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Perle Degli Emirati : Dubai

3 messaggi in questa discussione

14/11/2009

PERLE DEGLI EMIRATI

Sulle orme immaginarie del grande viaggiatore del passato Ibn Battuta, un giro a Dubai tra passato e modernità Il mio nome è Ibn Battuta. Avevo solo 21 anni quando ho lasciato mio padre e la mia famiglia a bocca aperta e ho detto loro, con semplicità: "Io parto". Ho lasciato la mia casa e la mia città, Tangeri, in Marocco, per conoscere il mondo. Era il 1325, secondo il vostro calendario. Non avrei rivisto i miei cari e la mia città, baciata dal Mediterraneo, prima del 1354. Tanti anni erano passati, tante cose avevo perduto. Ma perdendomi mi ero arricchito, girando per il mondo, dall'Andalusia alla Cina, percorrendo 75mila miglia e incontrando lingue e culture di genti differenti, che a volte parlavano ad un Dio diverso dal mio. Sono tornato più ricco di quando sono partito e mai, proprio mai, mi sono sentito migliore di qualcuno che ho incontrato.

Il mio viaggio, all'epoca, mi portò nella Penisola Arabica. Il pellegrinaggio alla Mecca, obbligo di ogni buon musulmano, divenne lo spunto per un giro lungo le coste di questa terra maestosa, tra l'Africa e l'Asia, lungo le coste dello Yemen e dell'Oman, fino ad arrivare in quel posto che tutti, oggi, chiamano Emirati Arabi Uniti. Proprio qui, dopo tanto tempo, ho deciso di tornare. Volevo vedere con i miei occhi l'omaggio che questo popolo mi ha tributato, dedicando al mio nome e alla mia fama di grande viaggiatore, un luogo enorme e importante.

Ibn Battuta Mall, si chiama. Il mall, nella vostra cultura, è un centro commerciale. Enorme. In fondo non avete inventato nulla di nuovo. I vecchi suq, i porti delle città che si affacciano sul Mediterraneo, gli antichi caravanserragli non erano altro che luoghi dove le merci di tutto il mondo, dopo lunghi viaggi, venivano scambiate. E' cambiato tutto il resto, però. Il mio ricordo era quello di un Paese di pescatori di perle e marinai, di pirati e beduini, che legavano la loro sopravvivenza a un cammello, un falcone e un cavallo, da soli o in lunghe carovane. Oggi sono macchine enormi, che rombano minacciose, a solcare le strade. Anche quelle che portano al centro commerciale dedicato a me. Migliaia di persone percorrono corridoi sfavillanti, suddivisi secondo le suggestioni dei paesi che ho visitato durante il mio lungo viaggio. Cantastorie e intrattenitori rallegrano il passeggio di famiglie locali e di persone che arrivano qui da tutto il mondo, arrivate fin qui per comprare quello che potrebbero acquistare a casa loro. Forse è questo che differenzia i miei tempi dai vostri: le merci venivano scambiate, ma non tutte erano a disposizione. Oggi le merci sono tutte uguali.

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I bambini si divertono molto, grazie a un tappeto volante virtuale, che gli permette di vivere l'esperienza dei viaggi che ho compiuto nella mia vita. Deve essere molto divertente, ma spero che a loro resti la voglia di andare con le proprie gambe in mondi lontani. Per perdersi e per ritrovarsi più ricchi. Qui si parlano tutte le lingue del mondo e si gusta una cucina planetaria, ma se fosse esistito un tappeto virtuale magari non sarei mai partito da Tangeri, oppure i grandi viaggiatori che hanno attraversato la Penisola Arabica sarebbero rimasti a bere un the a Londra o a Parigi. Avremmo però perso l'occasione di leggere le pagine scritte da Wilfred Thesiger, Paul Theroux, A.W. Kinglake e tanti altri. La differenza è che oggi berrebbero qui la stessa qualità di the.

