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Bersani: Il Mio Aldiqua Ha Il Profilo Di Baldoni

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PACIFISMO, PRECARIATO E POLLO ARROSTO I TEMI TRATTATI NELL'ALBUM

Bersani: il mio Aldiqua ha il profilo di Baldoni

19/5/2006 di Andrea Scanzi

In ogni buon disco capita a un certo punto di percepire uno scarto. Qualcosa che svetta sul resto. Per «L'aldiqua», sesto album in studio di Samuele Bersani, lo scarto è la seconda traccia, «Occhiali Rotti», dedicata a Enzo Baldoni, il giornalista free lance ucciso in Iraq. Cinque minuti di rispetto e grazia. Parole nobili e musica quasi allegra, nonostante il raggelante incipit: «Ho lasciato la mancia al boia per essere sicuro/ che mi staccasse la testa in una volta sola». Nel passaggio centrale, tutta l'etica di Baldoni: «Per capirmi è necessaria la curiosità di Ulisse/ di viaggiare in solitaria/ vedendo il mondo per esistere».

Bersani scrive come pochi in Italia, «L'aldiqua» lo conferma. E pazienza se gli ultimi quattro brani (dieci in tutto, compresa «Lo scrutatore non votante») abbassano il livello medio. «E' il mio disco più sereno, stavolta sono partito dalle note. Ci sono più chitarre e meno pianoforte. La chitarra facilita il racconto: il cantastorie aveva la cetra, non il sintetizzatore».

«L'aldiqua» è stato scritto a Cattolica, la città in cui Bersani è nato nel 1970. « Il titolo nasce dalla constatazione che nel nostro mondo è presente molto più inferno e paradiso di quanto immaginiamo ce ne possa essere nell'aldilà. La ghost track finale contiene il monologo di Benito, un personaggio "felliniano" di 70 anni che non vedevo da 25, un tipo con una sola corda vocale. Ha raccontato così bene la storia di uno dei miei miti dell'infanzia, Lino detto "Baratle", che ho voluto chiudere così il disco». «L'aldiqua» è dedicato proprio a Lino, scomparso tre mesi fa a 95 anni («una sorta di matto del paese, ma non era per niente fatto»). Le altre dediche sono per il poeta Raffaello Baldini, «il De André della poesia romagnola», e per Enzo Baldoni. «Mi sono letto il suo blog e ho trovato il mio stesso gusto di raccontare con ironia il dramma. Con lui e la sua famiglia c'è totale empatia». Leggenda vuole che Bersani si definisca in privato un ex giovane di successo, «un artista con un grande avvenire dietro le spalle». Un cantante con il timore di non essere capito, arrabbiato con quei discografici che 15 anni fa lo lanciarono come una sorta di orsacchiotto per teenager (da qui il parziale fastidio per «Freak», la «canzone della piadina romagnola»). Ne «L'aldiqua» c'è una canzone che si intitola «Sicuro precariato», storia di un supplente che anche nella vita privata resta eternamente in prova. Sembra molto autobiografica e generazionale. «E' vero che nelle canzoni mi immedesimo sempre, ma mai come ora ho trovato il mio equilibrio. Prima ero più popolare, la gente mi fermava per strada e io non ero contento. Adesso è l'esatto contrario».

Tifoso juventino, dice che Moggi gli ha sempre ricordato «Barney dei Simpson», l'amico ubriacone di Homer: «Restituire lo scudetto sarebbe degno del cosiddetto "stile Juve" - dice - rimpiango gli Anni 70, quando la Juventus era una squadra senza stranieri e si tifava per Cuccureddu e Furino». Logorroico e disposto ad esporsi, a dispetto della maggioranza dei colleghi, loda Pacifico (qui coautore di «Maciste»): «E' quello che ha più equilibrio tra musica e testi». Rivela che è stata la Rosa nel Pugno a chiedergli di «candidarmi con la certezza di non essere eletto». Conferma che ha detto no all'ultimo Sanremo, «nonostante le gentili insistenze», e ridimensiona l'importanza dei Premi della Critica ricevuti («servono per aprirci il pandoro»). Ammette di non ricordarsi i testi durante i concerti (il tour partirà ad ottobre) e che il 1 giugno al Festivalbar andrà con le gocce antiansia, «ho paura a tornare sul palco».

Artista ciclicamente incensato al Club Tenco, Bersani rivendica il suo ruolo. «Mio padre ascoltava la classica, mia madre mi faceva sentire Tenco anche quando non volevo. Sono cresciuto con De André, Conte, Battiato, Dalla, De Gregori, Battisti. Rino Gaetano l'ho scoperto dopo. A Fossati la parola "cantautore" oggi fa "senso"? E' più grande di me, evidentemente si è stancato, ma io sono felicissimo di essere cantautore. Era il mio sogno. E non è un genere in crisi». Anche se denuncia: «C'è gente che fa dischi che sono in classifica, scritti da altri. Ci sono ragazzi che ogni mese prendono un stipendio per scrivere canzoni per cantautori affermati».

Poi manda una stoccata a «Music Farm» («E' una boiata, quando hanno usato "Lo scrutatore" come jingle mi sono sentito in imbarazzo»). E rivela un aneddoto su Mogol: «Per me era un mito. Poi, la prima volta che l'ho visto, mi ha detto che per lui non conta la fantasia ma il lato tecnico. Ci sono rimasto male».

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