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De Niro Regista Racconta La Cia

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L'attore torna dietro la macchina da presa e dirige "The Good Sheperd"

Al centro del film, la genesi del servizio segreto a stelle e strisce

De Niro regista racconta la Cia "Così l'America perse l'innocenza"

di SILVIA BIZIO

NEW YORK - Con The good shepherd, Robert De Niro torna dietro la macchina da presa per la prima volta dopo Bronx del 1993. L'attrazione per il soggetto del film, i primi vent'anni di storia della Cia, è stata fatale per l'attore-regista. "Ho sempre avuto un debole per le storie di spionaggio" dice infatti De Niro "Soprattutto per quelle ambientate al tempo della Guerra Fredda, periodo in cui sono cresciuto".

The good shepherd (il buon pastore) rievoca la nascita del servizio segreto statunitense seguendo la vita di un agente interpretato da Matt Damon. Scritto da Eric Roth ("Munich"), girato da De Niro tra New York, l'Inghilterra e la Repubblica Dominicana con un mega-budget di 110 milioni di dollari, il film alterna per 2 ore e 40 minuti diversi periodi di 25 anni di storia americana, dal 1939, quando il giovane idealista Edward Wilson (Damon) viene reclutato a Yale dalla società segreta "Skulls and Bones" (teschi e ossa), della quale tuttora fanno parte i più potenti uomini politici americani e già allora aveva fra i suoi membri in pratica tutto il governo di Washington, fino al suo ingresso nella Cia e al disastroso intervento della Baia dei Porci a Cuba nel 1961.

Il film segue con una serie di flashback gli anni della formazione della Agenzia di controspionaggio, una filiazione degli "Skulls and Bones" creata nel 1947 dal presidente Harry Truman per tenere sotto controllo l'Unione Sovietica. Nel film appaiono anche Angelina Jolie (moglie di Wilson) e lo stesso De Niro nei panni del generale Bill Sullivan (ispirato alla figura di "Wild" Bill Donovan).

The good shepherd esce negli Usa il 22 dicembre, in Italia con la Medusa dopo il festival di Berlino, a febbraio, dove sarà in concorso. Abbiamo incontrato il proverbialmente taciturno De Niro all'Hotel Regency di New York.

In che misura gli eventi dell'11 settembre e la relativa commissione Cia hanno alterato il suo progetto?

"Sono otto anni che cerco di fare questo film, che dopo l'11 settembre è stato necessariamente sottoposto a certi cambiamenti. Ma la sostanza è rimasta invariata".

Cosa sapeva della setta "Skulls and Bones" prima di svolgere ricerche per il film?

"Sapevo che Bush senior ne era membro, come numerosi politici e uomini di potere in America. E' una società clandestina, qualcosa di paragonabile alla massoneria dei tempi migliori. La Cia ne è forse un derivato. Ma non ci sono prove concrete, forse è una leggenda. A un certo punto devi decidere che peso dare alle supposizioni e seguire l'istinto".

Cosa aveva trovato di affascinante in questa storia?

"Il modo in cui opera una intelligence, l'intrigo, gli aspetti personali e famigliari legati alla professione, la lealtà verso il proprio paese: tutto ciò mi affascina".

Perché ha scelto come titolo Il buon pastore?

"E' il titolo di Eric Roth, ma lo amo moltissimo, è perfetto. Ovviamente c'è un riferimento biblico al pastore che deve curare il suo gregge, e invece guarda come va a finire... E' ironico, il personaggio di Matt Damon cerca di fare la cosa giusta, e ai suoi occhi la fa".

Lei e George Clooney, attori di fede democratica, diventate registi per film che guardano con occhio critico momenti poco gloriosi della storia americana. Perché?

"E' vero, ma io voglio essere attento a non criticare troppo, perché criticare vuol dire prendere una posizione dura su qualcosa e io invece voglio cercare di capire il perché sono successe certe cose, perché la gente fa quello che fa".

La spaventano agenzie governative così segrete?

"Non lo so, tanto alla fine tutto viene fuori. Capisco il bisogno di avere un servizio segreto per raccogliere informazioni. Penso che se puoi evitare certe situazioni trovando le informazioni giuste, avere un'agenzia come la Cia sia un male necessario. E' quello che è, con tutti i suoi aspetti poco etici".

Lei stava lavorando su un altro progetto sulla Cia. L'ha abbandonato?

"Il 1961 è l'anno del muro di Berlino e della Baia dei Porci, l'anno che anche io considero il momento della fine dell'innocenza in questo paese. Stavo pensando di fare un film che partiva dall'anno in cui si svolge The Good Shepherd fino alla caduta del muro. Ma c'era qualcosa in quel progetto che non mi convinceva, e quando ho letto il copione di Eric Roth mi ha conquistato. Ha tanti aspetti interessanti, non solo sulle origini della Cia ma anche sulle persone che vi fanno parte, ho incontrato vari agenti e mi piaceva l'idea di far capire chi sono queste persone, come legano la loro vita personale alla loro professione, è quello che ho cercato di fare in questo film".

Lei ha lavorato con tanti grandi registi. Quali sono stati quelli che l'hanno influenzata di più?

"Certamente il regista con cui ho lavorato di più è Scorsese, e soprattutto durante la fase della post-produzione gli ho fatto vedere il film un paio di volte e gli ho chiesto molte cose. Ma ho fatto tanti di quei film e penso che solo stare sul set ti insegna a dirigere. Sai sempre quando un regista non sa quello che sta facendo, e impari anche da quello".

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