La Penisola Arabica è la casa del Rub al-Khali, il più grande deserto sabbioso del mondo. Lungo 1.000 chilometri e largo circa 500. Lo chiamano il 'quarto vuoto' ed è qui che è nata la mia religione e la una cultura millenaria. Visto dall'interno del mall che porta il mio nome mi sembra che il vuoto è stato riempito, utilizzando ogni millimetro disponibile. Uscirò da qui, per cercare di capire come e quanto è cambiata questa terra. Anche perché non sono abituato a questa aria condizionata gelida. Rispetto alle condizioni di vita del passato, quando il termometro superava i 60 gradi, deve essere stato un bel miglioramento delle condizioni di vita. Sono curioso di vederla questa vita a Dubai, della quale ricordo i vecchi dohw con le loro vele tese e il fondo piatto, capaci di solcare il mare solo con l'ausilio della Luna e di portare merci fino alla Persia e oltre ancora.

Già, le merci. Continuo a parlarne. Mentre lascio il mall e vado a curiosare per le strade di Dubai penso che, alla fine, avete avuto una bella idea. Per secoli sono arrivati viaggiatori da tutto il mondo qui, ma molti di loro erano armati e volevano imporre il loro dominio su queste terre. Grazie all'attaccamento alle loro tradizioni le genti di queste terre li hanno respinti, ma è accaduto qualcosa di interessante. Oggi non c'è più bisogno di usare le armi, perché è bastato convincere queste persone a desiderare di possedere gli stessi oggetti di coloro che un tempo sono venuti come conquistatori. Il risultato, per certi versi, è lo stesso. Solo che al posto dei cannoni, qui, si usano i carrelli stracolmi dei mall.

Christian Elia

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Perle degli emirati - 2^ puntata

Sulle orme immaginarie del grande viaggiatore del passato Ibn Battuta, un giro a Dubai tra passato e modernitàVisto che il destino mi ha richiamato tra voi, io, Ibn Battuta, sono troppo curioso. Devo conoscere questo mondo. Per fare quattro passi a Dubai dovrò prendere un taxi, visto che qui ormai avete tutti le automobili. Ma qualcosa colpisce la mia attenzione. Un adesivo giallo, incollato sul retro di un camioncino che trasporta operai. Lo intuisco da tre elementi: hanno tutti una tuta, nel pullmino non c'è l'ombra di aria condizionata e tutti hanno lo sguardo malinconico perso nel vuoto, oltre un finestrino reso opaco da tanti sbuffi di malinconia.

L'adesivo dice: "AM I DRIVING SAFELY? IF NOT PLEASE CALL 0558686987". Il numero cambia a seconda della compagnia, ma l'adesivo resta lo stesso. Ce ne sono milioni, come i milioni di veicoli si riversano, ogni giorno, per le strade di Dubai.

Le vie non sono più quelle che ricordavo io. Ai miei tempi il deserto era attraversato da lunghe carovane di cammelli, che portavano l'incenso, la seta e le spezie dall'Estremo Oriente fino alle ricche corti europee. Oggi il deserto è attraversato da autostrade a sette corsie. Una di queste, la principale, si chiama Sheikh Zayed Road, dedicata all'uomo che per tutti è il padre degli Emirati Arabi Uniti. Il suo volto campeggia lungo la strada, ricordando a tutti il sito internet (che non so cos'è, ma sembra andare molto di moda) ourfatherzayed.com. Lui con gli occhiali da sole, lui in macchine sportive, lui e basta, con un'espressione truce che mi fa sobbalzare. Se non c'è Zayed, simbolo del passato, ci sono i suoi successori, Mohammed e lo sceicco al Nayahn, emblemi del presente, che ricordano a tutti quanto sono unite le famiglie reali e gli emirati. Lo ricordano così spesso che viene da pensare che in primo luogo vogliano ricordarlo a loro stessi. Il futuro, invece, è rappresentato dai figli di Mohammed che, con tutto il rispetto, non mi sembrano molto svegli oppure sono solo poco fotogenici.

