma lo stupore si accentra sul Genio della morte (ripreso dal monumento funebre di papa Clemente XIII in San Pietro a Roma), con riccioli che si muovono e attorcigliano, bocca dischiusa, occhi spenti privi pupille: basta poco a Canova per raccontare il mistero della morte. A diffondere malinconia è la Maddalena penitente di cui Eugenio Beauharnais ebbe una versione che portò con sé a Monaco di Baviera.

Thorvaldsen, con l’aggraziato Ganimede con vaso e coppa, offre una prova di modernità, mentre di Bartolini, apostolo del vero naturale, si succedono Ninfa dello scorpione, La fiducia in Dio, il Bacchino. Quindi alcune buone prove come le Ore danzanti del Finelli, Flora e Psiche svenuta del Tenerani, opere del Rinaldi, dell’Albacini, ninfe e amori di Gibson e di Wolff, soprattutto L’amore che abbevera le colombe del Bienaimé.

Nell’ultima sala il capolavoro, le Grazie. Arduo riferire malie, splendore, naturalezza delle tre fanciulle a grandezza naturale, da un sol blocco di marmo, con le dita che penetrano le carni, le leggiadre figure che si abbracciano. Committente è di nuovo Giuseppina, pur alla Malmaison quando già Maria Luisa d’Asburgo era salita sul sul trono. Il marmo fu terminato nel ’14, quando la Beauharnais morì e fu Eugenio ad acquistarlo. Lo zar Alessandro I, vincitore di Napoleone e amico di Giuseppina, acquistò le sue opere. Una fortuna rivederle in Italia, con l’aiuto dell’utile catalogo Motta.

CANOVA ALLA CORTE DEGLI ZAR

CAPOLAVORI DALL’ERMITAGE DI SAN PIETROBURGO

MILANO, PALAZZO REALE

FINO AL 2 GIUGNO

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