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Emmanuelle Quel Che Resta Di Un Mito

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Emmanuelle quel che resta di un mito

Sylvia Kristel si racconta trent'anni dopo l'uscita del film-cult

Sylvia Kristel possiede ancora gli occhi limpidi di quando diventò una delle più potenti icone erotiche del secolo breve. Oggi ha 54 anni e dell'immensa fortuna che il personaggio di Emmanuelle le regalò non resta niente. Nella sua vita turbolenta ha combattuto infinite battaglie. Non è sicura di averle vinte davvero. Ma ha resistito. Agli amori che se ne andavano, alla fama che si sbriciolava, ai denari che svanivano. Infine persino al cancro. Ora vive ad Amsterdam con pochi amici, il suo unico amatissimo figlio, in una piccola casa su un canale. Nel 2002 ha interpretato un film diretto dal regista turco Sinan Cetin, ma al cinema non chiede più molto, dopo aver dato tutta se stessa. Parla quattro lingue, ha un quoziente intellettivo di 164, dipinge quadri e ha pubblicato la bella autobiografia in Francia, «Nue» (edizioni Le cherche midi). E gli spettatori italiani di Cult potranno rivederla venerdì (ore 22), così com'è ora, nel documentario «Emmanuelle l'icona erotica».

All'inizio degli Anni 70 Sylvia Kristel era una bellissima ragazza, elegante, sensuale, candida. Usciva da un'infanzia senza gioia e faceva la modella. In una strana giornata del '73 la sua vita svoltò: «Stavo girando uno spot per assorbenti - dice Sylvia -. La moglie del regista mi disse che se non mi vergognavo di recitare in un film erotico potevo bussare allo studio accanto, dove facevano dei provini. Mi presentai, indossavo un abito con le spalline. Lo lasciai cadere con due movimenti e cominciai a raccontare chi ero a torso nudo. Qualche giorno dopo mi telefonarono per andare in Francia a firmare il contratto».

«Emmanuelle» non era un porno, ambiva anzi ad essere un film erotico che si poteva vedere in coppia. Si era cercato un alibi intellettuale, il romanzo scritto da Emmanuelle Arsan (o forse dal marito). E nell'era della pillola, del post '68, voleva raffigurare la donna libera che sa separare il sesso dall'amore. Nel cuore fedele al marito, nel corpo disponibile ad ogni esperienza, con la complicità del coniuge.

Le reazioni del mondo

Il regista, Just Jaeckin, non aveva mai girato un film a soggetto. La lavorazione fu turbolenta e improvvisata. In Thailandia la troupe finì in galera, perché non avevano permessi e avevano girato una scena di nudo sotto la cascata di un tempio, compiendo un sacrilegio. Dopo qualche problema con la censura il film uscì a Parigi e fu un enorme successo. Il pubblico più scafato sorrideva (forse per imbarazzo) ma sul costume ebbe l'impatto di uno tsunami. Divenne una specie di termometro del pudore personale e della democrazia nel mondo. Nella Spagna di Franco era proibito, ma gli spagnoli varcavano il confine per andare a vederlo a Perpignan. Nell'Urss di Breznev - pare - uno che aveva introdotto il film clandestinamente si è beccato tre anni di gulag. «In Giappone venni accolta da una folla ragazze - ricorda la Kristel -. Per loro ero un simbolo di libertà. In Olanda e in Inghilterra invece fui attaccata dalle femministe. Emmanuelle era il prodotto perfetto delle fantasie sessuali maschili. Quando ho letto il romanzo anch'io ho avuto la stessa impressione, queste cose, mi dissi, può scriverle soltanto un uomo».

L'immagine gigante di Sylvia Kristel nuda, seduta su una sedia di vimini, coperta da un giro di perle, rimase per tre anni sugli Champs-Élysées. E s'impresse nell'immaginario collettivo. Per l'ex modella olandese il film fu il trampolino verso la celebrità. Ma anche una camicia di forza. «Cercavo di spiegare che non dovevo venir confusa con il mio ruolo. Io non ero Emmanuelle. John Wayne non andava in giro a sparare nella vita di tutti i giorni solo perché interpretava western». Facile a dirsi, difficile da accettare nel mondo di celluloide. Sylvia Kristel ha lavorato con Chabrol, Vadim, Robbe-Grillet, Borowczyck, in Italia, a Hollywood. Ha fatto film seri. Ma è sempre stata soprattutto un corpo da spogliare. Nell'altro grande suo successo mondiale (50 milioni di dollari), «Lezioni maliziose», faceva la porno-precettrice, che iniziava alle delizie del sesso un ragazzino di 16 anni. Si scoprì che nelle scene di nudo aveva una controfigura, ma non importava. Dopo Emmanuelle è arrivata una lunga serie di sequel. Fino agli Anni 80, quando Sylvia non era più una ragazzina, e interpretava il ruolo della «old Emmanuelle». «Mi sedevo su un aereo vicino al mio marito per fiction e insieme ricordavamo i tempi libertini passati. Le scene erotiche in flash back erano girate da altre attrici».

La lotta al tumore

Il suo corpo magnifico è stato ammirato, desiderato, posseduto. Sylvia Kristel ne ha abusato, credendolo forse invincibile. L'ha riempito di droga, «la coca era il carburante per tenere il ritmo di una vita al massimo». E di alcol: «Lo reggevo benissimo, la mia famiglia è alcol-resistente. E' scritto nei geni. La mia pelle è sempre rimasta liscia, bianca, mai avuto cerchi neri sotto gli occhi». Liberarsi dalla tossicodipendenza è stato duro. Subito dopo ha combattuto un'altra battaglia, più seria, contro un tumore al polmone e alla gola.

Come un personaggio dell'Etica di Spinoza, che tra i canali d'Olanda aveva conquistato la serenità della ragione, Sylvia Kristel abita ora in una piccola casa, dipinge. «Sono tornata in Olanda per ritrovare la mia terra, la mia lingua. Vivere qui è più facile perché la gente non ti chiede niente. Puoi nasconderti. Ogni tanto il mio agente mi combina un'intervista tv per parlare di Emmanuelle. E io per qualche migliaio di euro racconto con aria distaccata e gioviale quanto è stato affascinante essere un sex symbol». Qualche rimpianto per una vita che le ha dato tutto e s'è ripresa molto? «Mi dispiace non essere mai appartenuta a nessuno, nemmeno a mio padre e mia madre. Gli uomini hanno amato il mio corpo, ma nessuno ha mai preso il mio cuore nelle sue mani né io gliel'ho dato. Mi sono imprestata, venduta, ma mai donata».

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