La ricchezza che ha baciato queste terre, materializzatasi in forma di petrolio, ha partorito quasi come una conseguenza naturale un fiume di automobili. Macchine grandi come carri armati percorrono a tutta velocità queste strade, tanto la benzina costa meno dell'acqua. Ma perché gli adesivi per la delazione? Secondo uno studio del Dubai Medical College, l'individuo più sospetto in città è un maschio pakistano tra i 20 e i 30 anni. E' questo infatti l'identikit del guidatore più maldestro. Su tutti i casi di trauma cranico registrati dagli ospedali, il 50 percento è legato a incidenti automobilistici. Il 22 percento a pedoni investiti per strada. Da dire che a Dubai, salvo rare eccezioni, non è pensabile di attraversare, perché tra cantieri e svincoli è più faciel che un cammello passi dalla cruna di un ago. Solo negli ultimi quattro mesi sono stati 19,493 i traumi cranici in città.

Ogni dieci minuti il traffico, di solito velocissimo sulle grandi arterie principali di Dubai, s'inchioda di colpo. C'è sempre un incidente che paralizza tutto, anche quelli meno gravi. La legge locale prevede che in qualsiasi caso debba arrivare la polizia per ricostruire l'accaduto, senza possibilità di conciliazione. Di mezzo, una volta su due, c'è un taxi. Eccolo là, il nostro nemico pubblico numero uno. Il tassita pakistano!

La giornata media di un tassita consta di 12 ore di lavoro ininterrotto, in una città sempre trafficata, dove non esistono nomi per le strade che non siano le principali. L'ossessione edilizia, poi, rende impensabile l'utilizzo del Gps, in quanto tutto cambia in pochi giorni. Non ricevendo salario, i tassisti corrono come pazzi di qua e di là cercando di ottimizzare la propria giornata, visto che la paga è in proporzione ai risultati raggiunti. Il tutto prima di consegnare la macchina al collega con il quale la dividono. Che si farà altre 12 ore al volante. La compagnia fornisce loro le divise e le auto, oltre a un alloggio in un caseggiato immenso, alle porte della città. Milioni di taxi parcheggiati di fronte a piccole casupole tutte uguali. Quasi tutti, ormai, hanno un deodorante, regalatogli personalmente dallo sceicco, dopo le ripetute rimostranze di uomini d'affari e ricche signore che si lamentavano di come tante ore di lavoro nel traffico comportino una certa sudorazione di questi benedetti pakistani. Loro sono la principale causa di tanti incidenti, per non parlare degli operai che, a mezzanotte, nei cantieri ancora aperti, finiscono per sfilare lungo le strade di notte spingendo gli autisti dei Suv a investirli e a perdere un sacco di tempo. Solo nella zona industriale di Jebel Ali, per esempio, sono state 500 le vittime lo scorso anno. Immaginate quanti Suv danneggiati, una vera e propria strage.

Appena mi procuro un telefono, anche se io vivevo senza, chiamo il numero, giusto per togliermi lo sfizio di dire che magari i cammelli andavano lenti, ma non investivano nessuno.

Christian Elia

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24/11/2009

Perle degli emirati - 3^ puntata

Un viaggio immaginario sulle orme del grande viaggiatore Ibn Battuta, in giro per Dubai tra passato e futuroCerto che detto da me, Ibn Battuta, che ho passato gran parte della mia vita in giro per il mondo, dormendo di tenda in tenda, di casa in casa, fa un po' impressione. Ma sono vecchio, ormai, e qui di spazzi liberi ce ne sono sempre meno. Per non parlare dell'ospitalità, poi, con tutto quello che si legge sui giornali! Dovrò cercarmi una casa a Dubai.

