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Philippe Noiret: «pigrizia, Madre Di Tutte Le Qualità»

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IL GRANDE ATTORE PREMIATO A FRANCE-CINEMA

Philippe Noiret: «Pigrizia, madre di tutte le qualità»

31/10/2006 di Lietta Tornabuoni

ROMA. Philippe Noiret non sta tanto bene e non sarà a Firenze al 21° Festival «France-Cinéma» diretto da Aldo Tassone, istituzione preziosa per i rapporti tra cinema francese e cinema italiano di cui il grande attore potrebbe essere il simbolo: dei ventiquattro film della retrospettiva a lui dedicata, dodici sono parlati in italiano, e se da noi ha girato Amici miei di Mario Monicelli, La famiglia di Ettore Scola, Nuovo cinema Paradiso di Giuseppe Tornatore, Gli occhiali d'oro di Giuliano Montaldo, ha recitato pure ne Le massaggiatrici di Lucio Fulci.

Nella sua casa a Parigi, un po' malato, Noiret dice di non pensare mai al passato: i pessimi studi («Ero una nullità in tutte le materie») al Jeanson-de-Sailly che era stato il liceo parigino di Montesquieu e di Malebranche; il prete che gli suggerì di darsi al teatro, la scuola di recitazione dove i suoi compagni erano Delphine Seyrig e Jean Rochefort; il lavoro con Jean Vilar al Thé âtre National Populaire dove conobbe Monique Chaumette, sua moglie dal 1952, e Agnès Varda, fotografa del teatro e regista del primo film da lui interpretato, La pointe courte, 1952. E poi cabaret, radio, televisione, centotrenta film, centinaia di pièces teatrali, l'inizio della carriera italiana con La grande bouffe di Marco Ferreri, il ritorno a teatro negli ultimi anni, l'amicizia forte con Marcello Mastroianni, la perenne capacità di mixare tragedia e commedia, Jean Racine e Eugene Ionesco. «E' di quelli che danno il proprio stile alla loro epoca», diceva di lui il presidente francese François Mitterrand; «Ha la grande dote della semplicità», dice Monicelli.

Sta lavorando? Ha ancora voglia di lavorare, di vedere gente?

«Di lavorare sì, ho voglia: la scorsa stagione ho recitato a teatro, ma adesso non ho occasioni immediate e spero che arrivino. Di vedere gente no, non ho molta voglia: come sempre. Ne ho vista tanta, ho conosciuto tante persone inutili, fatto tanti viaggi sconclusionati e film superflui: ne ho abbastanza».

La sua pigrizia leggendaria è aumentata?

«Non smetterò mai di considerare la pigrizia la madre di tutte le qualità, una filosofia di vita, però mi sembra che la mia sia sempre la stessa, quella di chi ha molto lavorato. Adesso non ho bisogno di muovermi nè di darmi da fare. Non faccio niente: è un diritto».

Lei è sempre vissuto tra le donne: sua moglie sposata da oltre quarant'anni, sua figlia, la sua agente, la sarta di scena che è stata con lei per trent'anni. E' piacevole?

«Sì. Mi piace la compagnia delle donne intelligenti, spiritose e provvide, rassicuranti. Sono molto meno monotone ed egocentriche degli uomini, anche se il luogo comune dice il contrario; sono anche più belle e vestite meglio. Ma ho avuto anche molti amici uomini».

Che importanza ha per lei la bellezza?

«Come per tutti: è davvero una gioia per gli occhi. E anche una salvezza: intorno a noi accadono tante cose feroci, che se non cercassimo sollievo nella bellezza la vita non avrebbe senso. Io non dipingo più, ho già tanti altri vizi: il sigaro, il buon cibo, i libri, la casa di campagna a Carcassonne con i cavalli e i cani. Uno degli incontri più importanti della mia vita è stato quello con Balthus, e quando conosci un simile pittore, tu lasci perdere».

Lei è considerato un uomo elegantissimo: eleganza naturale, o studiata?

«Studiata? No. Ma neppure naturale. E' un piacere, un istinto. Mio padre era un uomo molto elegante e lavorava nell'abbigliamento; guardandolo ho imparato a apprezzare la bellezza dei vestiti, degli oggetti, del lavoro degli artigiani. Ho appreso il gusto di vestire con cose fatte apposta per me da bravi sarti, il confort e la comodità di vestire bene».

Non di migliorare il proprio aspetto? In passato il suo idolo era Gary Cooper: lo è ancora?

«Forse no, ma è quella generazione di attori, Gary Cooper, Jean Gabin, Cary Grant, che mi ha colpito, ispirato, spinto a fare l'attore, che mi ha influenzato anche psicologicamente, stilisticamente, esteticamente. Quanto al mio aspetto, meglio non parlarne: da ragazzo mi trovavo brutto e disperante, non mi piacevo affatto».

Quali sono i suoi ricordi migliori e peggiori d'Italia?

«Peggiori, nessuno. Migliori, tanto numerosi che non riuscirei a parlarne. Il cinema italiano mi ha adottato: se ho fatto sette film con Bertrand Tavernier, ne ho fatti quattro con Mario Monicelli. Ho avuto la fortuna di incontrare persone di prim'ordine, di girare bei film, di divertirmi. Tempi bellissimi».

Le pare che adesso la cultura, l'arte siano in decadenza?

«Sa, credo che quando si arriva alla mia età, 76 anni, bisogna essere molto prudenti nel dare giudizi: da che mondo è mondo, i vecchi sono sempre stati convinti che il passato fosse migliore e il presente vergognoso. Io sento soltanto che il cinema m'interessa meno, mi piace meno».

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