Guardandosi attorno non dovrebbe essere difficile: migliaia di torri costellano il cielo di Dubai, fin quasi a nasconderlo. Non le vecchie torri del vento che ricordavo io, quelle costruite per rendere le case fresche d'estate e calde d'inverno. Queste sono torri in vetro e cemento. Una, il Burj Dubai, è alta 800 metri. E' la torre più alta del mondo. Sembra un dito puntato, capace di fare il solletico a Dio. Dicono che nelle rare tempeste che si abbattono su Dubai faccia da parafulmine a tutta la regione. Per non parlare dell'ebbrezza dei sui 300 piani, collegati dagli ascensori più veloci del mondo. La Mitsubishi ha brevettato, solo per il Burj Dubai, un modello di elevatore che si muove rapido come un fulmine. Solo che queste sono tutte chiacchiere, perché l'inaugurazione di questa meraviglia viene rimandata di giorno in giorno. L'ultimo rinvio è arrivato per il 2 dicembre, data attesa qui, in quanto festa nazionale degli Emirati Arabi Uniti. Ma la festa si farà da un'altra parte, perché i lavori non sono completati. Come tanti altri. Il mitico mondo, insieme di isolotti artificiali che formano un planisfero, è un cantiere fermo da mesi. Le altre due palme, che dovrebbero far compagnia alla prima, visibile dalla Luna, non sono neanche cominciate. La torre che gira su se stessa, poi, è viva solo nella mente del suo creatore. La crisi, dicono tutti qui, ma in verità non si capisce bene come vadano le cose.

"Dubai: per la prima volta i prezzi delle case, dopo un anno, tornano a salire", titola oggi un giornale. Sarà, ma nello stesso giornale ci sono le rassicurazioni del general manager della Nakheel, un colosso dell'edilizia, legato ai più faraonici progetti di Dubai, che tranquillizza gli investitori che le banche non hanno alcuna intenzione di chiedere il risanamento del debito dell'azienda che ammonta a 72 miliardi di dirham, la moneta locale, pari a 14 miliardi di euro. Non solo, il giornale di ieri annunciava che il vicino emirato di Abu Dhabi è pronto a investire 100 miliardi di euro in nuovi progetti. Magari sulle palme, adesso, crescono i soldi e non più i datteri come ai miei tempi!

Un altro giornale racconta che il prezzo degli affitti degli appartamenti a Dubai ha quasi toccato il fondo, facendo registrare, nel terzo trimestre del 2009, un calo medio del 39 per cento rispetto allo stesso periodo dell'anno scorso. Un'ulteriore flessione è prevista nell'ultimo trimestre dell'anno. Lo dice un certo Richard Ellis, mente della società di consulenza immobiliare Cb. Dev'essere un pezzo grosso. Secondo lui, nel terzo trimestre del 2008, affittare un appartamento a Dubai costava in media tra i 20.000 e i 22.000 euro l'anno, adesso i proprietari chiedono tra i 10.000 e i 12.000 euro. Affittare un ufficio a Dubai oggi costa il 55 per cento in meno dell'anno scorso, continua il buon Richard.

Chi ha ragione? Richard o la Nakheel? Nel dubbio, un altro giornale dice che gli stipendi di chi lavora nel settore edile negli Emirati Arabi Uniti (Eau) sono scesi di più del 30 per cento a causa della crisi economica globale. Ora capisco queli sguardi tristi, nei camioncini che li riportano a casa, dopo 16 ore di lavoro a 50 gradi all'ombra. E che case poi, senza luce e acqua corrente, in dodici in un monolocale in mezzo al deserto. Se prima guadagnavano 120 dollari al mese, più della metà dei quali finivano in tasca a chi gli aveva procacciato il lavoro, come faranno adesso a mantenere le famiglie che si sono vendute tutto per mandarli qui? L'informazione sugli stipendi degli edili viene da uno studio sul costo della vita nel Paese nel 2009, citato dalla testata online Arabian Business. Secondo lo studio, condotto dall'agenzia per il lavoro Kershaw Leonard, in alcuni campi, come quello finanziario, si è registrato un leggero incremento. Che strana la vita. Proprio loro che in questa benedetta crisi non hanno capito nulla si ritrovano a guadagnare più di prima.

Magari anche grazie al cattivo lavoro dei giornalisti. Già, perché il vostro Ibn Battuta è un vecchio arabo ed è venuto a sapere che la Nakheel è legata alla famiglia reale di Dubai. Magari il mercato, ai vostri tempi, si sostiene anche vendendo fumo. Preferivo i vecchi venditori di tappeti.

Christian Elia

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